Capitolo 10 - Occhi inermi

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⚠️ ATTENZIONE ⚠️
Prima di leggere il capitolo vi prego di leggere queste poche righe:
Non aggiorno da tanto tempo e vi chiedo scusa. Vorrei tanto riuscire ad essere costante, purtroppo quando ho tante cose per la testa non riesco a scrivere mezza riga.
Però voglio rassicurarvi, ho già detto e ripetuto che questa storia non rimarrà incompleta, la terminerò, e in ogni caso siamo quasi alla fine (mancano 2 massimo 3 capitoli).
Non vorrei giustificarmi ma in questi mesi mi sono dovuta prepare a degli esami difficili e in più ero impegnata col lavoro, riuscivo a malapena a studiare e continuare a scrivere sinceramente era l'ultimo dei miei pensieri.
Ora ho finito con gli esami (sono andati stra bene se dovesse interessarvi ahaha) e per il momento non lavoro più, perciò ho il tempo per scrivere.
Spero di aver risposto a tutte le vostre domande e vi chiedo nuovamente scusa, spero però che possiate capirmi.
Detto ciò vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia! Vi auguro sempre il meglio 🥰

🌈🌈🌈

Credevo di esser caduta nel vuoto. Di annegare nell'oscurità della mia mente, persa, priva di coscienza.

In realtà non era stato così. Avevo quasi sperato di addormentarmi e non svegliarmi più. Di perdermi nell'oblio e non far più ritorno.

Ma il mio cervello non ne voleva sapere di spegnersi, di accantonare i pensieri sottili come corde argentate che si raggomitolavano su se stesse ancora e ancora, diventando nere e pesanti. Da tese a malleabili, ricoperte da un liquido immondo e inconsistente, diventando il vuoto.

Ero ancora riversa a terra, che fosse da ore o qualche secondo non sapevo dirlo, e nemmeno mi interessava. Ormai non sapevo più cosa avrebbe dovuto interessarmi. Non mi ero nemmeno preoccupata di spostarmi dalla mia stessa pozza di vomito, che ormai mi aveva imbrattato i vestiti, inondandomi le narici di un odore nauseabondo.

Nonostante non avessi smesso di tremare neppure per un secondo, e i conati avevano continuato a risalirmi per la gola, brucianti e spinosi come non mai, non avevo più vomitato. Probabilmente perché non avevo altro nello stomaco.

Non facevo altro che sputare saliva, nel vano tentativo di cancellare non solo il sapore disgustoso che avevo in bocca, ma la sensazione di marcio che sentivo fin dentro le ossa.

I miei occhi erano ancora serrati, terrorizzati all'idea di poter tornare a vedere e incontrare la causa del mio malessere. E non solo.

In quel lasso di tempo, nonostante mi sentissi sopraffatta da mille emozioni differenti, non avevo smesso di riflettere. I pensieri si erano accavallati uno sopra l'altro, svelti, a volte insicuri e timorosi di venire a galla, ma comunque rapidi ad intasarmi la mente, come nuvole nere a oscurare un cielo già spoglio di stelle.

E alla fine realizzai la orribile e atroce verità. Da quando ero stata rapita mi ero illusa, avevo sperato di poterne uscire, completando quel puzzle che lui stesso mi incitava a portare a termine. Ma avevo anche capito che lui non lasciava nulla al caso, e che, se lì si trovava un terzo manichino, spoglio e senza targhetta, significava qualcosa, e quel qualcosa potevo essere io. Perché lasciarlo lì, altrimenti?

Non ebbi nemmeno il tempo di commisermarmi, perché balzai in piedi come una molla allo scatto di una serratura, sorprendendomi delle mie gambe che non cedettero, nonostante barcollassero. Mi voltai indietro, ma la porta da cui ero entrata era accostata, come l'avevo lasciata. Alle mie spalle sentii il cigolio di una porta che veniva aperta, un suono stridente e macabro che si prolungò lungo la mia spina dorsale, come un ragno che si arrampicava sulla sua tela.

Col corpo ricoperto di pelle d'oca, e le mani tremanti, mi voltai. Per un attimo i miei occhi si soffermarono sul manichino di Meredith, come a volermi accertare che non fosse stata solo un illusione, ma spostai immediatamente lo sguardo, sentendomi percuotere dall'ennesimo conato.

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