Quando tutto ebbe inizio.

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5. QUANDO TUTTO EBBE INIZIO.


Lo specchio rifletteva l'immagine di una donna, esausta, pentita, addolorata, disperata. Astrea abbassò lo sguardo, non aveva voglia di vedere il proprio viso. Si avvolse in un asciugamano bianco e tornò in camera per rimettersi a letto. Si girò e rigirò nelle lenzuola fredde. Guardò lo spazio vuoto accanto a sé e sospirò. Raphael aveva deciso di dormire sul divano lasciando il letto a lei, aveva detto che non voleva forzarla ed era meglio passare la notte separati. La verità era che lei aveva comunque sentito la sua mancanza, anche se non ricordava di amarlo. Erano le sei e mezza del mattino, il palazzo era silenzioso, ma Astrea udì la macchinetta del caffè in erogazione. Si alzò e in punta di piedi spiò il soggiorno. Raphael era seduto al tavolo, leggeva e scriveva. Quella che stava bevendo doveva essere l'ennesima tazza di caffè.


"Buongiorno." Esordì lui, restando con gli occhi incollati al foglio. Astrea sussultò. Si sentì come una bambina beccata a combinare una marachella. Si sedette sul divano e rannicchiò le ginocchia al petto.


"Come hai capito che ero qui?"


"Hai l'abitudine di guardarmi lavorare. E poi lo capisco ogni volta grazie al tuo odore."


Astrea si sforzò di ricordare anche un piccolo dettaglio, ma tutto ciò che vide fu l'oblio totale della sua memoria.


"Perché stai lavorando?"


"Il mio collega sta avendo delle difficoltà a vincere questo caso e mi ha chiesto di dargli un'occhiata. Inoltre, lavorare mi distrae."


"Stanotte non hai dormito. Ti sentivo giraronzolare."


"Non dormo bene da anni. Di solito sei tu che mi costringi almeno a restare a letto."


Raphael continuava a leggere, a scrivere, a parlare, e lei si incantò ad ammirarlo. La sua concentrazione e la sua calma mentre lavorava erano invidiabili. Si capiva che non aveva riposato, i cerchi scuri attorno agli occhi arrossati ne erano un segno ben chiaro.


"Mi dispiace, Raphael."


"Non è colpa tua." Rispose lui, poi si alzò e andò verso la libreria in cerca di un volume di diritto penale. Inizio a sbirciarlo mentre prendeva altri appunti. Astrea aveva l'impressione di essere stata tagliata fuori dalla sua stessa vita, dal suo stesso corpo. Si asciugò in fretta le lacrime, non poteva piangere per qualcosa che non ricordava. Eppure si sentiva terribilmente male. Raphael, però, scorse il viso bagnato della ragazza e si maledì. Allontanarla non era giusto, anche se starle vicino gli provocava sofferenza. Lasciò perdere il lavoro e andò a sedersi accanto a lei, restando comunque a distanza.


"Astrea..."


"No. Non dire niente. Capisco il perché del tuo comportamento e non ti devi giustificare. E' solo che io mi sento smarrita, ho paura di non riuscire a recuperare la parte che mi è stata strappata, e ho già perso troppo nella mia vita."


Non aveva il coraggio di guardarlo, così si concentrò sulle gocce che cadevano dal lavandino nella vaschetta. Raphael cercò di toccarle la spalla ma la mano ricadde meccanicamente.


"Nessuno ha detto che mi perderai."


Astrea scattò in piedi, le lacrime che ormai scorrevano libere, la voce piena di rabbia.


"Ah, no? Non riesci neanche a guardarmi né a toccarmi! Come pensi che supereremo tutto questo? Dammi una fottuta risposta! Una!"


Raphael rimase zitto e si diede dello stupido quando lei scappò in camera da letto chiudendosi a chiave. Si appoggiò alla porta e bussò ripetutamente.

Troublehunter 4.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora