Il nostro perduto amore.

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4. IL NOSTRO PERDUTO AMORE.

Astrea, sono di nuovo io. Ho provato a chiamarti, a scriverti, e questo è l'ennesimo messaggio in segreteria che ti lascio. Sei sparita da ore e vorrei sapere se stai bene, per quanto bene tu possa stare bene dopo la scoperta di ieri. Sono davvero preoccupato. Fatti sentire. Ti prego.
"Ancora non risponde?" chiese Beatriz, affacciata alla camera da letto. Raphael, seduto sul letto, scosse la testa e abbandonò il cellulare sulla coperta.
"Non risponderà per il momento, ne sono certo. Si isola quando è ferita. Nessuno può avvicinarsi."
Aver scoperto che Ines Walker era, in realtà, Alma Monteverde aveva causato shock generale. Maryse si era precipitata a Lisbona per riabbracciare la sua amica, Magnus e Alec erano curiosi di vedere la donna che era data per morta, ma lui e Beatriz avevano ben pensato di tornare a New York sperando che Astrea tornasse. Nessuno la vedeva da più di sedici ore. Aveva preso la macchina ed era semplicemente corsa via, lasciando tutti all'azienda vinicola. Magnus, allora, aveva aperto un Portale per farli arrivare a Lisbona. Beatriz prese posto accanto a lui.
"Me lo sentivo che la mamma nascondeva un segreto, ma non avrei mai immaginato che fosse una figlia. Io e Luìs abbiamo una sorella, incredibile!"
"Tu sai il motivo che l'ha spinta a cambiare identità, a fuggire e a nascondersi come una mondana?"
"Mondana, usate di continuo questa parola. Voi cosa siete?"
Raphael le lanciò un'occhiata severa. La ragazza non si era spaventata nel vedere due demoni attaccarli, nel superare un portale, nell'entrare in un Istituto, e questo faceva ben intendere che la sapesse lunga.
"Tu sai cosa siamo."
"Okay, lo so. Anni fa ho trovato il Codice degli Shadowhunters e l'ho divorato in pochi giorni. Ho ricollegato tutto agli strani tatuaggi di mia madre, alla sua voglia di isolarsi da tutti, ai suoi riflessi sempre pronti. Credevo fosse una super mamma, poi ho capito che è una Nephilim, metà umana e metà angelo. Ho letto di vampiri, lupi, stregoni e fate, anche se il capitolo sulla demonologia l'ho tralasciato perché mi faceva paura."
"Sei preparata, allora. Meno male che non devo spiegarti niente."
I due si spostarono in cucina, dove Raphael si preparò il sesto caffè nel giro di poche ore, mentre Beatriz divorava dei buonissimi biscotti al cioccolato.
"Una cosa devi spiegarmela. Astrea cos'è?"
"Domanda interessante. La risposta è che non lo sappiamo davvero. Lei possiede il Fuoco Rosso, come tu hai visto nel fienile, è immortale, e pare che colpisca un nephilim ogni cento anni il ventotto novembre. La cosa strana è che nessun nephilim, stando al racconto, lo abbia mai documentato. Abbiamo ipotizzato che lei possa essere l'unica del suo genere ma non abbiamo mai affrontato davvero la questione."
Raphael controllò di nuovo il cellulare, zero notifiche; sospirò. Beatriz si dispiaceva per lui. Lei aveva sempre sognato di avere una sorella più grande con cui parlare di trucchi, vestiti, ragazzi, invece tutto ciò che si era ritrovata era un fratello maschio e con la testa fra le nuvole. Che poi, a dirla tutta, Luìs non era proprio suo fratello.
"E' assurdo che io abbia vissuto sino ad ora con un fratello adottato e non con la mia sorella biologica. Che vita!"
"Luìs non è un fratello?"
Raphael era sempre più perplesso da quella situazione che gli si era scaraventata contro. Poiché Astrea non era lì, e chissà dov'era, toccava a lui indagare. Beatriz mangiò un altro biscotto e bevve un sorso di succo.
"I miei genitori hanno adottato Luìs quando aveva tre mesi. Hanno adottato un figlio ma nel frattempo ne hanno perso un altro."
"Il padre di Astrea è Carlos Monteverde, si presuppone sia morto anni fa in un incendio."
Nel trambusto, nessuno aveva chiesto chi fosse il padre dei due ragazzi. Dopotutto, c'èra da aspettarselo che anche Carlos fosse vivo e vegeto. Beatriz maneggiò il cellulare e mostrò a Raphael una foto risalente ad almeno sedici anni fa.
"Lui è mio padre."
A Raphael mancò il respiro. L'uomo che gli sorrideva dallo schermo era lo stesso che per anni era stato un suo fedele amico.
"Mark."

Quando Astrea aprì lentamente gli occhi, credette di essere morta. Tutto quello che riusciva a scorgere attraverso la nebbia causata dal mal di testa era un soffitto grigio scuro. L'Inferno esiste e io ci sono appena finita, pensò. Sentiva il corpo terribilmente pesante, gli occhi quasi le uscivano dalle orbite per il dolore, provò a muovere le braccia e le dita ma erano intorpidite. Un sottile lenzuolo nero la copriva. La bocca secca le impedì di emettere suoni e di chiedere aiuto.
"Sei uno straccio. Che pena."
Nonostante le orecchie ovattate, riconobbe un forte accento americano misto a disappunto. Un viso pallido si chinò su di lei, occhi sprezzanti, odore di morte. Era Elliott. Astrea richiuse gli occhi brontolando. Si leccò le labbra asciutte e si sforzò di parlare.
"Sono morta?"
"Sei immortale, sciocca ragazza. Se tu fossi morta, allora qualcuno ti avrebbe uccisa, ma nessuno qui può farti del male."
Elliott la prese per il gomito e l'aiutò ad appoggiarsi con la schiena contro la testata del letto, poi le sistemò il lenzuolo sul ventre.
"Come sono finita qui?"
"Non ne ho idea. Ti ha portata Lily all'Hotel e mi ha chiesto di metterti a dormire nella stanza occupata da Raphael, ma è evidente che devi aver bevuto parecchio per ridurti così."
Il sorriso nella voce del vampiro procurò una smorfia da parte di Astrea. Non ricordava nulla della sera precedente se non di essersi diretta al Pandemonium e di aver scolato parecchi drink. Fu nitido, però, il ricordo di sua madre, viva, che abbracciava i suoi figli. Scacciò quel pensiero, ci avrebbe pensato più tardi al dolore. Elliott le allungò un bicchiere e una pastiglia.
"E' acqua santa? Ho forse morso un vampiro?"
"E' semplice acqua per mandare giù la pastiglia, i mondani credono sia utile contro la sbornia."
Astrea indugiò, poi ingoiò senza lamentarsi. Buttò i piedi giù dal letto e poggiò i gomiti sulle ginocchia, la testa vorticava tanto da darle la sensazione di trovarsi su una ruota panoramica a cento chilometri orari. Sentiva lo stomaco vuoto, perciò aveva di sicuro rigettato tutto l'alcol che aveva ingurgitato nella notte.
"Devo tornare a casa."
"Non puoi. Lily ha urgente bisogno di parlare con te. Sciacquati la faccia e va' da lei. Conosci molto bene l'ufficio del capo."
Così dicendo, Elliott sparì inghiottito nel buio del corridoio. Astrea notò che le notifiche sul cellulare aumentavano minuto dopo minuto, lo prese e selezionò il primo messaggio che le capitò ad occhio.
Astrea, sono ancora io. Dove sei? Sei lontana già da sette ore ed io sto impazzendo. Ho bisogno di sapere che stai bene. Sono terrorizzato. Chiama, scrivi, mandami al diavolo, ma fammi sapere che sei viva. Ti amo.
Cancellò il messaggio e anche tutti gli altri, cancellò le chiamate, e tolse la batteria. Voleva stare da sola, lontana dalla sua vita, almeno qualche altra ora. Si infilò gli anfibi, che qualcuno doveva averle dovuto togliere appena si era addormentata, mise il cellulare in tasca, e andò in bagno per lavarsi la faccia. Tastò le tasche dei jeans alla ricerca dello stilo, poi ricordò che lo aveva riposto nella felpa che aveva buttato a causa dell'icore. Si immise nel corridoio chiudendosi la porta alle spalle e, nel buio pesto, tastò l'interruttore della luce. Conosceva a memoria quell'Hotel, e sorrise inconsapevolmente. Proprio mentre stava per scendere, i suoi occhi saettarono sulla porta in fondo, legno scuro con intarsi in oro. Era la stanza di Mark. Qualcosa la spinse ad afferrare la maniglia e ad entrare, fu sorprendentemente facile trovarla aperta e vuota. Nessun nuovo arrivato l'aveva occupata. Sembrava che Mark fosse ancora lì, il letto disfatto, il posacenere pieno di mezze sigarette, diversi bicchieri sporchi di sangue sul comodino. Si accarezzò i graffi sul braccio che adesso sembravano fare un male atroce, come se gli artigli le stessero ancora lacerando la pelle. Sussultò quando la porta cigolò. Sulla soglia, autoritaria nel suo tailleur nero, c'era Lily.
"Non mi stupisce trovarti a frugare nella stanza di Mark. Vieni con me, ibrido, ci sono cose di cui dobbiamo discutere."
Astrea si guardò alle spalle un'ultima volta, rimorso e dolore che si intrecciavano, dopodiché seguì Lily.

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