Capitolo XXXVI

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"Tu a couché avec moi"

Poche parole sibilline e Rebecca si sentì offuscare la mente. Chi aveva scritto quel biglietto? Chi gliel'aveva gettato così rudemente attraverso la finestra? E soprattutto: era questa una minaccia, un avvertimento, una denuncia?

Accartocciò il foglio strappato e lo gettò in un angolo, tremando di paura. Tenne da parte la pietra, pensando a come poter spiegare la sua presenza nella stanza che non lasciava da settimane. Se l'avesse nascosta bene le serve non l'avrebbero trovata; non ci sarebbero stati problemi. L'avrebbe nascosta, infatti, ma qualcuno bussò alla porta prima che ne avesse il tempo. Perciò la lasciò cadere sotto il letto, sperando che passasse inosservata. Invitò ad entrare: ed ecco apparire Abraham, scuro in volto, anzi davvero adirato.

«Rendetevi presentabile e scendete» ordinò, lasciandole lo spazio per precederlo. Le disse che qualcuno voleva vederla. Arrivata nella sala in cui venivano ricevuti gli ospiti incontrò gli occhi scuri di un uomo ebreo di mezza età, vestito sontuosamente, intento fino a un attimo prima a conversare con un Solomon piuttosto incupito. Vedendola arrivare lo sconosciuto ammutolì e scambiò rapide occhiate con padre e figlio, poi si fece avanti e si presentò: «Shalom! Io sono Joseph ben Jacob, medico personale di Sua Maestà re Richard; se non sbaglio, voi siete Rebecca di York»

«E' esatto» rispose gentilmente, aspettandosi un qualche messaggio da parte del sovrano e preparandosi all'idea di dover andare al castello.

«Mi rincresce conoscervi in circostanze spiacevoli come questa» confessò Joseph, abbassando gli occhi. Rebecca aggrottò la fronte e confessò a propria volta di non capire.

«Voi vi siete recentemente fidanzata con quest'uomo, non è vero? - domandò quello e, a un suo cenno, proseguì - Mi spiace davvero dovervi rimproverare, ma voi non siete nelle condizioni onorevoli per potervi sposare»

«Come osate? - lo interruppe Rebecca, alterandosi - Voi mettete in dubbio la mia integrità?»

Joseph le dedicò uno sguardo molto particolare, uno sguardo che lei non seppe interpretare fino in fondo. Poi le disse, parlando molto lentamente: «Brian de Bois-Guilbert mi ha rivelato di aver dormito con voi nel periodo in cui siete stati insieme nella foresta»

Rebecca stava per protestare contro tali insinuazioni, quando le divenne chiaro il significato del biglietto. Qualcosa però non tornava e lo rivendicò: «E quando ve l'avrebbe detto? Da quanto so, quell'uomo è morto la mattina dell'esecuzione...» Usava un tono duro e indifferente, ma la voce tremava e il viso si colorava di tinte rosse. Abraham studiava i suoi gesti e le sue parole per cogliervi non sapeva bene cosa; Solomon ascoltava con volto turbato.

«Brian de Bois-Guilbert è vivo e sta bene - disse il medico Joseph, e nel farlo sorrise leggermente - E mi ha confidato quanto vi ho detto. Sono qui per assicurarmi che sia la verità e non una vile menzogna... Ne va della rispettabilità di questa famiglia»

Rebecca trasse un respiro profondo e si affidò alla speranza: «E' così - ammise giungendo le mani sul grembo - Abbiamo dormito insieme»

«E pensavate che io non me ne sarei accorto?!» strillò Abraham, quasi aggredendola. Solomon redarguì il figlio per il suo comportamento e il medico lo allontanò.

«Questa donna pagherà secondo la Legge - assicurò questi, e proseguì - Secondo la Legge, appunto, dovrà corrispondervi una somma congrua al danno subito. Inoltre, il cavaliere cristiano vi ripagherà ulteriormente. Quanto a voi, Rebecca di York, dato che il peccato è stato commesso prima del contratto matrimoniale, si è compiuto in un'epoca in cui eravate libera da qualsiasi vincolo e per di più vittima di rapimento senza possibilità di essere salvata. Secondo la Legge, il cavaliere dovrà risarcire il danno che vi ha arrecato oppure sposarvi senza richiedere dote»

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