CAPITOLO 2 - parte 1° - L'ho sempre dato per scontato

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- Abbiamo finito – annuncia Riki, che ha aiutato un serramentista a sostituire la finestra. Dopo stanotte sono abbastanza stanca e spaventata. Non so se parlare con Riki di quei messaggi. Sorseggio il mio caffè pensierosa, e il mio ragazzo sembra accorgersi del mio malumore.
- Successo qualcosa? – chiede.
- Nulla, oltre a stanotte. –
Mi guarda e scuote la testa. – Non sai mentire, sai? - domanda, e io emetto un verso di frustrazione. – Amore, devi essere sincera con me! Mi dici che è successo? – continua. Io sbuffo e prendo il cellulare. Apro Whatsapp, sperando che sia stata tutta un'allucinazione dovuta alla stanchezza; invece la chat è lì, in cima alla lista. Gli mostro i messaggi e lui sgrana gli occhi.
- Ho paura. – ammetto.
- Non devi aver paura. Ci sono io. –
- Pensavo di conoscerlo... per quanto ne so, non farebbe mai del male né a me né alle sue figlie. –
- Così fai male a me però. – borbotta, e mi mordo il labbro inferiore.
- Scusa. – sussurro.
- Niente. – afferma, abbastanza infastidito.
- Le bambine sono sue Riki, che tu lo voglia o no! – dico, alzando leggermente la voce senza nemmeno accorgermene.
- Ma ti ha lasciato, Federica, ci arrivi? – mi attacca lui. Mi chiama per nome solo quando è realmente incazzato. Si alza. – Ora meglio che vada a lavoro. – conclude, aprendo la porta.
- Avevi detto che saresti tornato alla fine delle vacanze. –
- Ho deciso di ricominciare prima. – dichiara innervosito, ed esce di casa.
So che non è andato nel suo studio, e quello che potrebbe fare mi preoccupa; non combina mai nulla di buono quando è incazzato. Mi limito a sospirare, pensando a cosa forse non avrei dovuto dirgli. Nonostante tutto, non riesco e non posso odiarlo; è comunque il padre delle mie figlie. Deve capire che so di non averlo superato, non ancora. È solo un pensiero passeggero, che cammina in testa in attesa del suo momento, per poter mettersi in mostra. Ma da quattro anni a questa parte, ogni volta che si mette in prima fila riesco difficilmente a ricacciarlo indietro. Fondamentalmente, ha due scopi principali: farmi scoppiare la testa e farmi litigare con Riki. Vorrei solo fargli capire che mi dovrebbe aiutare a dimenticarlo, non incazzarsi appena lo nomino.
Sbuffo, e vado ad aprire la porta. Nanci entra e trascina dietro di sé una valigia che ha l'aria di essere molto pesante. Provo a rivolgerle un sorriso, ma proprio non riesco; neanche lei sembra tanto entusiasta di essere qui.
- Mamma e papà devono partire stasera. – sbuffa.
- Oh, non ne avevo idea. – mi limito a dire.
- E tu che hai? – chiede, a metà tra l'essere scocciata e interessata.
- Ho litigato con tuo fratello. –
- Evita i dettagli, tanto vi incazzate per minchiate, voi due. –
- È più serio di quanto tu creda! –
- Ah sì? Dimmi, ti ha comprato la farina per le pizze invece di quella per i dolci? – domanda sarcastica.
- Lascia perdere. – dico. – Che vuoi per pranzo? –
- Un cazzo. –
- Potresti moderare il tono, quando parli con me? E magari evita dire 'ste cose. –
- Ho sedici anni, posso fare quello che voglio. –
- Non sei maggiorenne! –
- E tu non sei mia madre! – urla, e sale le scale.
Sento nuovamente il campanello suonare. Davanti a me vedo le bambine sorridenti, e la signora Marcuzzo. Ho completamente dimenticato che stamattina Raffaella è venuta a prenderle e le ha portate a casa sua. Mi rivolge uno sguardo triste e mi sposto per lasciarle passare.
- Riki? – sussurro, sperando in una risposta da Raffaella.
- Lui è da noi, ma non vuole raccontarci che è successo. Vuoi farlo tu? – chiede, e scuoto la testa. – Siete uguali voi due. Comunque, lascia che si rilassi un po'. Quando tornerà chiarirete, ne sono sicura. -
- Non è facile come credi, Raffaella. –
- Mi nascondi qualcosa? –
- No. – rispondo ferma, e abbasso lo sguardo. Poi mi alzo di scatto. – Ho bisogno di uscire. Puoi tenere tu le bambine, per favore? –
Annuisce e vado a cambiarmi. Metto un maglione rosso, dei jeans e le Adidas bianche e nere. Mi sistemo un po' e infilo la giacca. Esco, infilo le mani nelle tasche e passeggio verso una meta imprecisa. Non mi piace litigare con Riki. Lui è... non so come spiegarlo. A volte mi sembra di non essere alla sua altezza. Non mi sento abbastanza; forse è per questo che litighiamo per cose (per la maggior parte) insignificanti. Ormai so solo che lo amo, ma non sono altrettanto sicura dei suoi sentimenti verso di me. Infondo me lo aspettavo, sapevo che il nostro rapporto si sarebbe rovinato. Mi sento uno schifo a pensarlo, ma a volte immagino come potrebbe andare la mia vita se avessi abortito. La verità è questa: non mi sento all'altezza della mia vita. Non ce la facevo normalmente, e ora si è raggiunta pure quella testa di cazzo di Lucas che non sta facendo altro che rovinarmi la vita!
Mi fermo davanti a un gruppo di ragazzini, tra i quali il più grande non ha più di 17 anni. Si stanno passando a cerchio una sigaretta.
- Mi fai fare un tiro? – domando.
- Se ce le esci. – risponde sfacciatamente un sedicenne.
Alzo un sopracciglio, mentre sento commenti tipo "Che gnocca" o "Posso farmela?", ma lascio perdere. Mi avvicino al ragazzino e gli metto due dita sotto il mento, e lui alza lo sguardo.
- Hai sbagliato persona, tesoro. – dico, - non sono una diciassettenne, né tantomeno una puttana. Ah, e... la prossima volta, prima di uscire di casa, pulisciti, ché sei ancora sporco di latte. –
La mia affermazione provoca scalpore, e io prendo la sigaretta dalle mani di uno dei ragazzini e faccio un tiro. Non ho neppure il tempo di tossire per questa schifezza, che viene buttata a terra dalla mano di una persona che conosco fin troppo bene.
- Che cazzo ci fai qui? Che stai facendo? – urla.
- Il fratellino è incazzato? – domanda il sedicenne.
- Non so chi tu sia, e non mi interessa. – dice stringendo i pugni. – Vuoi ricevere uno di questi in faccia, per caso? –
- E chi saresti tu per parlarmi così? –
- Uno di dodici anni più di te, con la sua fidanzata ventiquattrenne, credi che basti? – risponde rimboccandosi le maniche e mettendo le mani nella tasca posteriore dei suoi jeans, come se dovesse prendere qualcosa di molto pericoloso.
- Andatevene, subito! - urla, e quelli corrono via a gambe levate.
Restiamo in completo silenzio.
- Si può sapere che ti è preso? – chiede, e sbuffo.
- Ero nervosa. –
- Perché mi hai fatto incavolare? –
- Non era mia intenzione, ma tu non mi capisci! Non ti devi incazzare ogni volta che lo nomino! Mi devi aiutare a... dimenticarlo. – dico, sussurrando l'ultima parola.
- Fede, ma sei seria? Vorrei ricordarti delle cose. Mh, io. E chi ti ha tenuta con sé durante la gravidanza? Mh, io. E chi ti ha aiutato a crescere due bambine, senza che nessuno l'avesse obbligato? –
- Tu. – sussurro.
- Già, io. E chi ti ha amato e ti ama con tutto se stesso? Io, Federica, io. Cos'altro devo fare per fartelo dimenticare, oltre che dare tutto me stesso nella nostra relazione? Sei tu quella che ci pensa ancora, nonostante tutto questo, non sono io! È questo quello che mi fa incazzare! Tu pensi ancora a lui. – mi lascia il polso, che fino ad ora ha tenuto stretto, e se ne va, lasciandomi lì, da sola. Resto sbalordita dalle sue parole. Credo che non sia mai stato così diretto con me. Mi ha colpito, mi ha fatto quasi male. Sono così fottutamente vere, reali. Ne sono consapevole, e mi fanno male perché io lo sapevo, ma l'ho sempre dato per scontato.


Anima Fragile - The Sequel - RedericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora