Lettere

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In quel caldo pomeriggio estivo, in cui le cicale cantavano e il mare si infrangeva sugli scogli, quattro lettere erano state portate all'ospedale di Sampierdarena, nella stanza più remota del reparto di rianimazione.
Un raggio di sole penetrava nella camera dalla piccola finestra, illuminando il comodino sul quale si trovavano i fogli di carta. Certo, Diego non poeta vederli, ma anche lui avvertiva l'energia sprigionata da essi.
Ed era come se sentisse le voci degli amici riecheggiare nella sua testa, come echi lontani, appartenenti ad un'altra dimensione.

È difficile dire addio alle persone a cui teniamo particolarmente.
Sappiamo che non potremmo più abbracciarle, che non ci potremmo più parlare e litigare. Non potremmo più vederle.
E fa male, troppo. Così tanto che non trova valvola di sfogo e rimane incastrato costantemente dentro di noi. Così tanto che diventa un tutt’uno con noi, che non si può discernere con il nostro essere ed allora sembra quasi che questo dolore non esista, che sia passato.
Io non ti ho ancora detto addio e non voglio farlo.
Io credo in te, Diego. Credo nella tua forza. Credo nella tua capacità di rialzarti. Credo nella tua speranza. Credo nel tuo coraggio.
È già da una settimana che sei immobile su quel lettino, abbandonato in un incubo che sembra non finire più. Ma io non riesco ad accettare che tu non sia più qui, non ho ancora metabolizzato il tutto e…non ce la faccio.
Ti stringo forte nei ricordi, tengo viva la tua presenza nel mio cuore, ti parlo, ti scrivo…
Non lascerò che la tua fiamma si spenga, te lo prometto. La tua lotta non è ancora finita e ti chiedo, con il cuore in mano, di non arrenderti. Continua a combattere amico mio, hai tanto per cui vivere. Vuoi davvero abbandonare i tuoi amici?
Qui adesso siamo soli, con un vuoto nel petto che mai si colmerà se non tornerai e la rabbia che pigia ancora in testa, la voglia di gridare e di spaccare qualunque cosa. Mostriamo anche dei sorrisi, tanti, per trasmettere tranquillità e serenità, perchè tu non vorresti vedere noi, quelli a cui vuoi bene, star male.
Ma la verità è che sei la sostanza dei nostri giorni, Diego!
Non ti conosco da molto, ma sei entrato da subito nel mio cuore e già ti considero come un fratello. Insieme, io e te, siamo invincibili. Abbiamo preso la banda del serpente a calci nel culo e siamo riusciti a far tremare tutta la giungla genovese.
E cosa fai tu ora?
Te ne vai.
Non farlo, amico mio, non farlo.
Io ho bisogno di te, i tuoi amici hanno bisogno di te e il mondo intero ha bisogno della tua musica; che non è la musica di Izi, ma quella di Diego.

Ti voglio bene,
Linda.

E’ passato tantissimo tempo da quando ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a frequentarci. Il pretesto con cui tutto è iniziato è stato banale, al contrario di tutto ciò che si è poi sviluppato nel corso del tempo e che continua a trasformarsi, tra una disavventura e l’altra, mentre diventiamo grandi, insieme.
Da rollare insieme una canna al parchetto a condividere il palco nelle discoteche, spaccando con la nostra musica. Fré, ne abbiamo fatta di strada...
La realtà, caro Diego, è che si diventa amici da un giorno all’altro, ma ci si può reputare fratelli solamente se si condivide del tempo come lo abbiamo fatto noi, mentre ci si avventura nella quotidianità della vita, resa magnifica dal nostro rapporto unico e ineguagliabile, reso grande, immenso, dalle piccole cose, quelle apparentemente insignificanti.
Ci è capitato di discutere, a volte anche pesantemente, ma ogni volta ci siamo ritrovati più forti, più uniti che mai, e più cresciamo, più questo legame si fa indissolubile, alimentato dalla passione per il rap.
Mi ricordo della prima volta in cui ci esobimmo, nel 2008. Eravamo al Burrida e ci sembrava di stare sul tetto del mondo. Tu avevi un'ansia pazzesca, riuscivi a malapena a reggerti in piedi e ti guardavi intorno, terrorizzato dalle venti persone che si trovavano nel locale. Ancora non avevamo legato molto, eppure mi ero affezionato particolarmente a te, già sapevo che saresti diventato la parte migliore della mia vita. Così presi il tuo volto tra le mie mani, spaventandoti a morte. Ti dissi che avresti spaccato e che , se nessuno poteva fottere Tedua, nessuno poteva fottere Izi. Rimanesti spiazzato e mi guardasti con i tuoi grandi occhi marroni, come a cercare forza nelle mie iridi. Infatti, quella sera, tu hai fatto il culo a tutti, esibendoti meglio di me, Alessandro e Riccardo messi insieme.
Come non ti sei arreso quella volta, non farlo adesso. Avere paura è normale, ma la forza trasforma la paura in coraggio.
Sei una roccia amico mio e la pietra lavica non la si lava.

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