We have each other [Zelink]

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Io e mio padre vivevamo in una piccola casa al di sotto di Oltrenuvola. Le altre erano più in alto, dove la terra era pianeggiante e l'erba cresceva, mentre la nostra si aggrappava alla roccia al di sotto del villaggio, sospesa sopra il vuoto. Però mi piaceva.
Mia madre se n'era andata quando io ero nato, così mio padre mi aveva cresciuto da solo.
Lui era uno dei cavalieri che pattugliavano il cielo durante la notte, uno dei migliori che Oltrenuvola avesse mai visto.
Era il mio eroe.
Non avevamo molto, ma l'uno a aveva l'altro, ed era tutto ciò che importava.
Quella sera io ero sul suo letto, con il casco di mio padre tra le mani. Sapevo che un giorno sarebbe stato mio, volevo diventare come il mio eroe. Mi piaceva tenerlo tra le mani ed osservarlo, era un oggetto importante. Passai le dita sulle due grandi lenti di vetro, mentre mio padre entrava nella stanza.
Mi somigliava, avevamo gli stessi capelli di un colore tra il castano e il biondo, e gli stessi occhi azzurri. Aveva un poco di barba sul mento, e un'espressione calma, che mi infondeva sempre un senso di pace.
Saltai giù dal letto, sorridendo, e porgendogli il casco. Lui lo prese, scompigliandomi delicatamente i capelli, e se lo mise in testa.
Anche se usciva tutte le notti la cosa non mi spiaceva, perché sapevo che il giorno dopo l'avrei rivisto, e che durante la notte aiutava a mantenere la sicurezza ad Oltrenuvola.
Lo seguii, come ogni volta, tenendo la mia mano stretta alla sua, ero ancora talmente basso da dover sollevare quasi del tutto il braccio per potermi tenere a lui.

Quella notte era stato chiamato per una missione speciale. Mio padre mi aveva detto che era qualcosa di molto importante.
Arrivati alla piazza da cui di solito partivano i cavalieri vidi mio padre, di fianco a me, portare due dita alla bocca, fischiando con forza.
Spalancai gli occhi, assumendo un'espressione affascinata, mentre il solcanubi di mio padre si avvicinava, con le grandi ali spalancate, emergendo dal buio della notte.
I solcanubi mi attiravano come non mai, erano animali davvero magnifici, e io non vedevo l'ora di averne uno.
L'uccello atterrò davanti a noi, e a causa dello spostamento d'aria i miei capelli iniziarono a muoversi, scostandosi rapidamente dalla mia fronte.
L'uccello chiuse le ali, osservando me e mio padre con i suoi occhi dorati ed intelligenti.
Insieme agli altri cavalieri, che si trovavano qua e là nella piazza a salutare i parenti e a preparare i propri destrieri, mio padre sistemò il casco del solcanubi e vi salì in groppa, mentre io restavo a terra, osservandolo dal basso.
Nella piazza si sentiva un lieve brusio, tra le mogli che raccomandavano ai rispettivi mariti di stare attenti, i bambini che si affrettavano ad abbracciare i propri genitori, o provavano ad accarezzare il corpo coperto di morbide piume dei solcanubi.
A salutare mio padre erano venute altre tre persone, che non conoscevo se non di vista, stavano tutti vicini, a pochi metri da me, erano evidentemente una famiglia.
Il primo che notai fu un uomo dalla corporatura un poco grassoccia, quasi del tutto calvo e con due spesse sopracciglia bianche come i baffi, sapevo chi era, si trattava del direttore della scuola d'armi.
C'erano poi una donna un poco più bassa di lui, dai lunghi capelli biondi, e una bambina che sembrava somigliarle parecchio, con i capelli corti, che si teneva aggrappata alla sua gonna.
Mio padre alzò il pollice verso l'alto, abbassandosi il casco, e ci salutò tutti e quattro.
Disse che sarebbe tornato presto, e si sollevò in cielo, mentre io lo salutavo, agitando la mano, e seguendolo con lo sguardo fino a quando le ombre della notte non ebbero inghiottito lui e gli altri cavalieri. Non notai però due occhi che mi osservavano, poco dietro di me.

Mio padre, insieme ad un gruppo dei migliori cavalieri, si diresse verso il Cumulonembo.
Era il loro capitano.
Uno stormo di mostri si stava dirigendo verso Oltrenuvola, e la squadra di mio padre era stata mandata a fermarli prima che attaccassero il villaggio.
Lui li condusse in battaglia valorosamente, buttandosi nell'orda di mostri.
E, per tutta la notte, la battaglia proseguì.
Questo è quello che mi è stato raccontato.

A casa, io ero rimasto sveglio, ad aspettarlo. Ero appoggiato alla ringhiera della passerella in legno che collegava la mia casa con il resto di Oltrenuvola, e non avevo mai distolto lo sguardo dal cielo.
Avevo fiducia in mio padre, sapevo che sarebbe tornato. Non dovevo essere preoccupato per lui.
Eppure sentivo un enorme peso sul petto, che non voleva saperne di andarsene. Ma non c'era motivo di preoccuparsi, papà tornava sempre a casa.
Finalmente, dopo quella che mi sembrò un eternità, la squadra di mio padre tornò a terra. Vedevo le figure dei solcanubi attraversare il cielo notturno e andare verso la piazza.
Alzai lo sguardo, separandomi bruscamente dalla ringhiera, e iniziando a correre per venire incontro a mio padre, continuando a guardare il cielo.
Arrivato in piazza vidi i cavalieri, seguiti dai loro solcanubi. Aveva iniziato a piovere, e le fredde gocce d'acqua mi bagnavano i vestiti.
Nessuno parlava, e tutti mi passavano di fianco evitando il mio sguardo. C'era silenzio, un silenzio che non mi piaceva, carico di tensione.
Nessuna traccia di mio padre.
Iniziai a guardarmi attorno, a destra e a sinistra.
Piano piano la piazza diventò vuota.
Aspettai... e aspettai.
Ma lui non si fece mai vedere.
Sentii però una mano sulla mia spalla, e mi voltai, con un nuovo sorriso sulle labbra, pronto a salutare mio padre, a riabbracciarlo, a rivederlo.
Il mio sorriso però si spense subito.
Non era lui.
Il direttore della scuola d'armi mi fissava, con uno sguardo cupo.
Io abbassai le orecchie verso il basso, sperando che non lo dicesse.
Ma ormai un'orribile sensazione si era insinuata nel mio petto, e sapevo che forse per tutta la vita non me ne sarei mai liberato.
Il maestro della scuola d'armi mi mostrò l'oggetto che teneva tra le mani.
Il casco di mio padre era graffiato e ammaccato, con le lenti rotte. Me lo porse, e io lo presi tra le mani tremanti.
No.
Non poteva essere vero.
Non volevo crederci, lui non era morto davvero!
Gettai il casco a terra, e corsi verso la rampa da cui i cavalieri di solito partivano.
L'uomo tentò di afferrarmi per gli abiti, ma io fui più veloce.
Arrivai sull'orlo della rampa, portai le mani alla bocca e iniziai a chiamare mio padre, mentre la pioggia continuava a bagnare i miei vestiti, e a farmi sentire un freddo che mi gelava fino alle ossa.
Ma non m'importava.
Chiamai il suo nome nella notte, sperando che lui potesse sentirmi.
Le lacrime cominciarono a scendere lungo il mio viso, mentre io continuavo a gridare.
Ancora e ancora... Finché la mia voce non scomparve.

Tloz [Raccolta Di OneShots E Storie Brevi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora