CAPITOLO 1 - parte 3° - Felicità contagiosa e lacrime amare

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- Riki! – lo chiamo, per svegliarlo.
- Si? –
- Devo andare a lavoro, devi tenere le bambine. –
- Oh, giusto. Vai, io arrivo. Ciao. – mi lascia un bacio sulla guancia e scendo correndo. Vado a piedi, dato che il ristorante in cui lavoro è abbastanza vicino. Arrivo in orario, fortunatamente. Saluto Carolina, la cuoca (nonché la moglie del mio capo), che è già a lavoro; non si stanca mai lei. È per questo che la ammiro. Ci ho stretto anche tanta amicizia, la considero come una seconda mamma. La saluto e mi metto tranquillamente a prendere le ordinazioni.
Sono le 13:00, e mi arriva una chiamata da Riki.
' Pronto? '
' Fede! '
' Hai letto il foglietto che è sul fornetto? '
' No '
' C'è scritto tutto là '
' Oh, già. Scusa il disturbo '
' Non ti preoccupare. A dopo! '
Come sempre, Riki non ha nemmeno guardato sul fornetto, nonostante le mie continue raccomandazioni. Che poi è un po' stancante scrivere ogni volta che deve fare per cucinare... dovrei chiedere a Carolina di dargli delle lezioni private.

- Riki, sono a casa! – esclamo, entrando.
- Ciao pupa. – dice lui.
- Ciao mamma! – si aggiungono le bimbe. Corrono verso di me e mi saltano addosso. Provo a sollevarle entrambe ma con scarsi risultati.
- Siete diventate troppo grandi! –
- Papà ci riesce –
- Ma certo, papà è macho-man! –
- No, lui è morbido! –
- E chi ha detto che macho-man non è morbido? –
Fanno spallucce, poi indicano entrambe Riccardo, che scoppia in una sonora risata, e alza le mani. Ci buttiamo sul divano e ci coccoliamo. È tanto bello passare questi momenti in famiglia. Mi sento completa, al settimo cielo. Ed è bella poi la consapevolezza che niente e nessuno potrebbe dividermi dalle mie figlie e dal mio ragazzo. Penso di essere abbastanza fortunata, più o meno. Insomma, ho avuto tanti problemi però, quando tutto passa, mi rendo conto di essere felice.
- Vi voglio tanto bene. –
- Anche noi! –
Suonano alla porta e corro ad aprire. È Vittoria.
- Oh, ciao! Non mi avevi detto che saresti venuta! –
- Avevo bisogno di vedervi... -
- Siamo così indispensabili? –
- Oh, non sai quanto... - dice, e sorrido. Poche volte è così dolce. Insomma, non che sia fredda come persona, ma la conosco da abbastanza tempo per poter essere certa del fatto che è più gentile e diretta del solito quando è molto giù di morale. Entra e si butta sul divano.
- Ciao zia Vitty – salutano le bimbe, e lei sorride.
- Quanta felicità in questa casa! – esclama poi, vedendo Riki che mi coccola.
- È contagiosa? –
- Può darsi... beh sì, abbastanza. – sospira, e mi avvicino.
- Mattia? –
- Sì... non ci sto capendo niente. È tutto un gran casino. –
Mi volto verso Riccardo e mi scappa una risatina.
- Non sai quante volte me l'ha detta questa frase! –
- Eh, però voi siete finiti insieme. Ora, ci sono due alternative: o la vado a dire a Mattia e ci mettiamo insieme, o finisco con Federica. –
- Non toccare la mia Carta! –
- Okay, okay. – ride.
Ha proprio ragione Vitto a dire che qui la gioia è inevitabilmente nell'aria: se entri felice esci felice, e se entri triste esci felice. Eh già, siamo dei veri maghi qui a casa Cartuzzo.

Mi prendo una piccola pausa dai panni che sto stirando e vado in salotto. Prima di ''irrompere'' nella stanza, mi soffermo a guardare la scena, che mi fa sorridere: stanno giocando a Monopoli; sono a coppie, e si lanciano minacce del tipo "Se compri Viale dei Giardini ti rubo la stazione ovest", o cose del genere, e ridono come matti. Un po' mi spiace, perché io raramente ho tempo per giocare con le mie figlie; d'altro canto, sono contenta che siano tanto affezionate a Vittoria, perché è stata importante, anzi, fondamentale per me in questi ultimi anni.
- Sono passata a salutarvi, ma presto dovrò tornare a quel suicidio di ferro da stiro. Chi sta vincendo? –
- Io e zia Vitty abbiamo Viale dei Giardini, Parco della Vittoria e tutte le stazioni! – dice, e mi mostra le carte.
- Ricchissime proprio –
- Eh, insomma. Siamo un po' a secco! – dice Vittoria. Fa spallucce e, voltandosi, indica Riccardo. - È troppo tirchio! –
Rido. – Mi raccomando, evita di imprecare davanti alle bambine! –
- Ma chi, io? – dice, fingendosi offeso. – sono il papà più responsabile del mondo. Vero, chèries? –
Scuotono la testa, per negare l'affermazione del padre.
- Ehi! Domani niente patatine fritte allora! –
- Ma papi, noi scherziamo! –
- Ruffiane! – esclamo – Sappi che se crescono così è solo colpa tua! - dico a Riccardo.
- No, ti sbagli. Io le cresco bene, vero? –
Stavolta annuiscono, e invece sono io a scuotere la testa, e rido. Guardo l'orologio; non sono in ritardo, ma devo muovermi. Prendo la divisa e la infilo, sistemo il ferro da stiro ed esco.

- Mamma, zia Vitty può restare da noi stanotte? –
- Certo! –
- Non vorrei disturbare... -
- Ma no, ti pare? Non disturbi mai. – dico, e mi guarda preoccupata. – Altro? –
- Dopo – mima con le labbra, e andiamo a sederci a tavola. Iniziamo a mangiare, ma non ho tanta fame. Sono stanchissima, riesco a malapena a tenere gli occhi aperti e faccio fatica a seguire i loro discorsi.
- Mamma! – esclama la maggiore, quasi arrabbiata. Chissà da quanto mi sta chiamando, e io non l'ho nemmeno sentita.
- Fe, stai bene? –
- Oh, sì. Solo un po' di stanchezza. – mi alzo e vado in camera delle bambine. Mi stendo sul letto di Nanci e scoppio a piangere.
- Cucciola, cos'hai? –
- Riki – rispondo, senza alzare la testa dal cuscino, - sono una madre di merda. Le vedo dodici ore al giorno, anzi cinque, se non contiamo quelle in cui dormono. Se uno sconosciuto chiedesse loro di che colore sono i miei occhi, non saprebbero rispondere. E sai perché? Perché non bastano 5 ore al giorno per imparare di che colore sono i miei occhi! Non bastano 5 fottute ore per imparare a volermi bene! E se chiedesse chi cucina, chi gioca, chi canta meglio le canzoncine della buonanotte, risponderebbero "il nostro papà!". Fanno quasi fatica a ricordare come mi chiamo. E mi sento uno schifo, Riki. Mi sento uno schifo... non sarò mai una buona madre. - scoppio di nuovo a piangere. Lui non dice nulla; sa bene che peggiorerebbe solo le cose.
- Mi costa tanto dirlo ad alta voce, ma è così che mi sento. Uno schifo. –
D'altronde, cos'altro potrebbe essere una madre che non sta con le sue figlie? Insomma, le ho messe al mondo. Sono mie per natura, perché Riki ci tiene di più? E poi, non mi meraviglierei se sentissi le mie figlie chiamare "mamma" Vittoria. Quasi quasi stanno di più con lei che con me. Cerco di calmarmi, ma i pensieri negativi mi riempiono la testa. Sento che potrei scoppiare da un momento all'altro.
Ultimamente penso spesso a questo. Metto in dubbio l'amore di Riki, qualche volta, e il bene delle mie figlie.
Ma quello che mi ha fatto riflettere di più è stato l'album. C'erano fotografie scattate in momenti che nemmeno lontanamente ricordavo di aver vissuto.
Ma lui quelle foto ce le aveva.
Perché?
Perché lui c'era, io no.

Anima Fragile - The Sequel - RedericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora