"You don't know me di Jax Jones".
***
Un mese e mezzo dopo.
Il tanto atteso momento è arrivato. La leggera brezza estiva di luglio mi si scaglia contro e io rimpiango gli orari del mio vecchio lavoro da Mark. Odio svegliarmi la mattina e mi trovo costretta ad ammettere che, nonostante tutti i nostri battibecchi, mi è dispiaciuto dire a quell'uomo che mi sarei trasferita a Las Vegas.
D'altronde, Margot Baldwin nel mondo tangibile non esiste più e, anche se lei vive dentro di me, per un po' dovrò indossare una maschera e riporre in questa ogni mio respiro. Non che mi dispiaccia scostarmi un attimo dalla mia vera realtà.
Sono circa le sette e mezzo e io mi trovo già fuori dall'appartamento in cui vivo ormai da un mese, comprato a spese dell'FBI. Mentre aspetto che il maledetto autobus arrivi alla mia fermata, rifletto sugli strani orari di lavoro – se così può essere definito – che i soci hanno.
Come mi piace ribadire spesso non mi ritengo una persona ipocrita, quindi ammetto che, al pensiero di dover tornare a casa tardi ogni sera, sono felice; meno resto chiusa tra quelle pareti opprimenti e meno sentirò la mancanza di una presenza intorno a me. La solitudine è una brutta bestia, che mi ha accolta quando ero ancora in fasce e che mi ha portata mano nella mano fino a Las Vegas.
I miei pensieri vengono interrotti dall'autobus che si ferma. Per mia fortuna è quasi vuoto, essendo una linea non utile per chi deve recarsi a scuola. Sempre che ce ne siano, in questa città.
Metto piede a terra dopo circa quindici minuti e noto, con mia grande gioia, di trovarmi abbastanza vicina al Dragon, il casinò dove lavorerò. La struttura è talmente imponente che sarebbe visibile persino a un cieco.
Approfitto del silenzio di una città che è restata sveglia fino a tardi e che ora riposa beatamente, per fumarmi una sigaretta. Tiro fuori il pacchetto di Marlboro dal mio zaino color petrolio, nel quale ho riposto anche dei vestiti di ricambio e boccetti vari per farmi la doccia, nel caso fossi costretta a non tornare a casa prima della fine del turno serale. Mi porto un po' di veleno alla bocca e poi, coprendolo con una mano per non far volar via la fiamma, lo accendo.
Subito il mio corpo prova sollievo nel sentir raschiare dentro di sé aria sporca e pesante, e così anche la mia testa mi ringrazia per averla resa più leggera. Ne avevo proprio bisogno per sentirmi ancora vicina a una realtà che, da adesso, non mi apparterrà più. È come se fosse il filo rosso che unisce le due Margot. Solo, un po' più dannoso di una striscia di tessuto.
Una volta arrivata davanti al Dragon, nel mentre che la sigaretta finisce, mi fermo a osservare la struttura. L'edificio è costituito da grandi vetrate scure con degli accenni di colore rosso e di oro su qualche parte, mentre in cima è presente una scritta luminosa che porta il nome del casinò. Più in basso, invece, è presente un led attualmente spento, sul quale non ho la più pallida idea di cosa venga trasmesso. Forse gli orari di apertura o frasi che hanno il compito di incitare la gente a entrare. Il tappeto che accompagna il cliente all'entrata è rosso e si trova al riparo dal cielo, ma, nonostante sia al sicuro da neve e pioggia, su di esso ci sono i segni di suole di scarpe bagnate. Mi chiedo con quale frequenza venga pulito. Non che m'interessi, ma sto cercando di distrarmi, perché a essere sincera sento di star per danneggiare la mia vita irreversibilmente.
Non appena arrivo al filtro della sigaretta, mi impegno a pestare bene ciò che rimane del composto di catrame che stringevo tra le labbra poco prima, e subito dopo mi avvio verso l'entrata sul retro.
Cercando rifugio nella mia giacca di jeans, suono la specie di campanello presente accanto alla porta antincendio che mi trovo davanti. Il muro è in mattoni rossi, tranne per una parte in alto che, invece, è ricoperta da uno strato vetrato.
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Prohibited
ActionÈ difficile avere una vita felice e spensierata quando non hai mai avuto la possibilità di parlare con i tuoi genitori, e questo Margot lo sa bene, tanto da sentire di non possedere più un cuore. Un anno dopo aver lasciato l'orfanotrofio che l'ha os...