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Non mi è mai piaciuto stare sotto al sole per tanto tempo, fin da piccola preferivo stare all'ombra e giocare insieme a mio padre a carte, ai cruciverba, ai rompicapo e a sudoku.
Ma oggi stavo benissimo, sentivo la mia pelle bruciare, sentivo i raggi ultravioletti penetrare dentro la cute. Altro dolore per i miei denti.
Stavo prendendo sonno, quando qualcuno mi chiamò: <<Maggie>>.
Mi voltai e vidi l'ultima persona al mondo che avrei voluto vedere: Kevin.
<<Posso parlarti un attimo?>>
Mi rimisi nella posizione precedente, sdraiata a supino sulla sdraio, e lo ignorai.
<<Ti prego>>
<<Non ho nulla di cui parlare>> dissi con nonchalance.
<<È questione di un secondo, poi ti lascio alle tue cose>>
<<Va bene>> fui obbligata a dire, poiché sarò stata anche arrabbiata con lui, ma se mi vedeva comportarmi in quel modo, si sarebbe chiesto il motivo. Non potevo insospettirlo.
<<Su avanti, parla>> volevo che quella conversazione finisse il prima possibile, non potevo versare neanche una lacrima davanti a lui.
<<Volevo sapere com'era andata la visita dal medico e se adesso è tutto a posto con la tua caviglia, visto che ieri non sei venuta in spiaggia>>
<<Tutto bene, grazie. Ora puoi anche andare se non c'è qualcos'altro di cui vuoi discutere>> dissi con un cenno di mano, per dirgli di andarsene.
Sul suo viso vidi apparire la delusione, c'era qualcos'altro, sicuramente. Ma cosa?
Si girò per andarsene, ma io lo fermai.
<<No, aspetta>> si arrestò e si voltò con un sorriso sulla faccia.
<<Mi puoi gonfiare il gommone?>>
<<Certo>>
Indovinate un po'? La pompa si trovava nello sgabuzzino, quello sgabuzzino, quello del mio sogno. Certo che un'altra scusa per continuare a parlargli potevo trovarla!
Giungemmo alla porta e l'ansia prese il sopravvento. Avrei tanto voluto spingerlo dentro e baciarlo fino alla sfinimento, essere una volta per tutte sua.
Entrammo e Kevin azionò la pompa. Il gommone si gonfiava a poco a poco e ad ogni soffio d'aria non vedevo l'ora che tutto finisse, che potessi uscire da quello stanzino angusto. All'interno non c'era molto, solo alcuni attrezzi da lavoro, un piccolo tavolo e la pompa; le pareti erano di un colore rosso scuro e il soffitto nero; non c'era alcuna finestra, quindi era piuttosto buio, l'unica fonte di luce proveniva dalla porta socchiusa. Quell'unico raggio di sole illuminava il viso di Kevin e parte del suo corpo, mentre io mi ero nascosta nell'oscurità. Osservai per un'ultima volta i suoi lineamenti e mi concentrai sui suoi occhi, che non sarei mai più riuscita a guardare dopo allora. Era il mio addio, dovevo andare avanti, dovevo voltare pagina.
<<Ecco, tieni>> distolsi il mio sguardo e lo posai per terra cercando di nascondere i miei occhi umidi.
<<Grazie>> dissi sempre tenendo lo sguardo basso e mi avvia subito fuori.
<<Aspetta>> Kevin mi afferrò il braccio facendomi voltare e mi tirò a sé. I nostri visi erano uno di fronte all'altro e i nostri occhi si incontrarono in un istante interminabile. Io lo odiavo, lo odiavo tantissimo, ma come potevo resistergli. Mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio accarezzandomi la guancia. Al suo tocco gemetti e non potei trattenere una lacrima. Allungò il suo pollice e terminò il suo corso, impedendo che bagnasse il mio collo.
<<Non piangere, andrà tutto bene>>
Andrà tutto bene. Certo, ma come può andare tutto bene? Tu già non mi appartieni, non mi sei mai appartenuto e mai mi apparterrai. Devo lasciarti andare.
<<Kevin, ascolta, io>> mise le sue dita sulla mia bocca e tacqui.
<<So già tutto, non c'è bisogno che tu parla. Ieri io e Jade, beh, ehm, siamo tornati insieme. Le nostre famiglie sono in conflitto e non volevano che ci sposassimo, però ora abbiamo sistemato le cose. Io davvero la amo e se in qualche modo ti ho dato un'impressione sbagliata oppure ho fatto qualcosa che ti facesse credere>> lo interruppi.
<<No, sei un bravo ragazzo e mai tradiresti la donna che ami>>
<<Accetta comunque le mie scuse, mi sento in qualche modo colpevole>>
<<Tu non c'entri niente, sono io l'idiota, la stupida sognatrice...se ti avessi detto tutto fin dall'inizio, non ci troveremmo ora in questa situazione. Avremmo chiarito subito tutto, e io non mi sentirei così>>
<<Non sei un'idiota, sei una ragazza forte e nulla può abbatterti. Troverai qualcuno che sappia amarti e che ti meriti...sei troppo speciale per uno come me. Se veramente tra noi due c'è un idiota, quello sono io. Non mi sono accorto di niente, hai sofferto per tutto questo tempo e io non mi sono accorto di niente, non ho fatto niente>>.
Scoppiai in lacrime, non riuscii più a trattenermi. Kevin mi abbracciò e sentii per l'ultima volta il suo calore, la sicurezza che tra poco non avrei più provato.
<<Scusami>> furono le sue ultime parole.

Abby pov's
Chissà cosa starà succedendo ora? Mi chiesi.
Ero seduta al tavolo del bar della spiaggia e cercavo di distrarmi guardando un gruppo di ragazzini giocare a bocce. La curiosità mi rodeva e allo stesso tempo ero in pensiero per la mia amica.
E se le dice tutto? Non mi perdonerà mai. Come ho potuto farle questo?! Per lo meno potevo andare anch'io a parlare con loro, perché l'ho lasciata sola in un momento del genere?
Fissai per un momento il tavolino rosso con al centro il simbolo bianco dell'Algida e decisi di trattenermi, di non andare da loro. Mi girai verso il bancone del bar per vedere che cos'era rimasto da mangiare: due brioche alla crema, una vuota, due pizzette, una focaccia con le olive, tre macedonie, una piadina con prosciutto e formaggio e una con la Nutella.
Come posso mangiare adesso? Cos'hai in testa?!
Ma devo distrarmi, altrimenti mi intrometterò e rovinerò tutto.
<<Una pizzetta e un succo alla pesca>>
<<La pizzetta la vuole scaldare?>> chiese la cameriera. Era una donna abbastanza alta, snella, con i capelli rossi corti. Portava una maglietta bianca, dei pantaloncini neri e un grembiule nero.
<<No grazie>>
<<Allora sono € 5,50>>
Aprì la cassa, vi posò i soldi e mi diede il resto insieme allo scontrino. Tornai al mio posto e mangiai lentamente per perdere tempo.
Terminato l'ultimo boccone, passai a sorseggiare il succo di frutta. Ad ogni sorso mi giravo a guardare l'orologio appeso alla parete bianca dietro il bancone. I minuti passavano, ma le lancette non si muovevano.
Perché la percezione del tempo è diversa quando sei irrequieto? Stanno parlando soltanto da tredici minuti. Mi ha fermamente vietato di seguirlo e ha detto di lasciargli una mezz'oretta.
Ma come posso aspettare?!
Proprio quando mi decisi che non potevo più starmene con le mani in mano, il padre di Maggie arrivò.
<<Buon pomeriggio signor Johnson, riposato bene?>>
Che momento giusto per apparire in spiaggia, non poteva dormire più a lungo?
<<Sì Abby. Mia figlia dove sta? Non la vedo>>
<<È andata un attimo in bagno. Dopo pensavamo di fare una nuotata in acqua>> cercavo di prendere tempo in qualche maniera.
<<Bene. Sai che Maggie ha problemi alla schiena ed è solo un beneficio per lei nuotare>>
<<Sì signore. Ehm, perché non si siede qui con noi?>>
<<Ok, perché no. Porto lo zaino sotto l'ombrellone e arrivo subito>>
<<No, che motivo c'è. Resti qua...non ha mica delle carte dentro?>>
<<Sì>>
<<Allora tirile fuori, facciamo una partita>>
<<Ma non dovevate fare un bagno?>>
<<Intanto che aspettiamo Maggie...sa non gliel'ho detto per non farla preoccupare, ma ha un problema di stomaco, quindi credo ci metterà un po'>>
<<Vado subito a vedere>>
<<Ma non ce n'è motivo. È forse una bambina? Se la sbriga da sola, d'altronde sono bisogni suoi>>
<<Sì, tuttavia non vorrei che fosse niente di serio>>
<<Di serio?! Cosa c'è di serio? Cosa sta succedendo>> apparve dietro le mie spalle la madre di Maggie.
Ecco ci mancava solo lei: ora siamo al completo! Già è difficile trattenere il padre, figurati la madre. Come me la cavo con lei? È una furia!
Ah, in che pasticcio mi sono cacciata! Tutto per aiutare la mia amica...spero almeno in fin di bene, spero che chiariscano tutto e finisca tutto bene.
<<Ma niente, solo qualche problemino di pancia>> cercai di alleviare la tensione.
<<Cos'ha mia figlia? Dov'è? Vi prego, qualcuno risponda, cosa le è successo?>>
Deve sempre farne una tragedia, come se abbia appena avuto un incidente d'auto.
<<È in bagno, tra qualche minuto tornerà, non preoccuparti tesoro, non è nulla di grave>>
<<Ok amore>> e si diedero un bacio.
Bleh, perché davanti a me! Vi prego aiutatemi, questa è una tortura. La peggior punizione della mia vita: restare intrappolata con i suoi genitori, con sua madre.
Il signor Johnson cominciò a mischiare il mazzo di carte e io mi voltai a guardare l'orologio: mancavano dieci minuti.
Giocammo a scala quaranta, la partita stava per terminare e se Maggie non sarebbe tornata in questo lasso di tempo, le due persone di fronte a me avrebbero iniziato a far domande.
L'orologio segnava le 16:57, mancavano tre minuti. La signora Johnson posò l'ultima carta e il tempo per me finì.
<<Ora dicci dov'è Maggie. Non è in bagno, vero?>> chiese alterata.
<<Ehm, io>> avvertii dei gemiti, mi voltai di scatto e vidi Maggie correre in lacrime verso l'ombrellone.

Un giorno per innamorarsi [IN PAUSA] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora