Lost in time [Zelink]

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Di fronte a me stava Zelda. I capelli biondi le coronavano delicatamente il viso, che fino a poco prima ricordavo come quello di una bambina. Era cresciuta, lei, ed ero cresciuto anche io.

Certo, entrambi eravamo cresciuti in modo leggermente particolare. Lei aveva passato sette anni a nascondersi, io ero rimasto rinchiuso in un sigillo, trovandomi nel corpo di un adulto che non riconoscevo come mio. Ero dovuto crescere velocemente, e per certi versi mi sembrava di avere ancora il cuore di un bambino a battere nel mio petto. Il cuore di qualcuno che ha, per gli anni a venire, la speranza di una vita felice, la falsa consapevolezza di un mondo magnifico.

Ma tutto ciò di fronte a cui mi ero ritrovato mi aveva strappato ogni convinzione. Il mondo è crudele, e se non ti strappa via le persone a cui vuoi bene facendole sprofondare nel baratro te le fa soffrire davanti, tanto da farti lacrimare gli occhi. Il mondo non ha pietà, e si prende gioco delle vite altrui.

Così aveva fatto con me. La vita mi aveva messo alla prova, sfidandomi ad ogni maniera. Strappandomi alla mia casa, facendomi abbandonare coloro che amavo, dandomi in mano in una spada e dicendomi che dovevo salvare il mondo, quando alla mia età gli altri bambini giocavano a nascondino e si limitavano a sognare la vita da eroi, addormentandosi ogni notte con il sorriso della propria madre. E soprattutto, con il cuore ancora colmo di speranze.

Ero stato costretto a crescere, a togliermi l'innocenza del bambino. E mi aveva fatto male.

E in tutto questo, nella mia confusione di ragazzino costretto a diventare adulto, in quel limbo dove il mio semplice voler tornare a casa e la consapevolezza di non poterlo fare perché il mio destino era quello del solitario eroe che viaggia all'eterna ricerca del male mi veniva voglia di piangere. Non avevo scelto io.

Io volevo restare a casa, volevo giocare, volevo svegliarmi e saltare tra gli alberi e sedermi con Saria sul nostro ceppo e suonare con lei, correndo nei boschi perduti. Volevo la mia casa.

Immerso in questi pensieri, sentii la voce femminile di Zelda, e la osservai negli occhi. Somigliavano ai miei, anche loro azzurri ed intensi.

- Link, dammi la tua Ocarina...

C'era qualcosa di strano nel suo sguardo. Speravo di non aver capito ciò che lei intendeva fare, ma la realtà si stava insinuando dentro di me. In qualche modo lo sapevo, dovevo tornare indietro.

Ma a quel punto sarei potuto tornare di nuovo a casa. Ma non mi sarei sentito più come prima. Oramai sapevo che quella non era la mia casa. Non più. Gli Hylians non vanno nei boschi perduti, non giocano con i Kokiri.

Se proprio dovevo continuare quella vita in cui ero costretto a vedere il mondo con gli occhi di un uomo, volevo farlo avendo di fianco qualcuno che mi dicesse " Casa".

E dal primo momento in cui avevo visto Zelda avevo sentito qualcosa. Come se lei fosse stata un'amica dimenticata.

Il suo viso, i suoi occhi, la sua voce, tutto in lei mi ricordava qualcuno. Non sapevo chi, ma sapevo di averla già vista.

In tutto quello che era successo lei era stata l'unica a non sembrarmi fuori posto, l'unica che, solo a vederla, mi rassicurava. Che sembrava un punto di riferimento per me. Che in qualche modo mi era familiare.

- È il momento per te di tornare a casa...

Zelda mi risvegliò da questi pensieri, portandosi l'Ocarina alla bocca ed iniziando a suonare una melodia dolce.

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