Un giorno prima
Jimin non dormì la notte scorsa, non dopo aver incrociato gli occhi del rapper ed essersi perso in quel mare di inquietudine. Era domenica mattina, una noiosa domenica d'inverno dal tempo insicuro e dalle case già riscaldate. Jimin amava quelle giornate; aveva sempre tempo per poter sdraiarsi sul suo letto e riflettere, lasciando che i pensieri prendessero il sopravvento.
Ma quella domenica c'era solo un unico pensiero che lo tormentava, un unico momento che continuava a ripetersi nella sua mente come un disco rotto: Min Yoongi. Perché quello, era il suo nome. Non Agust D.
Non avrebbe finto con se stesso pensando a Yoongi come ad un pensiero di troppo, scomodo. Si era stancato anche nel sentire quel senso di colpa perforargli il cuore ogni volta che i loro occhi si incrociavano, ma anche più semplicemente, quando qualcuno nominava il suo nome.
Accettare significava far finalmente ciò per cui Jimin sentiva di essere nato, donare qualcosa solamente danzando. Significava anche crescere, mettere da parte un pregiudizio ed un ricordo. Significava anche che la sua agenzia, finalmente, avrebbe concluso il suo periodo di training e, se tutto andava bene, avrebbe potuto debuttare come solista.
Rifiutare significava tutto il contrario. E significava, soprattutto, dire addio a Min Yoongi, significava dirgli per l'ultima volta "Addio" e questo sarebbe stato conclusivo. Era quasi strano come Jimin provasse un senso di rabbia alternato da un senso di vicinanza, di calore familiare quando si trovava vicino a Yoongi.
Era un po' come con Suga, si sentiva sempre protetto dal più grande e si sentiva a casa.
La sua porta si spalancò velocemente, lasciando che la corrente cominciasse a circolare più di prima e che Jimin, ancora sdraiato sul letto, ne venisse accolto.
"Oppa? Sei vestito?" chiese la voce lieve di sua sorella, Jinhye. Jimin si alzò e si appoggiò sui suoi gomiti, lasciando che una breve risata coprisse l'aria fredda che circolava nella camera.
"Si, Jinhye" rispose Jimin, vedendo sua sorella abbassare la mano che le copriva gli occhi.
"Oppa, cosa succede?" chiese preoccupata, avvicinandosi al letto del fratello e sedendosi sul pavimento. Jinhye e Jimin avevano due anni e mezzo di differenza, quando lui aveva cominciato il Liceo artistico di Seoul sua sorella cominciava a diventare un'adolescente e a non essere più l'innocente, solare. Erano cominciate le amiche e le porte sbattute troppo ferocemente e per Jimin era arrivata la prima sega da parte di un ragazzo ed i suoi primi "Sei mio, Jimin".
Lei e Jimin non avevano trovato più nulla in comune, dopo aver passato un'infanzia a sapere cos'era. Jimin si diceva sempre che l'adolescenza aveva cambiato entrambi, che d'improvviso lui non era poi così importante nella vita di Jinhye e lei non era così importante nella vita di Jimin.
Però, per non aver più nulla in comune, Jinhye sembrava aver notato qualcosa di strano nel fratello. In parte era quello che voleva Jimin, chiedere qualcosa di impreciso. Che poi era accaduto con Jinhye, invece che con chiunque altro, era tutta un'altra storia.
"Nulla, Jinhye" rispose Jimin, stringendosi nelle spalle. La sorella lo guardò curiosa, girando la testa di poco e mostrando uno sguardo scettico.
"Oppa, non sai mentire. Lo sai?" disse Jinhye più curiosa sul fratello, che arrabbiata per la palese bugia.
"Yah, Jinhye! Sono sincero, va tutto alla grande" esclamò Jimin, leggermente annoiato. Una cosa era mantenere il dolore per se, nascosto sulla superficie dell'invisibilità ed una cosa era lasciarlo libero a distruggere ogni più piccola sua parte.
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Guilty stage
RomanceE se un giorno Agust D, uno dei rapper più famosi in sud Corea, avesse bisogno di Park Jimin, semplice ballerino della Cube? E se Park Jimin odiasse Agust D? Cosa accadrebbe se i due avessero bisogno l'uno dell'altro? Well come descrizione fa schif...