Capitolo 11 - Roditore dei Miocastoridi

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Ho sempre saputo quanto fossero caratteristici i miei amici; sebbene di tanto in tanto fossero in grado di intrattenere delle conversazioni quantomeno utili, la maggior parte delle volte tiravano fuori argomenti al quanto discutibili, come adesso.

«Quindi cos'è una nutria?» domandò Ashton, seduto al mio fianco al nostro solito tavolo in mensa, intento ad intingere un paio di patatine nella maionese.

Era una giornata stranamente tranquilla, sebbene mi fossi svegliata tutt'altro che serena: dopo lo "scherzetto" che avevo fatto a Michael ero davvero in ansia per la sua reazione. Anzi, avevo proprio il terrore di una sua reazione.
Sui social giravano ancora sue fotografie con indosso quel ridicolo costume e a scuola le persone continuavano a parlarne. Di Michael, però, nemmeno l'ombra.

«Un pesce» rispose Allison, ravvivandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio. Allibita dall'affermazione della mia amica e dalla situazione in generale, emisi un profondo e sonoro sospiro. «La nutria non è un pesce.»
Luke annuì con forza, dandomi man forte, mentre Ashton si avvicinò più a me, corrugando le sopracciglia. «Se non è un pesce, cos'è?»

Non potei evitare di sbuffare, infastidita dalla sua insistenza. Insomma, non poteva accontentarsi di sapere che non era un pesce?
«Allora?» mi provocò Allison, incrociando le braccia al petto.

«È tipo una marmotta, ma non è una marmotta» provai a spiegare. Tutto sommato nemmeno io avevo avevo idea di cosa fosse in realtà.

«È una marmotta» affermò Luke, facendo crollare ogni speranza che almeno lui fosse perlomeno sveglio. «Non è una marmotta» protestai.

«È allora cos'è?» riformulò Ashton, facendomi perdere le staffe. «È una nutria!» esclamai. Almeno non potevano contraddirmi.

La discussione sulle nutrie continuò e Luke, che finalmente mostrò quel minimo di intelligenza che confidavo in lui, andò ad informarsi su internet, rivelando che la nutria era un Roditore dei Miocastoridi. In parole povere: mezzo topo mezzo castoro.
Scoperto ciò, mi estraniai dalla conversazione, perdendomi nei miei ansiosi pensieri.

Ero ormai riuscita ad ammettere di aver paura della possibile reazione di Michael, quello che però faticavo ancora ad accettare e che, in ogni modo, tentava di farsi spazio in me, era il senso di colpa. Era una sensazione sgradevole, provavo a respingerla, o quanto meno ad ignorarla, ma non era semplice. A ricordarmi costantemente ciò che avevo fatto ci pensava il cellulare: intasato da sue fotografie alla festa, video e commenti maligni. Il senso di colpa si presentava cauto, per poi scagliarsi contro di me come un toro inferocito.

Ero stata io a generare tutta questa cattiveria nei suoi confronti, ma la cosa peggiore era che l'avevo voluto. Volevo il mondo - in questo caso la scuola - contro di lui, volevo vederlo soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Eppure tutto ciò non mi aveva portato alcun bene, come inizialmente avevo pensato; mi sentivo tutt'altro che appagata per ciò che avevo fatto.

Un colpo alla caviglia mi riportò bruscamente alla realtà, facendomi mugolare per il dolore. «Che vuoi?» borbottai contro Ashton, colui che mi aveva rifilato un calcio da sotto il tavolo. Non rispose, mi fece un cenno con la testa verso l'entrata della mensa, a poca distanza dal nostro tavolo. Anche Luke ed Allison erano concentrati in quella direzione, per ciò, alla fine, mi voltai anch'io.

Non impiegai molto a capire il motivo di tanto interesse da parte dei miei amici, ben presto di tutta la mensa. Michael aveva appena fatto il suo ingresso. Indossava una maglietta nera col logo di qualche band a me sconosciuta, i soliti jeans neri, aderenti, e un paio di Vans, anch'esse nere e ormai consumate. La felicità in persona, insomma.

Notai che i suoi capelli non erano più verdi, erano tornati ad essere biondi, il suo colore naturale. I suoi occhi vagavano per la mensa, un po' spaesati, in cerca di qualcuno. Sembrava insicuro, forse un po' spaventato, e quell'immagine mi ricordò il Michael che avevo conosciuto solo un anno prima.

Il suo sguardo intercettò il mio, la sua insicurezza svanì, come se non ci fosse mai stata, sostituita da un'estrema freddezza che, sotto il suo sguardo attento, mi congelò sul posto. Sentivo le risate degli altri studenti, le offese che gli riservavano, non tentando nemmeno di essere quantomeno discreti, ma non ne ascoltai nemmeno una. Tutta la mia attenzione era su di lui, i suoi occhi restarono inchiodati ai miei anche quando cominciò ad avanzare. Non so che espressione avessi, ma la sua, vacua, senza alcun ombra di sentimento, mi metteva i brividi.

Superò il mio tavolo ed il nostro contatto visivo venne interrotto, ma i miei occhi continuarono a seguirlo. La postura rigida, dritta, emanava autorità; la stessa che, lentamente, mi aveva schiacciata, umiliata, facendomi sentire piccola, irrilevante.

La sua attenzione non era più rivolta a me, ma il senso di inquietudine non accennava comunque a diminuire. Non una parola, non una frase intimidatoria, soltanto silenzio.

Eppure quel silenzio mi spaventava più di qualsiasi altra cosa.

«Kat?» Ashton stava picchiettando il suo dito sulla mia spalla, tentando di attirare la mia attenzione. Michael si sedette al tavolo con Noah Pearson e Joe Mitchell ed io decisi di distogliere lo sguardo, concentrandomi sul mio migliore amico che continuava imperterrito a pronunciare il mio nome. La sua espressione era preoccupata, così come quella di Luke ed Allison. Ero consapevole di quale sarebbe stata la loro prima domanda, così parlai per prima, volendo evitare discorsi sui miei sentimenti. Non ne avevo alcuna voglia. «Ti avevo detto che si frequentava con Joe.»

Per qualche secondo, tra noi, calò il silenzio. Non si aspettavano questo mio cambio di rotta, ma lo accettarono velocemente e senza porre domande, cosa che apprezzai.
«In che senso?» domandò Ashton, non avendo comunque compreso la mia affermazione, facendomi ridere. Almeno lui sarebbe rimasto l'idiota di sempre.

«Joe Mitchell» spiegai, «il tuo caro amico
«Lo conosci?» domandò Luke, scettico.
«Conosci Joe Mitchell?» s'intromise Allison, gli occhi allucinati. «Me lo presenti?» Il suo entusiasmo si spense lentamente, non appena notò il mio sguardo infernale.

«No, non lo conosco» sbuffò Ashton, sventolando una mano per sminuire la questione.
«Ah no, Ash?» dissi, mettendo su un sorriso palesemente falso, «Ne sei sicuro?»
«Gli ho parlato solo una volta» si difese.
«Solo una?»
«Ok, un paio.»
«Un paio, eh?»
«D'accordo! Abbiamo lezione insieme, chiacchieriamo spesso, che male c'è? È simpatico» ammise, gesticolando come un ossesso.

«Peccato sia a quel tavolo» dissi, facendo un cenno con la testa. Qualcosa nel mio tono di voce doveva esser sembrato provocatorio, perché Ashton assunse un espressione sfrontata.

«E quindi? Vuoi che lo inviti a sedersi con noi?» disse, avvicinando il viso al mio. «O preferisci che vada io da loro?»

Le mie sopracciglia si sollevarono dallo stupore, ma mi affrettai a nasconderlo. Le sue parole mi avevano ferita, ma la rabbia non ci mise molto a parlar per me. «Sei ancora qui?»

Sapevo di essere io a provocarlo, ma non sapevo fare altro. Notai la sua mascella stringersi dalla rabbia, i suoi occhi puntati nei miei, in attesa di qualcosa. Qualcosa che non arrivò mai, perché io non dissi altro e lui si alzò dal tavolo.

🐟🐟🐟

N/A:
Non ho trovato l'emoji di una marmotta, né di un castoro, perciò ho messo il pesce.

Comunque è tipo mezz'ora che sono a letto ad aspettare l'inizio di Harry Potter per poi ricordarmi che lo mandano domani sera. La sera di Halloween. Sera in cui non sarò a casa.

Voglio piangere.

Sorvolando sulla mia triste vita, cosa ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto?

Ora la finisco e mando auguro tante cose belle a tutti🌈

Broken || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora