Avevo sempre odiato l'estate; il caldo afoso con cui faticavo persino a respirare, il sudore che, irrimediabilmente, mi imperlava la pelle, gli insetti che per qualche motivo sembravano comparire ovunque e dal nulla. Mentre, invece, amavo l'inverno. Forse perché, in qualche modo, esso potevi controllarlo, mentre dal caldo non c'era via di fuga.
Era arrivata l'estate, da poco meno di un mese. Il mio umore, quel giorno, era più nero del solito. Avevo appena litigato con mia madre, Elizabeth, che come al solito non mi aveva permesso di passare la notte dalla mia amica Jodie. Non mi permetteva di fare nulla; la mia vita, con lei, sembrava un carcere.
Era invadente, soffocante ed iperprotettiva, la consideravo come una spina nel fianco, non la sopportavo. A diciassette anni dovevo ancora chiederle il permesso per uscire di casa, anche solo per fare una passeggiata. Era stressante.
Quelle rare volte in cui mi concedeva di uscire di casa ero obbligata a farle sapere dove fossi, dovevo avvertirla dei miei continui spostamenti. Si preoccupava inutilmente di tutto ciò che mi capitava, o almeno così pensavo.
Credevo fosse così assillante perché ci vedevamo poco e niente, a causa dei suoi orari di lavoro. Lavorava in un ospedale fuori dalla contea di Merseyside, ma non avevo mai capito cosa facesse di preciso. Non glie l'avevo mai chiesto e lei non aveva mai accennato nulla in proposito.
Certo, spesso parlavamo di alcuni suoi pazienti, a volte un po' pazzi, e mi raccontava degli aneddoti divertenti; altre volte, invece, mi raccontava storie più tristi, di alcuni pazienti a cui si era affezionata e che, purtroppo, non ce l'avevano fatta. Pensavo mi raccontasse del suo lavoro per rendermi partecipe della sua vita, visto che io l'avevo praticamente esclusa dalla mia.
Non era sempre stato così, una volta le raccontavo tutto. Era la mia migliore amica, ma crescendo mi ero distaccata da lei. Anno dopo anno diventava sempre più soffocante, invadeva sempre più i miei spazi, cosa di cui avevo assolutamente bisogno. A volte l'avevo persino trovata a leggere di nascosto il mio diario e, quando capitava, litigavamo per ore; in quei momenti sentivo di odiarla perché aveva superato il limite. Non aveva il diritto di sbirciare nel mio diario, esso era una cosa privata dove scrivevo non solo ciò che mi capitava, ma anche ciò che sentivo e provavo; mi confidavo con quelle pagine bianche per potermi sfogare, sapendo di non poter essere giudicata, ma solamente ascoltata.
Per questo avevo smesso di confidarmi con mia madre, perché lei era talmente ossessionata dal sapere tutto di me da spiarmi e invadere la mia privacy. Aveva perso la mia fiducia, e lo sapeva bene, ma non faceva nulla per riguadagnarsela, anzi.
Per colpa sua avevo smesso di scrivere sul mio diario e avevo anche deciso di bruciarlo, così che non potesse più leggere nient'altro. Era sempre stata ossessionata dal controllo che poteva e doveva avere su di me, ma ormai non ero più una bambina e lei, certamente, non era una madre modello.
Non avevo nemmeno una figura paterna. Non ho mai saputo chi fosse mio padre e l'argomento, ormai, era off-limits. Sapevo solamente che mia madre era rimasta incinta di me a venticinque anni e lui, appena saputo della gravidanza, si era volatilizzato. Non aveva mai voluto sapere niente di me, in diciassette anni non si era mai fatto vivo. C'era stato un tempo in cui ero curiosa di sapere chi fosse, volevo conoscerlo, ma col tempo non solo mi ero arresa all'idea, non volevo proprio saperne niente, come lui non aveva voluto saperne di me.
Ci aveva lasciate sole, ma a prendersi cura di noi erano stati i miei nonni materni. Erano sempre stati dolci e gentili con me, ci avevano aiutato quanto più potevano, ma il nonno ci ha lasciati troppo presto. Avevo otto anni e non mi avevano subito informata; ero venuta a saperlo qualche giorno dopo, me ne hanno parlato con cautela, ma non mi hanno mai mentito sulla sua morte. Nella mia famiglia le bugie erano un sacrilegio, tutto si fondava sulla verità.
STAI LEGGENDO
Gioco perverso
Mystery / Thriller«Lasciami in pace, ti prego.» «Non adesso. Ora è tempo di giocare, piccola Lèa.» Quando non fai che pensare a te stessa, ai tuoi limiti e non pensi a nient'altro, tutto il resto ti sfugge di mano. Rifiuti persino la protezione e la fiducia delle per...