✔ CAPITOLO 7: SBARCO IN PARADISO

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Dopo un'ora dall'incontro con il tizio del bar, sentimmo l'auto parlante del ponte gracchiare il nostro arrivo al porticicuolo sulle coste dell'Epiro.

Simone si era preoccupato già prima della colazione di sistemare i bagagli davanti la porta della stanza, facendo accrescere in me il senso di colpa per non averci pensato minimamente.
Alleggerite di un paio di teglie e qualche bottiglia in meno, riuscii a trascinarmi valige e borsoni fino alla passerella di sbarco, mentre il traghetto ormeggiava vicino la banchina;
lo spettacolo che mi si parò davanti compensò alla grande le mancanze innovative di quel semplice pontile di pietra dove saremmo scesi.

L'Epiro a differenza del resto della Grecia, era una terra contaminata di più dai boschi e le coste sono completamente inglobate nella vegetazione.

Di un verde sgargiante si apriva davanti a noi il porto di Mourtos in Sivota, circondato da una fitta vegetazione che sembrava volesse entrare anch'essa in acqua, interrompendosi su una sabbia bianco latte di piccole dimensioni; la costa più che sabbiosa era quasi del tutto roccia bianca, e solo sul fondo si apriva una radura di sabbia, una piccola culla per far spazio ai turisti vogliosi di provare le acque cristalline di quel paradiso. In netta contrapposizione, il colore del mare cambiava in base al suo fondale; vicino la costa trasparente per andarsi a scurire verso il largo, in alcuni punti più che in altri, a causa delle barriere e dei rialzi di roccia naturale.

Poco più in alto si affacciava un gruppetto di case dai colori vivaci, da in mezzo agli alberi. Un piccolo recidence si era fatto spazio al centro di quella magnifica conca naturale, facendo sbucare una piscina poggiata sulle rocce della parete.

"Bello vero?" chiese Simone, intento quanto me ad ammirare il panorama che ci si parava di fronte; risposi solo con un cenno del capo, il resto, sarebbero state parole gettate al vento. Quel posto non aveva bisogno di essere presentato, lo faceva da solo e lo faceva benissimo.

Scendemmo dalla passerella e ci fermammo sotto la fermata di un autobus, un po' vecchiotta e senza indicazioni di quali linee sarebbero dovute passare da lì. Simone tirò fuori dallo zaino la cartellina con le indicazioni per poter arrivare al nostro recidence "non possiamo arrivare con un autobus, dobbiamo chiamare un taxi, è un po' lontano e lì non passano mezzi pubblici" "quanto dista?" gli chiesi continuando a guardarmi intorno cercando un taxi o anche solo la parvenza di un mezzo a quattro ruote. "Un'ora. E' completamente nascosto nel bosco quindi credo che sia più un rifugio che un recidence, e dovremo farci a piedi un tratto visto che non si può andare fini in fondo con la macchina".

Fermò un ragazzo chiedendogli in inglese il numero per un taxi e dopo un paio di tentativi riuscì a farci raggiungere al porto.

Dopo dieci minuti arrivò una vecchia Fiat Tipo del '92, giallo sbiadito con la carrozzeria non esattamente integra; alla guida un signore sulla settantina con un paio di baffi che lo faceva somigliare a Super Mario, fece capolino dal finestrino dell'auto parlando in greco e facendoci segno di avvicinarci. Simone si avviò per primo cercando di capire cosa stava dicendo e mostrandogli il foglio con il nome del rifugio/recidence che avremmo dovuto raggiungere, il taxista continuava a gesticolare non capendo cosa stesse cercando di dire e Simone continuava a tentare in inglese e italiano.

Di punto in bianco le mie labbra si mossero da sole come in trance pronunciarono in greco "na mas pàrete sti diéfthynsi pou ypodeiknyetai, parakalò" Simone si girò a guardarmi con gli occhi sgranati "sai il greco? è mezz'ora che cerco di farglielo capire e tu te ne esci adesso come se niente fosse!?" sibilò guardandomi in cagnesco "di che stai parlando non ho detto niente" sussurrai in preda a un capogiro poggiandomi alla macchina gialla il cui paraurti si manteneva per miracolo con dei lacci neri al resto della carrozzeria "stai bene" mi raggiunse Simone con uno sguardo accigliato "dai saliamo in macchina".

Mi prese per mano e mi fece salire sul sedile di avanti mentre con il taxista caricava i bagagli nella macchina "ma qui ci sono altre valigie" e un dubbio mi invase la mente, feci il giro della macchina andando a controllare.
Mia madre era riuscita a farmi arrivare i borsoni all'ufficio postale del luogo. La chiamai "mi spieghi come diavolo hai fatto?" " a fare cosa tesoro?" "come fanno a esserci i bagagli gia' nel taxi che dovevamo prendere" "perché è l'unico taxi del posto! Quelli dell'ufficio parlavano inglese e gli ho spiegato che sareste arrivati da li a poco. Gli ho dato l'indirizzo dell'alloggio e il resto hanno fatto loro" "tu mi fai paura" "ahahah a dopo Taby" e chiuse la telefonata "è stata mia madre, è convinta che andiamo in missione in Afghanistan, è altro cibo" confessai a Simone con un sospiro. Mi guardava stralunato "ne conosco solo il nome e la faccia e già mi fa paura quella donna" "non sai a me" borbottai mentre risalimmo in macchina per partire.

Dalle casse dell'auto risuonavano le note di un Sirtaki, il taxista canticchiava e ciondolava la testa a ritmo mentre un paio di dadi pelosi ballavano appesi allo specchietto retrovisore. Mi persi ad osservare il paesaggio fuori il finestrino abbassato. Seppur fosse aprile c'erano venticinque gradi sicuri e il sole risplendeva alto illuminando e mettendo in risalto l'intonaco greco bianco come la neve, che circondava quasi tutte le strutture eccezion fatta dei tetti, delle finestre e delle porte che spiccavano in mezzo a quel bianco grazie ai colori vivaci e delle piante, credo fossero bounganvillea, con fiori tendenti al magenta e foglie verdi smeraldo.
Ogni tanto sbucava un pigro gatto da dietro qualche muretto, qualche signora anziana passeggiava e davanti i bar i vecchietti bevevano un liquore o giocavano a carte.
Poco più in la su strade in salita si adocchiavano gli asini, che lì ancora utilizzano sia per portarsi delle merci in giro che come mezzo per portare le persone da un lato all'altro del paese. Una realtà completamente opposta a quella che sono sempre stata abituata a Roma, tra caos, macchine, urla dei commercianti e smog. Lì a Sivota sembrava completamente fuori dal tempo.

Poco dopo uscimmo dalla parte residenziale e ci inoltrammo in strade mal asfaltate fino ad inoltrarci nella parte interna della regione.
"Simone andremo direttamente al sito del templio o ci fermiamo altrove?" "per arrivare lì ci vogliono un po' di ore di viaggio, ci fermiamo a Perdika per la notte e poi continueremo con il viaggio domani mattina".

Dopo un'ora buona di viaggio iniziai ad intravedere la città di Perdika, un po' come Sivota, è avvolta dalla vegetazione. Dinanzi a noi si aprì la vista di una spiaggia bianca molto più spaziosa e lunga, lunghe file di ombrelloni seppur ancora chiusi, si dilungavano per tutta la grandezza della spiaggia. Il porto era pieno di imbarcazioni che entravano ed uscivano, merito della temperatura alta, la gente era uscita per una gita, altri invece le pulivano e controllavano le condizioni delle vele dopo l'invernata passata. Una città più moderna con un altro tipo di turismo. Sulle vie principali che si affacciavano sulla costa che stavamo percorrendo, le insegne dei pub e dei cocktail bar spente a causa dell'ora.
Il nostro albergo si trovava poco distante dalla spiaggia e sembrava addirittura promettere bene. Scendemmo davanti il portone scaricando i borsoni e le valigie "ci vediamo domani qui alla stessa ora!" Simone pronunciò al suo cellulare, si era scaricato un traduttore vocale per poter parlare con eventuali albergatori o taxisti. Il taxista annuì e dopo che lo avemmo pagato se ne andò con il sirtaki che pompava a un volume esageratamente alto dalla macchina.

"Ahhh era ora!" esclamò stiracchiandosi Simone come se avesse fatto una maratona. "ma se hai dormito per tutto il tempo!" "non è vero ero solo in silenzio!" "se vabbè raccontalo a qualcun altro" gli risposi di rilancio iniziando a portare le valigie nella reception. "buongiorno signori come posso esservi utili?" ci rispose la receptionist in italiano perfetto con un accento del sud Italia "che bello qualcuno che parla italiano! Credo che abbiamo prenotato una doppia" "a nome di chi?" "Gerini" rispose Simone alle mie spalle "ah... signori abbiamo avuto un problema.." "che vuol dire non c'è una camera per la notte?" "c'è solo che è una matrimoniale. Nella stanza che avevamo riservato a voi è scoppiata una tubatura purtroppo e non l'hanno ancora riparata" "non c'è problema va bene la matrimoniale" rispose Simone al mio posto, e prima che potessi controbattere afferrò la chiave al mio posto dirigendosi all'ascensore con i bagagli. "chi ti ha detto che a me stia bene dormire nella stessa stanza con te!?" gli sibilai contro una volta nell'ascensore "non mi pare abbia avuto obiezioni in traghetto no? La stanza era una " rispose sbuffando "si, ma i letti erano separati!" "non ti mordo principessa non preoccuparti" mi derise facendomi un occhiolino e uscendo dall'ascensore, lasciandomi con le mani che prudevano.

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