CAPITOLO 3 - parte 1° - Giornata pessima

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Inizio a tremare dopo aver sentito la voce dall'altro capo del telefono. Non ha detto molto, solo il testo dei messaggi che ho ricevuto qualche giorno fa da parte di quel numero sconosciuto. Vado di corsa a lavoro, augurandomi di non aver fatto troppo tardi, ma non riesco a fare molto: ho la testa da un'altra parte. Troppi pensieri, troppe domande. Cosa vuole da me? Perché è tornato? Perché mi scrive cose prive di senso? Ormai so che è lui, non ho dubbi, ma mi spaventa, e non poco. Non so cosa potrebbe fare, ma se è tornato vuol dire che non ha ottime intenzioni. Ho paura che possa portarmi via le mie bambine con la legge, trascinandomi in tribunale negando di avermi lasciato sola ed essere sparito. O peggio, potrebbe portarmele via con la forza. Non sopporterei vederle nelle sue mani. Non ce la farei. E sono tanto, troppo fragile.
Passo il tempo prima dell'ora di pranzo a pulire distrattamente e non proferisco parola, se non per cose potenzialmente importanti. Cerco di stare tranquilla e non mostrare alla mia collega che sono alquanto in crisi con me stessa, e provo a restare concentrata sul mio lavoro mentre cerco delle risposte plausibili a un cumulo di domande che continuo a pormi, che più passa il tempo più diventa grande. Stai tranquilla, cerco di convincere me stessa, andrà tutto bene. Quando arrivano i primi clienti vado spedita ai tavoli, ma mentre quelli parlano Entro nella confusione più totale. Sono loro che non hanno le idee chiare su cosa prendere o io che non capisco? Quando smettono di borbottare tra loro esordisco con un ''Va bene'' e scappo in cucina, ordinando i pochi piatti che mi è sembrato di capire dal vago vociare di quelle persone.
E la mattina va tutta così: ordinazioni confuse, cibo a terra, piatti sbagliati ai tavoli sbagliati, e la camicia sporca di un tizio irritato a cui abbiamo dovuto dare i soldi per andare in lavanderia, dato che a quanto pare non sapeva dell'esistenza di macchinari avanzati tipo la lavatrice.
Appena l'ultimo cliente varca scontento la soglia della porta, mi siedo su una delle panche con la testa tra le mani, scoppio in un pianto silenzioso, che però non ha nulla di liberatorio o benefico. Non cerco nemmeno di nascondermi, sarebbe stupido e inutile. Nessuno si avvicina, ma sento gli occhi di tutti fissati su di me. Non oso scostare le mani fin quando quelle di qualcun altro si appoggiano sulle mie spalle. È Carola, la cuoca, che mi guarda leggermente preoccupata.
- Che succede? –
- Nulla, nulla. – la rassicuro, ma una lacrima scesa inavvertitamente tradisce il sorriso più falso che abbia mai fatto senza cattive intenzioni.
- Cara, non vorrei ricordartelo, ma hai fatto un po' di caos questa mattina. Non credi che dovresti darmi una spiegazione valida per cui ho sprecato un bel po' di roba? –
- La ricomprerò io. –
- Questo è certo, Federica, ma stai male, si vede. Per favore, dimmi cos'hai. –
- Niente di troppo sgradevole, Carola, stia tranquilla. –
- Oh tesoro, non voglio sentire di queste bugie. Non voglio parlarti come se fossi una bambina. Se c'è un problema puoi, anzi, devi confidarti con me. È per il litigio con Riccardo? Di solito mi dici se succede qualcosa tra voi... -
- Oh no, con lui ho fatto pace. –
- E allora che cos'è? –
Faccio silenzio. Ho paura di confidarmi, forse perché non l'ho mai fatto con nessuno che non sia stato della mia famiglia o nella cerchia di amici stretti.
- Vuoi dirmelo? –
Annuisco, tirando su col naso, e prendo un respiro profondo, per poi iniziare a raccontare tutto, tralasciando i dettagli inutili, cercando di essere più veloce e chiara possibile.
Alla fine della narrazione, Carola mi guarda stupefatta.
- Non ti credevo tanto... -
- Ingenua? Incapace di comprendere un tale imbroglio sul nascere? –
- Oh, dovresti stare a sentire invece di rispondere senza badare a quel che dici, Federica. Forte, era l'aggettivo con cui volevo definirti. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da te, che in tutti questi anni non ti sei preoccupata di dover lavorare fino a tardi. Non hai mai eseguito gli ordini, ma hai esaudito le richieste; non ti sei mai fatta mettere i piedi in testa, nonostante un passato angosciante che personalmente non avrei superato tanto velocemente. Hai tenuto le bambine e le hai protette da un uomo che ti ha fatto soffrire, e ora continui a lavorare, nonostante i pensieri, nonostante le paure, nonostante tutto, per portare a casa i soldi, per andare avanti, e per non far capire loro che stai male. Vorresti dire che questo non è un comportamento da persone forti? –
- Riccardo mi ha aiutato a voltare pagina. Sono molto meno di quel che ha detto sul mio conto, mi creda. –
- Bugie, ancora bugie. Ti prego, perché non mi ascolti quando ti parlo? –
- L'ho ascoltata bene, Carola, e ha esagerato di gran lunga. Non sono coraggiosa, né tantomeno ''forte'', come dice lei. Faccio quello che mi dicono senza oppormi e non c'è nulla che possa darmi un valore. Ho tenuto le bambine perché sapevo di non essere sola. Cosa c'è di coraggioso in questo? –
- Tendi a sminuirti troppo, lo sai cara? Eppure, hai degli amici, un fidanzato e delle figlie che ti vogliono bene. Tu sei molto di più di due banali aggettivi. Tu sei te stessa, con molti più pregi che difetti, almeno ai miei occhi. Chi pensa il contrario è cattivo, tesoro. Ora fammi un gran piacere, cara: va' a casa e riposati. Racconta tutto a Riccardo e sfogati con lui, magari ti convince lui. Okay? –
- D'accordo. – mi arrendo, e scrivo un messaggio a Riccardo.
F:Ric, vieni subito, per favore.
R:Certo, amore. Che è successo?
F:Ti spiego quando sei qui.
R:Okay... arrivo subito
Dopo qualche minuto sono in auto. Mi chiede cos'è successo e gli dico tutto.
- Oh, - dice, con tono dispiaciuto, - la prossima volta ti accompagno a lavoro. Non saresti stata così nervosa se ci fossi stato io. – dice, e stringe più forte lo sterzo.
- Sta' tranquillo, va tutto bene Riki. –
- Sicura? –
- Sicura. – dico, e lui sospira, per poi tornare a concentrarsi sulla strada.
Arriviamo a casa e le bambine mi chiedono come sto. Riccardo mi ha spiegato che ha detto loro di dovermi venire a prendere perché non stavo molto bene e non riuscivo a raggiungere casa a piedi. Le tranquillizzo dicendo che sto un po' meglio ma ho bisogno di riposare, quindi vado in camera e mi stendo sul letto. Dopo qualche minuto mi raggiunge Riki, che si mette accanto a me e prende ad accarezzarmi i capelli.
- Sei più tranquilla? –
- Mm-mm. Tu? –
- Abbastanza. – risponde. – Sei sicura di non voler dire niente a nessuno? –
- Ce la caveremo noi amore, non preoccuparti. –
- Secondo te potrebbe farci del male? –
- Non è cattivo, non abbastanza da fare certe cose... -
- ... ma abbastanza per poterti lasciare da sola con due figlie sue. – conclude la frase, poi piega la testa di lato, come per capire se quello che ha detto mi ha dato fastidio.
- L'avrei detto anche io. Tranquillo, è tutto okay. – lo rassicuro, e mi alzo, per poi infilarmi sotto le coperte, e Riki fa lo stesso. Chiamiamo le bimbe, e anche loro si sdraiano con noi.
- I need rilassarmi... - dico.
- E dormi. –
- Che vuol dire ''ai nid''? – interviene Emma, e io ridacchio.
- Vuol dire 'ho bisogno' amore. È inglese. –
- Ahhh! –
- Beh dai, lasciamo riposare la mamma. – dice Riccardo, poi si avvicina al mio orecchio. – Dormi bene. – mi sussurra, e chiudo gli occhi, sprofondando quasi subito nel sonno.

Anima Fragile - The Sequel - RedericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora