𝟬𝟰 | 𝗥𝗶𝘂𝘀𝗰𝗶𝗿ò 𝗺𝗮𝗶 𝗮𝗱 𝗮𝘃𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗴𝗶𝗼𝗶𝗮?

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La suoneria del mio telefono interrompe il silenzio della mia stanza. Guardo lo schermo e vedo che si tratta di Carly, la mia migliore amica.

Trascino il dito sull'icona verde del telefono e rispondo alla chiamata.

Non faccio neanche in tempo a dire "pronto" che subito inizia a parlare.

«Stasera io e te andiamo a ballare. Ti voglio vedere con un vestito e dei tacchi. Ci prepariamo insieme a casa mia e poi andiamo a piedi all'Hunter, così possiamo bere perché non dobbiamo riprendere la macchina. Non accetto repliche. Ti passo a prendere alle nove» e riattacca.

Una migliore amica più strana di così non me la potevo trovare.

Rimetto il telefono dov'era prima, ovvero lanciato da qualche parte sul mio letto. Come mio primo giorno non è andato poi così male, escludendo James e il fatto che non stavo cercando un lavoro. Sono tentata di preparare dei documenti finti di cartelle cliniche che attestano la mia pazzia o che ho una malattia estremamente contagiosa ed estremamente mortale, per poi portarli a lavoro e lasciarli sporgenti dalla borsa e aspettare che James li legga. Così, giusto per passare il tempo e vendicarmi. Ieri mi ha guardata malissimo talmente tante volte che sono meravigliata del fatto che io sia ancora viva.

No, sul serio, penso che domani sia meglio non dargli le spalle, prima che tenti di mettermi un sacchetto di plastica in testa e soffocarmi. Ha l'aria di uno che ne sarebbe capacissimo, e saprebbe anche dove nascondere il cadavere. Vedo già gli articoli che usciranno sui giornali.

Giovane ragazza viene uccisa solo perché era troppo simpatica. Il padre chiede i soldi dell'assicurazione sulla vita dicendo: «mia figlia non mi ha mai restituito i soldi che le ho prestato per farsi un tatuaggio che poi non ha più avuto l'occasione di fare. E poi ovviamente ci sono anche i danni emotivi».

Oddio, mi faccio troppo film mentali.

Sono le sette di sera, ho due ore per scegliere il vestito, le scarpe, abbinarci una borsetta, preparare lo zaino da portare da Carly e farmi una doccia.

Non ce la farò mai.

Prendo fiato e urlo. «Mamma sali in camera mia, sono in pericolo!» Sento dei passi veloci sulle scale e poi la porta della mia camera viene aperta da mia madre, che tiene una ciabatta in mano.

Forse ho esagerato.

«Cos'è successo? Hai ucciso qualcuno? Qualcuno ti ha ucciso? Ma che dico, tu sei viva. Sappi che sei maggiorenne ora, quindi se hai davvero ucciso qualcuno finisci tu in prigione e non io.»

Il suo sguardo vaga velocemente per tutta la camera. Quando vede che è tutto a posto corruga la fronte. «Qual è il pericolo?» mi chiede, con sospetto.

Sospiro e faccio un sorriso di scuse. «Alle nove passa Carly a prendermi e non so che vestito scegliere per andare a ballare questa sera. Mi aiuteresti?»

Mia madre posa la ciabatta a terra e se la rimette al piede. Fa un sospiro esasperato – contenente tutto il pentimento nell'aver voluto diventare madre – e si siede sul mio letto. «È stata una tua decisione quella di mettere un vestito o Carly ti ha minacciata?»

«Carly mi ha minacciata.»

«Adoro sempre di più quella ragazza» dice con aria sognante.

Le scocco un'occhiataccia e non commento nemmeno.

Mia madre si alza e apre l'armadio, facendo un salto indietro quando crolla ai suoi piedi una pila di vestiti che avrei dovuto mettere in modo corretto dentro al mio armadio. Ops.

Si gira a guardarmi chiaramente contrariata e inizia a guardare tra i vestiti appesi.

Oddio, ho davvero chiesto aiuto a mia madre per quanto riguarda cosa devo mettermi. Sono davvero impazzita. Ormai è troppo tardi per rinsavire.

«Allora...questo no, quest'altro nemmeno. Questo è troppo elegante, questo è troppo sobrio...» inizia a dire mia madre mentre sposta da sinistra verso destra i vestiti che ha scartato e che sono appesi sulle grucce.

«Questo è perfetto!» esclama mentre tira fuori un vestito dall'armadio.

È nero e in alcune zone c'è solo del pizzo. Non sapevo neanche di averlo.

Probabilmente è uno di quei vestiti che hanno comprato mia mamma e Carly a mia insaputa e che hanno messo nell'armadio nella speranza che io un giorno lo mettessi.

Insieme al vestito mia madre ci abbina un paio di tacchi neri e una borsetta del medesimo colore.

Vado a farmi una doccia e, dopo aver asciugato i capelli, li piastro.

Almeno si noteranno subito i miei capelli biondo platino su un vestito nero.

Sono una di quelle rare persone che vengono considerate albine. In estate devo stare attenta a non stare per troppo tempo sotto al sole perché, a causa della scarsa melanina presente nel mio corpo, potrei avere dei problemi in futuro. Ed è per questo che preferisco di gran lunga la montagna al mare e perché sono trecentosessantacinque, occasionalmente trecentosessantasei, giorni l'anno bianca come l'albume sbattuto delle uova.

Probabilmente è il mio cervello ad essere stato sbattuto. Ma tanto anche.

Sento due squilli del cellulare e poi chi mi ha chiamata riattacca. Poi un altro squillo e di nuovo silenzio. Questo vuol dire che Carly è arrivata. Prendo tutto il necessario e scendo.

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«Spiegami ancora il perché tu abbia deciso di uscire a ballare di lunedì sapendo che adesso lavoro» inveisco contro Carly. Mi sono ricordata troppo tardi di questo piccolo particolare. Non che al telefono lei mi avesse lasciato modo di ribattere. E il colmo è che i miei genitori mi abbiano pure lasciata venire!

«Non brontolare. Tanto ti hanno detto che se i tuoi disegni sono decenti, disegnerai i tatuaggi. E tu disegni meravigliosamente perfettamente magnificamente incredibilmente benissimissimo! Nemmeno stanca e con i sintomi della sbronza riusciresti a fare una schifezza.» Mi strizza una guancia.

Cambio discorso. «Quanto hai detto che manca per arrivare? Odio camminare con i tacchi.»

Si gira verso di me. «Tranquilla. Mancano dieci minuti al massimo.»

Mentre continuiamo a parlare rischio di cadere a terra. Quando abbasso lo sguardo per cercare di capire quale è stata la causa vedo che ho il piede destro, per la precisione il tacco della scarpa destra, incastrata. In un cazzo di tombino.

Prendo un respiro profondo e guardo Carly che ride. «Non è che mi daresti una mano? Non riesco a togliere il tacco dalla fessura del tombino.»

Lei ancora ridendo si avvicina a me. «Okay, al mio tre tira il piede.» Mette entrambe le mani intorno alla mia caviglia, appena sopra a dove si trova il cinturino di questa dannata scarpa. «Uno, due e... tre!» Riusciamo a togliere il tacco, ma con un problemino. Si è staccato anche il tombino.

Ridiamo entrambe. «Sapevo io che dovevo venire con le ciabatte!» esclamo.

«Togliti la scarpa dal piede e proviamo a disincastrare il tacco» mi dice Carly.

Faccio ciò che ha detto e dopo parecchi tentativi riusciamo a togliere quella maledetta scarpa dal tombino.

Rimettiamo il tombino al proprio posto e io mi riallaccio la scarpa.

Meno male che non c'era nessuno in questa strada ad assistere alla scena.

Non faccio neanche un passo in avanti che cado rovinosamente a terra, inciampando in nemmeno io so cosa.

Al posto di aiutarmi Carly ride, sempre se possibile, più forte di prima.

Mi rimetto in piedi e alzo le braccia al cielo. «Riuscirò mai ad avere una gioia?» urlo. Il tuono che si sente nel cielo che preannuncia un temporale è una risposta più che sufficiente.

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora