10. In pugno

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"Tik Tok di Kesha".

***

Un tuono spacca in due pezzi il mio cervello, interrompendo turbolentemente un sonno tormentato. Sbatto con rapidità le palpebre e apro gli occhi, ma non riesco a sostenere la luce esterna. Fa troppo male, ma non capisco da dove provenga il dolore: da dentro o da fuori? Non so più niente, ormai. 

Scelgo di lottare contro il fastidio e forzo le iridi ad abituarsi ai forti raggi di sole che provengono dalle immense vetrate, le quali – dopo aver focalizzato – ricordo appartenere alla casa di Alexander. A questo pensiero, tutti i ricordi riaffiorano in me: le pistole, lo sparo, la mancanza d'aria, il ginepro nero.

Avvampo immediatamente per la reazione che ho avuto prima, quando ho invaso lo spazio di Alexander per rifugiarmi tra le sue braccia. Anche se, in realtà, è stato lui che non voleva che uscissi. Perlomeno, adesso non ho più la nausea.

Mi alzo dal divano in stoffa nera, situato sopra a un tappeto di pelo grigio e affiancato da due poltrone abbinate, per cercare il pistolero. Ecco, forse dovrei chiamarlo proprio così.

Distratta come sono sbatto il ginocchio contro il tavolino in vetro, rischiando di far cadere il vaso di fiori presente sopra di esso. Per mia fortuna, però, sono più veloce della sfiga, e mi salvo da un danno bello grosso, nonostante il dolore alla gamba sia quasi atroce.

Mi guardo attorno per cercare Alexander e noto il mio cellulare sul mobile vicino all'entrata: sicuramente lo avrà appoggiato lì dopo che mi sono addormentata, visto che io non ricordo di averlo fatto.

«Era l'ora».

Sussulto e mi volto a guardare il torello che, appoggiato allo stipite della portafinestra che si apre su un terrazzo in legno scuro, mi sta scrutando. Ha in mano una sigaretta e io, a questa visione, ne sto desiderando con tutta me stessa una.

«Continuiamo la lezione sulle pistole?» chiedo per sviare il discorso, alzando la testa in modo fiero. Mi sono ridicolizzata già troppo, perciò è ora di tornare la Margot di sempre – o almeno quella che voglio mostrare agli altri.

Lui sbuffa in una risata sarcastica, torcendosi verso l'esterno per portarsi nuovamente la sigaretta alle labbra: se è un fumatore, perché non può farlo direttamente in casa? L'odore non dovrebbe infastidirlo e per di più non vive con nessun altro.

«A quanto pare la tua testa è ancora tra le nuvole. Ti sei addormentata all'ora di pranzo e hai passato la notte qui, visto che non ne volevi sapere di svegliarti» afferma.

Perfetto. Perfetto. Perfetto. Perfetto.

«Che grandissima figura di mer-» mormoro, ma vengo interrotta da Alexander che, dopo aver spento la sigaretta, chiude la portafinestra e torna in casa. Ai raggi del sole il suo tatuaggio di spine risalta molto di più.

«Beh, comunque vai nel bagno del piano di sotto e sistemati, ché andiamo al Dragon» dice, per poi prendere le scale di fronte alla porta d'ingresso e recarsi al piano di sopra. Probabilmente, su c'è la sua camera.

Rimasta sola, realizzo in pochi secondi di aver dormito decisamente troppe ore sul divano di un membro del Cerchio e sbuffo profondamente. È ottimo, visto che il piano procede bene, ma dentro di me sento che qualcosa non sta funzionando bene, a parte la testa.

Passo una mano tra i capelli ormai del tutto sciolti dalla treccia che avevo fatto ieri e mi ammazzo. No, scherzo, magari.

La quiete di questo momento è impeccabile e penso di riuscire a sentire anche il cinguittio degli uccellini fuori. Bella visione fiabesca, oh, sì, ma a chi importa? Non a me.

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