Capitolo 2 - Lucifer

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Quella notte non riuscii a dormire molto a causa del cellulare che squillò per tutta la notte. Quel deficiente di mio fratello Travis non fece che chiamarmi, ubriaco com'era. Dovetti andarlo a recuperare senza svegliare mia madre, che non sapeva nulla della sua uscita notturna. Arrivati a casa lo buttai sul letto e mi preoccupai solamente di lasciargli una bacinella accanto, nel caso in cui avesse dovuto vomitare.

Erano le cinque passate e ormai di dormire non se ne parlava, così decisi di farmi una lunga doccia e di prepararmi con tutta tranquillità per la giornata di scuola che mi aspettava. Quando fui pronta scesi al piano di sotto e andai dritta in cucina, per una volta avevo il tempo di prepararmi la colazione. Mia madre era già sveglia, seduta su una delle  sedie del tavolo da pranzo col cellulare in mano. Indossava ancora il pigiama rosa cipria - uno dei tanti che le avevo regalato -  e i capelli castani erano legati in una crocchia disordinata.

«Che fai già sveglia?» le domandai, attirando la sua attenzione. Lavorava in un negozio vicino casa perciò, solitamente, non si svegliava prima delle otto.

«Vi ho sentiti rientrare a casa» spiegò, incrociando le braccia al petto. Sbiancai di fronte ai suoi occhi azzurri capaci di gelarti sul posto, non sapendo cosa dire: avrei dovuto continuare a coprire Travis?

«Non è colpa mia.» Sventolai bandiera bianca.
Non mi sarei presa responsabilità per mio fratello, soprattutto perché ero in disaccordo con ciò che faceva.

Madeleine, mia madre, si alzò. «Vado a svegliarlo, sbronza o no a scuola ci va a calci» disse, lasciandomi un bacio sulla testa, prima di uscire dalla cucina.

Feci colazione con della musica in sottofondo e, con le poche ore di sonno che vantavo, mi stupii di essere così di buon umore. Uscii di casa nel momento stesso in cui Travis scese al piano di sotto; probabilmente sarebbe arrivato a scuola in ritardo.

Iniziai a sgrovigliare le cuffie, mentre camminavo verso la fermata del pullman. Avevo la patente, ma non avevo l'auto. Usavo quella di mia madre, di tanto in tanto, quando non serviva a lei. La macchina di mio padre era off-limits e ormai mi ero arresa: sapevo non me l'avrebbe mai lasciata guidare.

Io ed Allison ci incontrammo sul bus, aveva i capelli acconciati in una treccia a spina di pesce, appoggiati sulla spalla sinistra e, come ogni mattina, era piena di vitalità. «Oggi abbiamo Rolland!» esultò. Raphaël Rolland era il nostro professore di educazione fisica, non ci voleva una scienza per capire che Allison aveva una cotta per lui. «Passerai le sue ore a sudare e puzzare, cosa potrai mai fare in quelle condizioni?» domandai inarcando un sopracciglio. Lei in risposta sbuffò, dandomi una leggera spallata mentre scendevamo alla fermata di fronte alla scuola.

Ci incamminammo verso il Norwest Christian College e non potei non soffermarmi sulla scelta discutibile del colore del tetto della scuola, ricaduta sul verde pisello. Ma dico io, che colore era il verde pisello?

«Mi ascolti?» Allison interruppe i miei pensieri tirandomi una ciocca di capelli castani. «No» scattai, allontanando la sua mano dalla mia testa. «Arrivano» dissi, indicandole la direzione in cui vidi i due ragazzi. Camminavano spediti verso la nostra direzione: Luke, come sempre, dava l'impressione di essere uscito direttamente da una rivista di modelli, mentre Ashton sembrava fosse appena caduto dal letto.

«Hey Vip!» salutai Luke, facendogli arricciare il naso all'insù. L'avevo sempre chiamato così, da quanto ricordavo, essendo che era molto conosciuto a scuola. Lui, inizialmente, si infastidiva, perciò continuai a chiamarlo così; nel tempo poi diventò un abitudine e non sembrava gli dispiacesse. I capelli biondi stavano diventato troppo lunghi, ma gli stavano bene. Insomma, Luke sarebbe stato bene persino rasato a zero, non si poteva negare.

Broken || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora