19 CARO DIARIO

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«Sapete, è qualche tempo che mi viene in mente di scrivere un diario».

Gli altri lo osservarono a metà fra il divertito e il perplesso. «Sul serio?».

Il marine si immusonì. Quelli erano troppo ubriachi per dargli retta. «Certo. Come ho detto». Si chiese il perché di quell'esternazione. Ecco, invece di diffonderla a tutti quei somari, doveva scriverla su un diario.

Tutti risero. «Un diario? Un diario? Che idiozia!».

Se la prese. «Che state dicendo? Guardate che nel passato i grandi condottieri tenevano un diario delle loro imprese».

«Nel passato, nel passato». Fu come una cantilena. «Ma ora non siamo nel passato. Questo è il maledetto presente» completò uno di quelli, forse abbastanza sobrio da poterlo dire. In effetti, era una frase troppo lunga perché qualcuno che fosse sbronzo la potesse dire.

«Certo che lo è. Ma, in futuro, questo sarà il passato».

Si osservarono in silenzio. Poi esplosero dalle risate.

Il marine li lasciò perdere e si eclissò. Poco lontano, recuperato un quadernetto e una penna, iniziò a scrivere: Aprile 1945, non so che giorno è perché qua sembrano tutti uguali. Marine del 40° Commando, Brigata di commando 2, sono qui in Italia, dopo tante imprese... Da dove comincio? Siamo tutti membri dei Royal Marines e il nostro fondatore fu il tenente colonnello Picton, che morì nel disastro di Dieppe. Proprio lui ci fondò, e proprio lui morì in quella sfortunata operazione. Il nostro simbolo è uno scudetto blu rosso. Ah, dimenticavo: siamo stati fondati da Picton il giorno di san Valentino del 1942. All'inizio eravamo sei commando: dal 40° al 45°. Poi c'era anche la brigata di servizio speciale 2, che fu ribattezzata Brigata di commando 2, al quale appartiene il mio commando. In questa brigata ci sono i commando numero 2, 9, 10 (che ci sono belgi e polacchi), 40 e 43. Nel 40 ci sono io e.

Adesso come avrebbe dovuto continuare?

Ci furono urti ed esplosioni.

Sobbalzò e il quaderno cadde a terra. Non se ne curò e prese l'M1928. «Attacco, attacco!» urlò correndo via.

Erano i tedeschi, un ultimo rigurgito. Ma non ne avevano mai abbastanza?

Erano quattro, e camminavano sopra i resti degli altri marine, tutti ubriachi, tutti morti.

«Maledetti!». Il marine li crivellò di colpi.

Uno cadde.

Due furono feriti.

Il quarto iniziò a fuggire e poi fu colpito alle spalle.

I due feriti finirono per essere uccisi. Una breve raffica in testa e tanti saluti.

«Ma che è successo?» arrivarono altri marine.

«I miei compagni... idioti. Erano ubriachi e si sono fatti ammazzare come degli idioti». Il marine, come un fantasma in mezzo ai vapori della strage, tornò al diario. Aveva altro da dire.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 3 Gran BretagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora