Resa?

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Torno indietro verso gli alloggi, con la furia che serpeggia nelle mie vene. Non si è presentata, mi ha dato bidone. Ma a quanto pare è diventata una costante per lei.
Apro di scatto la porta, mi tolgo gli anfibi e mi butto a peso morto sul letto.
Metto le cuffie e lascio che i ricordi affiorino, senza reprimerli come mio solito.

Il carrello dell'aereo tocca con movimento lieve il terreno della pista d'atterraggio.
Sono a casa, finalmente, vivo e vegeto. Esco dall'aeroporto infilandomi subito in un taxi, per andare in centro ad ubriacarmi.
È l'unico modo che ho per sopprimere i ricordi. Il terrore e il dolore provati in questi anni, in quella landa sperduta. Smonto dalla vettura lasciando una generosa mancia al conducente, che mi ringrazia calorosamente.
Pochi passi ed entro nel vivo della città, col suo frastuono e le mille luci, che sembrano non volersi spegnere mai.
Degli scoppi mi fanno abbassare e mettere in posizione di guardia. Ma sono solo degli stupidi ragazzini che sparano dei petardi. Riprendo il controllo, infilandomi diretto nel primo bar che trovo.
Poso il borsone a terra, sedendomi su uno sgabello, proprio al bancone.
«Che ti porto?» Il barista mi si avvicina: è un tipo particolare, con una strana cresta in testa, occhi nocciola e il fisico massiccio. Sul bicipite destro, lasciato scoperto dalla manica, noto il tatuaggio militare.
«Marina?» Gli chiedo.
Batte la mano sul tatuaggio e replica: «Nathan James».
«Io esercito. Rientrato adesso, congedato con onore».
Fischia e sorride.
«Dove?» Sono cose da militari, le nostre.
«Kandahar» mi limito a questo, non c'è bisogno di altro.
«Cazzo. Una zona di merda».
«Il primo giro lo offro io, è la politica della casa. I commilitoni hanno diritto alla prima bevuta gratis e poi uno sconto».
«Ne sono felice, perché ho intenzione di affogare nel whiskey» ed è davvero così.
«I sogni?» Si interessa ancora.
«Anche» non mi dilungo, non ne ho voglia. Non aggiunge altro, mi serve un bicchiere con due dita di liquore, che trangugio come fosse acqua.

Continuo così per un bel pezzo, fin quando non sono del tutto stordito. Lascio un rotolo di banconote sul tavolo, riprendo il borsone ed esco barcollando.
Decido di camminare, per schiarirmi le idee e riprendere il controllo. Fa anche molto caldo, ma è naturale essendo in Texas. Osservo la gente, le auto che sfrecciano, domandandomi quale sia la vita di quelle persone; come la mia, o totalmente differente?
E poi, lei, che arriva a riempire la mia testa, come sempre.
«Dove sei finita, Minnie?» Mi esce un borbottio, più che una frase.
Inciampo, perdo l'equilibrio e finisco addosso ad un gruppo di ragazze. All'inizio mi insultano, poi, vedendomi, mi si fanno attorno e cercano di aiutarmi.
Una più di tutte: una ragazza esile, dai capelli neri e gli occhi verdi.
«Stai bene?» Chiede con tono pacato, afferrandomi per la vita.
«Direi di no. Ma...» mi sgancio bruscamente, sentendo i conati arrivare. Scappo più avanti e appoggiandomi al muro rimetto tutto.
Sento la sua mano che mi tiene i capelli sulla nuca, mentre con l'altra mi massaggia la schiena.
«Minnie?» Il solo nome che ho in mente.
«No, sono Samara, ma se vuoi posso chiamare questa Minnie e dirle di venire a prenderti» si mette a disposizione.
«No. Lei non... lascia stare, non importa» mi rimetto eretto, mi pulisco la bocca e cerco una gomma da masticare nella tasca.
«Ho la macchina, se ti serve. Ti posso accompagnare a casa» un altro gesto gentile, ma che non lascia niente in me.
«Ok» dico soltanto. Torniamo indietro, prendo la sacca e la seguo, senza sapere che questo cambierà totalmente la mia vita.

Mi risveglio da quel sogno così vivido, sudato e col cuore che va a mille.
Devo uscire, le pareti sono troppo strette per me, adesso.
Esco respirando a pieni polmoni la fresca brezza notturna. Deve essere passata la mezzanotte da un bel pezzo. Tutti dormono e la sua luce è spenta.
Un rumore proveniente dalle stalle mi fa voltare. La vedo, in sella ad un cavallo, che si dirige verso il lago.
Non perdo tempo; monto in una delle mini car e la seguo, tenendomi a distanza di sicurezza. Voglio proprio vedere che cosa combina, anche se sospetto ci sia di mezzo bambolotto biondo.
Una volta arrivato, lascio la vettura nascosta dietro una macchia di cespugli, concentrandomi sui rumori. Sento il cavallo nitrire e lei che gli parla sommessamente.
Sbuco dal sentiero, proprio nel momento in cui lei si toglie la camicia da notte.
Resta in intimo ed è bellissima. Il mio volerla si acuisce ancora di più.
Entra in acqua e inizia a nuotare energicamente, distanziandosi dalla riva. La seguo, prendendo la decisione su due piedi. Ma, a differenza sua, entro in acqua nudo.
Mi immergo e nuoto con calma, onde evitare di palesare la mia presenza.
Si ferma quasi a metà tra le sponde. Ancora qualche bracciata e finalmente le sono vicino.

«Ciao, sirenetta» la saluto, notando lo scossone che fa.
«Che cosa fai qui, mi hai seguita?» La paura è ben visibile nei suoi occhi.
«Sì, è esattamente quello che ho fatto. Perché scappi di notte, alla chetichella? Aspetti qualcuno?» Non posso fare a meno di chiedere.
«Non sono affari tuoi. E no, non aspetto nessuno. Siamo solo io e Thunder» ma ho come la sensazione che stia mentendo.
«Bello il tuo cavallo. Mi piace anche il nome» la guardo negli occhi, avvicinandomi.
«Ti prego, non lo fare» mi supplica, ma io sono sordo alla sua richiesta.
«Perché?» Sorrido con cattiveria. Oramai è in trappola, è mia.
«Perché mi distruggerebbe» è scaltra, non c'è dubbio.
«Non credo. Vedila così: è un buon modo per far uscire la rabbia e l'astio che proviamo l'una verso l'altro. Solo sesso, senza sentimento, per tutto il tempo che serve» ribadisco.
«E quando finirà, che cosa mi resterà? Il tuo ricordo, il tuo odio e la consapevolezza di aver fatto una cosa orribile?»
Ha ragione, ma non intendo cedere.
«Adeguati. Io sono vissuto con tutto questo per anni, non è difficile, ci si abitua» una perla di saggezza, la mia.
«Come no. Sei così abituato, che per stare bene devi ferire una ragazza che ha la sola colpa di amarti, e me. Non è così facile come vuoi farmi intendere, Car. Si vede lontano chilometri. Darti corda servirebbe solo a far peggiorare le cose. Mettiamoci una pietra sopra, andiamo avanti»
La rabbia scoppia.
«No. Che io sia maledetto se ti lascio vincere!»
La spavento sul serio, indietreggia e si ripara con le braccia.
Sono scioccato dal suo gesto; crede che la possa aggredire. Ma non è questo che voglio.
«Smettila, mi conosci. Non ti prenderei mai con la forza» mi difendo.
«No, Car, non ti conosco più. Sei così... arrabbiato, incupito e incattivito. Non sei più il mio Car, il ragazzo che... era la mia salvezza, il migliore amico che potessi mai avere.
Il mio difensore» colpisce e va a segno, scaraventandomi nel passato, a quei tempi pieni di luce che ho sepolto sotto chili di macerie.
«La colpa è solo tua. Mi hai trasformato tu in tutto questo. E se Samara ne paga le conseguenze, puoi solo ringraziare te stessa. Per cui, il solo modo che hai per fare ammenda, è venire a letto con me, fino a che lo voglio io» metto in chiaro una seconda volta.
«Ti servirà a stare bene?» Il tono è fermo, ma le lacrime che spuntano dai suoi occhi chiariscono la verità.
«Non lo so, ma di sicuro è un inizio» mento, come solo io so fare.
«E va bene, allora. Se per riscattarmi da un torto che ti ho fatto, anche se non so quale sia, c'è solo questa soluzione, verrò con te.»
Non aggiungo altro, mi avvicino e la tiro verso di me, facendola aderire al mio corpo e...

SIAE. The Choice. SU Pubblicato 07/07/2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora