32 LA SIGNORA IN ABITO GIALLO

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Le macchine sferragliavano e gli addetti si aggiravano in quell'inferno in tuta unta di olio da motore.

Il capitano scese le scale. Ebbe cura di mettersi i guanti, perché non voleva sporcarsi. Raggiunse il capo motorista. «Allora?» si sgolò per farsi sentire.

«Per ora i motori vanno bene. L'albero dell'elica numero due ha bisogno di un rattoppo».

«Ah, mi sembrava troppo bello. Conducimi fin lì».

«Agli ordini, signore». Obbedì.

Camminare fra tutti quei brutti ceffi dalla barba mal fatta, le mani callose.

Il capitano in doppio petto rabbrividì. Certo, capitano della Flotta interna addetto alla meccanica, ma non amava troppo mescolarsi a quegli individui. Non in bella uniforme. Ma purtroppo era stato richiamato durante un cocktail party. Stava intrattenendo le mogli di alcuni ufficiali, che poi era stato avvertito di un guasto. Doveva. Doveva e basta. E così, debite scuse, si eclissò per salire a bordo di quel cacciatorpediniere. Ah, quella signora in abito giallo è molto bella. Si chiama... si chiama... L'ho scordato. Oh, maledizione: tutta colpa di quel baccano.

Il capo motorista indicò l'albero. «Ecco qua, signore».

Al diavolo l'igiene, tanto... Il capitano si inginocchiò. «Uhm, vedo, vedo».

«È grave, signore?».

«Com'è successo?».

«Stavamo facendo manovra e si è rotto».

«Non è molto grave. È rotto, ma si può riparare senza troppo problemi. Ma solo perché siamo in porto!... E se fosse successo in mare aperto? Non sarebbe stato bello portare questo caccia a rimorchio. Maledizione! Va bene che è una guerra noiosa, ma i tedeschi minacciano la Francia e pure la Scandinavia... siamo in guerra da neanche sei mesi e si presentano simili problemi?».

«Spiacente, signore». Scrollò le spalle, un'espressione mortificata.

«Siamo all'ultima settimana di gennaio. Per i primi di febbraio voglio che sia tutto messo a posto. Adesso non mi disturbare, che ho altro a cui pensare. Rivolgiti ai miei subordinati per aggiustare il danno» impose.

«Sì... sissignore». Chinò il capo.

«Bene, meglio così». Si avviò lontano dall'albero ferito. «Se mi permetti».

«Ma certo. Le faccio strada».

«Sarebbe perfetto». Fece una smorfia. Via da quel baccano e da quella sporcizia. Il capitano aveva voglia di glamour, non omaccioni sporchi e volgari.

Il capo motorista si fermò alla base della scaletta. «Signore». Allora fece il saluto militare.

«Buon lavoro» disse acido, e uscì da lì. Respirò un po' di aria sana e fresca: salsedine, non olio di motore e ascelle sudate. Adesso, doveva pensare alla signora in abito giallo. Scese sulla banchina e puntò al bar degli ufficiali, dove si teneva il party, ma si accorse che era finito... credeva di aver perso meno tempo. Eppure...

Il capitano maledì quel guasto all'albero dell'elica.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 3 Gran BretagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora