Capitolo 2 - Collera

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In quei ultimi giorni non rivolsi più di tanto la parola a mia madre; ero arrabbiata con lei per non avermi dato il permesso per dormire a casa di Jodie. Era la mia unica amica in città, per caso il suo intento era che tornassi a non averne? Per lei sarebbe stato più semplice controllarmi, probabilmente.

Però, non aveva contato un particolare: aveva cresciuto una figlia testarda. Una figlia che, oltretutto, era stufa di dover fare sempre ciò che voleva, di essere costantemente controllata. Quel giorno ero sicura, avevo preso la mia decisione e non avrei più cambiato idea: d'ora in poi avrei deciso sempre con la mia testa.

Chiusi gli occhi per mezzo secondo prima di scendere le scale in legno, che scricchiolavano ad ogni passo, e raggiungere la cucina, dove mia madre mi attendeva per la cena. Mi obbligai a tenere la testa alta, per infondermi coraggio; ero determinata a farle capire che non sarei più stata un giocattolo nelle mani di un burattinaio. «Ciao tesoro» mi salutò, quando mi sedetti al tavolo.

Aveva preparato il pollo al curry; era il mio piatto preferito e non lo preparava quasi mai, non solo perché non era praticamente mai a casa, ma anche perché non era un ottima cuoca. Quando lo cucinava era o per tornare nelle mie grazie - sforzo vano - o per addolcirmi la pillola; non sapevo, quella sera, quale sarebbe stato il suo intento.

Mangiai in silenzio, in sottofondo la televisione che mandava in onda una telenovela, mentre mia madre mi raccontava qualcosa del suo lavoro, ma non la stavo a sentire, avevo la testa da tutt'altra parte. Pensavo a come, finalmente, mi sarei imposta su di lei; alle parole che avrei dovuto usare, il tono in cui averi dovuto pronunciarle. Volevo essere chiara e concisa, senza dovermi soffermare su cose futili. Sapevo che avrebbe avuto da ridire, ne ero sicura, ma questa volta non avrei ammesso repliche alla mia decisione e a quelle future. Avevo diciassette anni e avevo il diritto di poter vivere la mia vita, quella vita che lei mi aveva dato ma non mi lasciava condurre.

«Léa, ti devo parlare.» Mia madre interruppe i miei pensieri facendomi alzare lo sguardo su di lei. Nel suo volto scorgevo l'angoscia e la preoccupazione, per cosa di preciso non ne avevo idea. La guardai, attendendo che continuasse.

Rimase in silenzio. Mi guardava, l'angoscia sempre più visibile nei suoi occhi. «Mamma?» la richiamai. Iniziavo a preoccuparmi. Guardava ovunque, tranne me; cercava in tutti i modi di non incrociare i nostri sguardi. «Cosa c'è? Cos'è successo?» Iniziava a spaventarmi e, di conseguenza, ad irritarmi.

«Bambina mia...» A quelle parole, iniziai a preoccuparmi sul serio. Non mi chiamava mai "bambina mia", non lo faceva da anni e, quando pronunciava quelle parole, valeva a dire che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.

Si alzò di scatto, strisciando la sedia contro il pavimento e provocando un suono stridulo che mi infastidii. Borbottò qualcosa, con un tono talmente basso che mi impedii di comprendere le sue parole. «Che?»

«Prepara la tua roba!» urlò. Il suo cambio di tono mi spaventò. «Perché?» Avevo paura di conoscere la risposta.

Si passò una mano fra i capelli, un gesto dettato dal nervosismo. «Ci trasferiamo.»

Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno volto. Ci misi qualche secondo ad articolare una risposta e non fu delle migliori. «Cosa?»

«Hai capito, ci trasferiamo. Andiamo a Bangor, nel Maine. Inizia a preparare la tua roba, partiamo domani nel pomeriggio.» Ero confusa, stavo ancora cercando di elaborare le sue parole. La rabbia non ci mise molto ad arrivare; era forte, impetuosa, ed io mi lasciai andare ad essa.

«E me lo dici solo adesso? Così? Ma ti rendi conto?» iniziai ad urlare anch'io. Questa volta non avrei ubbidito come un cagnolino. Ero uscita da camera mia determinata ad impuntarmi sulle mie decisioni e lo avrei fatto, a qualsiasi costo.

«Ti devo anche fare un disegnino? Non sei più una bambina.»

«Appunto, non sono più una bambina! Le decisioni le prendo da me d'ora in poi.» Ero su di giri. Non volevo trasferirmi, non dopo, finalmente, aver trovato un'amica ed un ragazzo che mi amasse. No, non sarei partita.

Lei si blocco, interdetta. «Cosa vorresti dire?»

«Io non vengo con te.» Questa volta, non urlai. Usai un tono deciso, che non ammetteva repliche. Ma, ovviamente, mia madre replicò.

Scoppiò in una risata amara e canzonatoria. «Certo che verrai con me.»

«No» risposi di getto. Non ero solo infuriata, mi sentivo forte, inarrestabile. Quanto mi sbagliavo sulla mia forza. «Non vengo. So cavarmela benissimo da sola. Mi troverò un lavoro, che ne so... farò qualcosa, ma non vengo con te.»

Non le lascai il tempo per rispondere e, a grandi passi, uscii dalla cucina; velocemente attraversai il salotto e, in fretta, aprii la porta di casa. Sentivo le sue urla, mi gridava di tornare a casa, di non comportarmi come una bambina, ma io non l'ascoltavo. Iniziai a correre, più veloce che potevo, il più lontano possibile da casa mia e da mia madre. Ero furibonda. Non volevo più vederla.

Correvo senza sosta, nemmeno mi preoccupavo di che direzioni prendessi. Non avevo idea di dove fossi, ma non importava, volevo solamente allontanarmi. In quel momento, credetti di odiare mia madre come mai prima d'ora. Sentivo un odio profondo, nei suoi confronti. Lo sentivo crescere dentro di me, annidarsi nel mio corpo, sotto la pelle, nella mia mente. Il mio corpo tremava, non per il freddo, ma per le mille emozioni diverse e contrastanti che in quel momento stavo provando. Tutto il mio corpo era in subbuglio, ogni mio pensiero non sembrava avere un senso. Respiravo a fatica, sentivo i miei occhi andare a fuoco, ma non volevo piangere; non lì, non in mezzo a tutte quelle persone che mi guardavano come se fossi stata pazza.

Ricominciai a correre; camminai verso un piccolo parco desolato. Mi sedetti a terra e mi strinsi le ginocchia al petto. L'unica cosa a cui pensavo era di dover chiamare Michael; lui sarebbe venuto a prendermi, ovunque fossi, mi avrebbe consolata e tenuta con lui. Mi tastai le cuciture dei pantaloni, in cerca del cellulare che, fortunatamente, tenevo sempre con me. Immediatamente, composi il suo numero.

Rispose al secondo squillo. «Pronto?»

«Michael?» pronunciai il suo nome con un tremolio nella mia voce che faticavo a riconoscere. I singhiozzi iniziarono a scuotermi, le lacrime salate scorrevano veloci sul mio volto.

«Léa? Stai piangendo? Cos'è successo?» il suo tono era evidentemente preoccupato, riuscivo a sentire l'agitazione in lui, ma non volevo farlo preoccupare, volevo solamente che venisse da me e mi abbracciasse finché non avessi finito le lacrime.

Non risposi subito. I singhiozzi erano sempre più frequenti e faticavo a pronunciare una frase. «Io... Vienimi a prendere» sussurrai con un filo di voce.

«Dove sei?» mi domandò, ma non lo sapevo, non ero mai stata in quella zona; non sapevo assolutamente dove mi trovavo. «Léa? Ssh, piccola, non piangere. Stai tranquilla, okay?» Michael cercava in tutti i modi di tranquillizzarmi, ma non riuscivo a controllare i miei singhiozzi; sembrava avessero preso il controllo sul mio corpo.

«Léa, riesci a inviarmi la tua posizione? Attiva il GPS». Gli risposi di sì e, con le sue spiegazioni, riuscii ad inviargli la mia posizione. «Hey, piccola, calmati, sarò lì tra poco» continuava a rassicurarmi per telefono, dicendomi che sarebbe venuto a prendermi entro pochi minuti.

Ma Michael non arrivò mai. O forse sì, non saprei dirlo con certezza, visto che quella a non rimanere dove lui mi aveva raccomandato di restare, fui io.

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N/A:

Buona pasquaaaa anche se è stata 3 giorni fa. Scusate ma pasquetta mi ha uccisa e non sono stata in condizioni di fare nulla per due giorni. Voi come l'avete passata?

Comunque, so che questi capitoli sono corti, e i prossimi saranno così ancora per un po', poi forse diventeranno nettamente più lunghi ma dipenderà tutto da come gestirò la cosa (speriamo nel migliore dei modi).

Avviso che la storia non sarà molto lunga, ma dipenderà tutto dalla lunghezza dei capitoli che ora come ora sto tagliando, perciò non so, si vedrà.

Spero che il capitolo via sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate!

Non ho altro da dire, vi auguro il meglio. Un bacio💘

Gioco perverso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora