Si avvicina sempre di più e sorride, ma non è un ghigno, non è cattivo; ormai, dopo anni di convivenza, ho imparato a capire la differenza.
Forse davvero non ha cattive intenzioni. Forse vuole solo parlare, come una persona civile e matura.
Continuo a ripetermi queste frasi mentalmente, come se facendolo potessi rendere le mie speranze reali. Almeno mi autoconvinco, penso, e diciamo che mi basterà fin quando non gli rivolgerò la parola.Arriva esattamente di fronte a me, si guarda intorno, come soddisfatto di vedere tutto in ordine. Certe volte mi tornano in mente i bei momenti passati qui, ma sono maggiori quelli spiacevoli. Si siede accanto a me, su quella panchina che ci ha accompagnato ''nella gioia e nel dolore '' che ne ricorda forse più di me dei miei tremori e delle mie lacrime mentre lui si allontanava tranquillo con la sua amante. Ha mai pensato a quello che provavo? Ha mai pensato a quello che provavo? Mi ha mai avuto sulla coscienza? O semplicemente se ne fregava?
Fa come se non ci fossi, accende la sua sigaretta e guarda verso un unto impreciso, forse le altalene, sempre piene di bambini. Ha mai pensato al futuro delle nostre figlie? Ha mai pensato alla possibilità di dirmi quello che stava accadendo, che voleva avere una vita solo con lei, prima di dirmi che voleva sposarmi, prima di mettermi incinta, prima di farmi innamorare veramente? Che gusto ci trovava nel farmi soffrire? Gli piaceva vedermi piegata in due dal dolore ogni sera, e poi ogni mattina ricoprirmi la faccia di fondotinta? Ha mai notato che nel mio armadio non c'era né una maglia che facesse vedere le braccia né un paio di pantaloncini o jeans strappati? Sapeva e sa quanto ho sofferto e quanto soffro guardando certi lividi che ci sono ancora? Lo sa forse, che lo odio con tutto il cuore, eppure ancora mi domando perché lui mi odi così tanto?
Prendo un respiro, mi faccio avanti. Ho la vaga impressione che se non parlerò io non lo farà nemmeno lui. Si crede forse importante, tanto da non potermi nemmeno rivolgere la parola? O forse vuole giocare? Credo di aver imparato anche che gli piace giocare soprattutto con le persone, e gli piace farle soffrire, sì.
- Lucas. – sputo, prendendo tutto l'odio e l'indifferenza verso di lui e lasciando uscire tutte le emozioni negative soltanto pronunciando il nome di una persona che ho tanto amato, e che non ha mai ripagato minimamente i miei sentimenti. Neppure un po' di riconoscenza, rispetto verso me solo per il fatto che sono un essere umano. E come lui mi ha odiato ed è stato indifferente al mio dolore, io ora faccio lo stesso senza troppe preoccupazioni.
- Carta! – esclama voltandosi verso di me. Incontro i suoi occhi, verdi, ma tanto scuri da sembrare castani se li guardi di sfuggita. Malauguratamente, proprio come quelli delle mie figlie. – Come va? Sola e abbandonata a te stessa come sempre? –
Faccio un sorriso forzato, amareggiata. Non mi ferirà solo con le parole, non glielo permetterò. Sono stanca dei suoi giochetti.
- Sono spiacente, Lucas, ma non sono sola, come lo ero anche quando tu c'eri, se dobbiamo specificarlo. E tu, con la tua Lindsy? –
- Stiamo bene, stiamo bene. – dice, con una spensieratezza che quasi mi infastidisce, ma percepisco che c'è qualcosa che non va. Forse la tratta come ha trattato me? Ne sarebbe capace, e non la ama neppure, quindi sarebbero due motivi a favore di un'azione del genere. Ne sono più che certa.
Vorrei fargli tante domande, tante cose che vorrei sapere ora, senza dargli il permesso di fare parole inutili, ma mi trattengo, tentando di essere cortese quando basta, come quando si parla con uno sconosciuto.
- Oh, e dove abitate? –
- Venezia, Carta. Ma dimmi, perché ti interessi tanto alla mia vita privata? Ti manco, forse? –
- Mi fai ridere. – affermo arrogantemente, e lui non ne sembra tanto contento, ma ora non mi fa paura. Non più.
– Ascolta, non me ne frega niente della tua vita con quella put... -
- Frena i termini, Carta, o mi fai incazzare. –
- Come dovrei definire una giovane ragazzina che mi ha fottuto l'uomo che sapevo già dover essere mio marito, l'uomo che amavo, e lo stesso uomo che ha causa sua ha iniziato a trattarmi come un oggetto, come una bambola vecchia e brutta che nessuno vuole usare? Mi hai usato, hai usato il mio essere un po' bambina per avere quel che più preferivi. O forse non è così? –
- Carta, evita di farmi la ramanzina. –
- Faccio quello che voglio. – dico a denti stretti, e serro i pugni nelle tasche dei jeans. – Credi che sia ancora una bambina? - Lo guardo dritto negli occhi. – Non ho paura di te! – dico alzando la voce e scattando in piedi.
Lui mi tira per un braccio facendomi sedere nuovamente. – Non urlare, Federica, o mi scambieranno per un maniaco che vuole molestarti. –
- Oh, credi che qualcuno negli anni passati non l'abbia già fatto? E credi che io, per pararti il culo, non sia andata da ogni persona che ci aveva guardato fino a quel momento implorando in lacrime che non facessero nessuna mossa contro di te? – Mi guarda spaesato, forse lontanamente impaurito di quello che le persone intorno a me possano pensare. – Credi che Vittoria non lo sappia, quello che mi hai fatto, quello a cui sono stata sottoposta per due anni? - urlo all'inizio, ma capendo che la situazione potrebbe degenerare abbasso a mano a mano la voce. - Credi che non mi abbia mai consigliato di denunciarti, di lasciarti, di cercare aiuto e protezione dai miei genitori? Credi che, quando te ne andavi dalla tua troietta personale, non la chiamassi e non dormissi con lei? – tiro un respiro, e mi piazzo davanti a lui. - E poi, cos'altro crede, la mente chiusa di un coglione come te? – arrivo a sussurrare le ultime parole, e punto il dito contro al suo petto, e lui inspira.
- Calmati. –
- Sono calmissima. Tu ci hai pensato a quello che mi hai fatto, invece? –
- Come si chiama? –
- Non hai risposto alla mia domanda. –
- Come si chiama? – ripete.
- Chi? – domando di rimando, nervosa.
- Mio figlio. –
- Oh, le mie figlie si chiamano Emma e Bianca. Sono due gemelline. –
- Oh, sono due? Tanti auguri. – risponde sfacciatamente.
- Lo sapevi bene. Le tutine, allora? I bigliettini? Non te li ricordi? –
- Avevo oscurato quel cupo momento dell'inizio della mia nuova vita. –
- Io faccio parte della tua vecchia vita, allora. Hanno quattro anni, Lucas. Cosa diavolo vuoi, dopo quattro anni? Che ci fai qui, ora? –
Lui guarda in basso, come se tutte le cattive intenzioni (o buone che siano) fossero andate scemando mentre parlavo. L'ho zittito, sì. Credo che la me di qualche anno fa possa considerarlo un traguardo.
- Sì, stiamo bene. Io e Lindsy stiamo bene. – sussurra, e gli lancio uno sguardo interrogativo.
- Che c'è? Non mi fa più effetto, non mi spaventi... -
- Mi lasci parlare? – domanda, e io sbuffo, per poi mettermi in ascolto.
- Ti ho lasciato perché volevo avere una relazione con Lindsy, stare con lei e basta. Avevo già deciso di partire, avevo fatto le valigie, avevo fatto i biglietti aereo per quel giorno verso le quattro di mattina per il paese in cui abita lei, le avevo promesso che saremmo stati felici insieme, ci saremmo fatti una vita solo io e lei, e il bambino che aspettava. –
- Bambino? – domando irritata, - Scherzi? –
Mi zittisce di nuovo, e continua. – Abbiamo passato un mese e mezzo da Dio. –
- Scommetto che non è stato lo stesso fartela sapendo che ero a casa a fischiettare tranquilla lavando i piatti e parlando con la mia pancia, eh? –
- Oh, ti prego. Posso andare avanti? –
- Non voglio sapere i particolari, grazie. –
- Stai zitta! –
- Non mi dici che fare. – dico ferma, e mi alzo, ma lui mi tira per un braccio, e continua a parlare.
- Ha iniziato a uscire senza volermi dire dove andasse, si irritava facilmente. Era dura con me, e se avesse avuto un po' meno paura dei suoi genitori, non avrebbe fatto altro che urlarmi contro che non avevo mai fatto nulla per lei. Ho approfittato del suo fisico e della sua ricerca di una relazione poco seria, che potesse in qualche modo svagarla? Forse. Ma non le bastavo, no, ovviamente. Stanco della situazione, una sera sono sbottato. Eravamo a cena, silenziosi, lei nervosa come sempre. Mi aveva detto che era in ritardo, doveva uscire, e io gliel'ho proibito. ''Finché non mi dici che cosa sta succedendo'', le ho detto, ''tu resti qui''. E lei non mi ha rivolto la parola fino a quando non mi sono alzato. Mi ha detto di aspettare, di non fare mosse affrettate, ma io non l'ho ascoltata. Le ho preso il telefono e ho chiuso la porta a chiave. Quando stavo per aprire i messaggi, mi ha confessava che usciva sempre più spesso perché stava seguendo degli incontri dallo psicologo. Perché? Voleva abortire. Non sai quanto ci sono rimasto male... ho passato la serata a consolarla, dicendo che se non voleva mandare avanti questa gravidanza poteva almeno dirmelo. E lei a piangere come una fontana. Ci sono cascato, sì. Nei giorni seguenti non le ho ridato il telefono, né lei me l'ha chiesto. Eravamo soli in casa nostra, come i fidanzatini quando i genitori vanno fuori per lavoro. Ci sentivamo liberi. Non ho mai avuto intenzione di controllarle i messaggi, fino a quando è arrivato un Whatsapp, da parte di una certa Erika, che le domandava perché non si stava facendo sentire. Ho aperto la chat per risponderle che ero il fidanzato, e stavamo passando del tempo insieme. Però, ho scoperto che il fidanzato non ero io. –
- Eh? –
- Guardando una chat con una sua amica, ho letto che le chiedeva come andava col suo ragazzo, e lei: ''Chi, Simone o l'altro? ''. L'altro, l'altro ero io. Non le ho detto nulla fino a quando non mi ha chiesto di accompagnarla all'ospedale per abortire. Le ho chiesto se faceva sul serio, e lei mi ha detto di sì. Preso dall'impeto del momento, dato che non credo che l'aborto volontario sia una cosa tanto giusta, ed ero ancora arrabbiato per la mia scoperta, le ho chiesto: ''Ma Simone lo sa? ''. Lei mi ha guardato sconvolta. Non poteva immaginare che lo venissi a sapere, aveva un quoziente intellettivo troppo basso per arrivare a questo genere di cose. Non era vendicativa, non riusciva a formulare delle idee abbastanza crudeli. Dopo i soliti ''non è come credi'', le ho mostrato come l'avevo scoperto. Indignato, le ho detto di farselo finanziare da Simone lo psicologo e tutto il resto, e le ho specificato che rivolevo i miei soldi. L'ultima cosa che le ho detto è stata ''Fatti accompagnare da Simone, all'ospedale, ché tempo con te non ho intenzione di perderne più''. Me ne sono andato. Ho fatto un biglietto del treno per Venezia e sono partito senza troppi indugi. Dopo un po' mi ha chiamato Simone, e mi ha spiegato che non sapeva della mia esistenza, e anche lui si stava iniziando a preoccuparsi per tutto il tempo che passava senza risponderle. In pratica, stavano insieme da prima che ti lasciassi, e il figlio era suo. Mi ha trattato come io ho trattato te. Mi sono sentito male, molto male. Abito a Venezia, in un monolocale in centro. Da solo. –
- Oh, che racconto strappalacrime! – esclamo sarcasticamente.
Una lacrima gli riga la guancia. Un po' mi fa pena, ma non mi importa. Non mi piace provare questo sentimento verso le persone, non perché sia indifferente al dolore altrui, ma semplicemente perché non mi piaceva essere compatita quando ero sola.
- Non so cosa io possa farci, Lucas. Ora sai cosa si prova. –
- Non fare la dura, Fede. Ho bisogno di te, ora. –
- E quando io avevo bisogno di te, Lucas? Dov'eri? – chiedo senza mostrare un filo di fragilità, e lui abbassa lo sguardo. - Appartengo a un altro uomo. Non posso aiutarti. –
- Chi è il fortunato che ti ha sposato? – domanda guardandomi negli occhi.
- Sto insieme a Riccardo. –
- Riccardo? –
- Riccardo. Lui mi ha aiutata durante i mesi di gravidanza. Mi ha accolto in casa sua quando qualcun altro mi avrebbe lasciata a marcire. Lui è l'uomo che ha cresciuto le mie figlie. Lui è l'uomo che amo. E lui è l'uomo che sposerò. –
- Non sanno chi sono? –
- Seppur glielo avessi detto, ti avrei disegnato come un mostro di cui non aver paura, perché troppo stupido e codardo per poter far del male lealmente, mostrandosi. Un mostro che fa sempre tutto a debita distanza, che cerca di farti scivolare giù nel baratro, ma con la coda di paglia, tale da non voler sporgersi per accertarsi che non ci sia nessuno pronto ad attutire la caduta. – dico duramente.
- Che poeticità. –
- Credi che non sia la realtà? –
- Tu non sei mica innamorata di lui. Sei innamorata di quello che ha fatto per te. –
- Lucas, fare qualcosa che possa giovare alla salute mentale e fisica di un'altra persona è un segno visibile di amore, o anche solo bene. Lui, al contrario di te, mentre partorivo mi ha stretto la mano, mi ha detto che sarebbe andato tutto bene. Mi ha sorriso e mi ha teso la mano mentre precipitavo, mi ha aperto uno spiraglio di luce nel buio più totale che mi circondava, mi ha aiutato ad aggrapparmici perché il mio peso spalancasse quella fessura, che è diventata il mio mondo, nel quale tu, mi spiace, ma non c'entri. È troppo piccolo per così tante persone, sai? Ha i posti riservati. –
- Hai una mente troppo chiusa per capire che cos'è l'amore. –
- Oh, perché, tu lo sai? –
- Molto più di te. –
- Non mi hai mai amato! –
- Non è così. Ti sbagli. –
- Ah, e allora com'è? –
- Io provavo solo attrazione fisica per Lindsy! –
- Se fosse stato così, ti sarebbe bastato fartela ogni giorno. O sbaglio? –
- Ti sbagli! -
- Mi fai ridere. -
- Tu mi piacevi! –
- Stavi per sposarmi! Come poteva bastarti che 'ti piacessi'? –
- Avrei imparato ad amarti! – esclama esasperato scattando in piedi e, appena sento il suo tono di voce alzarsi, mi copro il volto con le mani. È uno scatto, un impulso del cervello. Forse, nel profondo, ho ancora paura, non che possa farmi stare male o possa ferirmi dentro, ma che possa farmi male, fuori, sulla pelle che, solo al pensiero di quel che ho passato, brucia.
Lui tira un sospiro e si siede di nuovo. Mette le mani sulle mie e le sposta dal viso. Io le tiro subito indietro, e lui ne sembra perfino dispiaciuto.
- Non voglio farti nulla. Fidati di me. –
Quella richiesta mi indigna. Come si può chiedermi una cosa del genere? Come può, dopo quello che mi ha fatto? Si è mai fatto un esame di coscienza, ha capito davvero che cosa ho provato in quei mesi? Si è reso conto di quello che ho passato, o forse è davvero troppo vile da non averci nemmeno pensato, e tanto presuntuoso credendo che i sentimenti provati, come il disprezzo e la delusione, fossero uguali? Non ha mai pensato, forse, che io avevo un figlio in grembo, mentre lui aveva un'altra? L'ha forse scordato, mentre rimpiangeva il tempo passato insieme? O forse non l'ha mai rimpianto? Forse ha pensato per tutto il tempo a quello che Lindsy aveva fatto a lui, e solo vedendomi in faccia si rendeva conto che il mio racconto sarebbe stato ben più serio. Non che avesse torto, se fosse stata una persona perbene mi sarebbe pure dispiaciuto per lui, ma se lo meritava, infondo. Gli era piaciuto giocare con me, e non può importarmi più di tanto se dopo è stato trattato come un giocattolo.
- Tu sei molto arrogante, lo sai? Mi hai già detto tante volte questa frase, che detta da te non ha più un minimo di significato, nessun senso. Le tue parole verso di me sono vuote, non mi interessa se sei pentito. Mai più, ti dico, mi fiderò di te, perché l'ho fatto per troppo tempo, e ora guarda dove siamo. Sono cresciuta, non ci casco. Mai più, ti dico, mi fiderò di te. - mi alzo, ricacciando indietro le lacrime che minacciano di uscire. - Mai più. – dico, scandendo le parole, perché possano ficcarsi nella sua testa, e mi allontano il più velocemente possibile. Non voltarti, mi dico mentalmente, rischieresti di cedere. Per quanto possa essere orgogliosa di me per come gli ho risposto, ho ancora un po' di timore di quello che potrebbe farmi. È giusto nascondere questo incontro a Riccardo, o forse sarà peggio per me? Tutti questi forse e queste domande a cui non posso rispondere da sola fanno bloccare tutto intorno a me per un attimo. Mi fermo, in piedi in mezzo al marciapiede, a pensare per un attimo a quello che sta succedendo. È la cosa giusta? Rispondi, mi dico, perché credo che potrei scoppiare da un momento all'altro. La risposta verrà da sé, potrebbe dire qualcuno, ma proprio non riesco a mandarlo giù questo concetto. Ho bisogno di certezze. Ho bisogno di risposte. Quindi, è giusto quello che sto facendo? Sì, decido, è giusto, per quello che vedo e so ora è la scelta più ragionevole. Se lo riterrò necessario, allora poi dirò a Riccardo che l'ho incontrato, gli riferirò cosa mi ha detto, farò tutto a tempo debito. Per ora, non è neppure sicuro che lo incontrerò di nuovo. Perciò, perché rischiare?I'm back bitcheeeessss
Vi avevo promesso un capitolo ogni martedì e arriveranno altre parti ;)
Oggi sono felice (per crush ihih) e quindi nulla :))
Felici di questo ritorno?
-Sa
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Anima Fragile - The Sequel - Rederica
FanficLa mia vita stava andando a gonfie vele. Ero felice con Riki e con le mie bimbe. Avevo trovato lavoro come cameriera, lui aveva ripreso gli studi e si era laureato in design della comunicazione; aveva anche aperto uno studio. Le bimbe andavano all'a...