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Capitolo 2

«Il tuo caro amico Vito è uno stronzo!» sbotto, incastrando il telefono tra l'orecchio e la spalla per potermi accendere una sigaretta in santa pace. Siamo a metà maggio e, nonostante l'ondata di caldo che ha colpito l'isola nei giorni scorsi, oggi tira un venticello abbastanza fastidioso. «Mi ha lasciato senza un lavoro due sere fa e non è stata nemmeno colpa mia.»

«Così hai detto anche l'ultima volta quando ti hanno licenziata dal bar. Hai rovesciato addosso ad una signora un intero vassoio pieno di cocktails.» mi ricorda prontamente papà.

Alzo gli occhi al cielo e poso l'accendino sopra il tavolino d'acciaio che ho sul balcone. «Quella vecchia megera si era alzata all'improvviso e non l'ho vista. Così com'è successo anche l'altra sera.» cerco di difendermi, prima di tirare con foga dalla sigaretta.

«Dai, tesoro, non sei proprio portata per fare quei mestieri. Vedrai che troverai qualcos'altro più adatto a te. E se proprio non lo trovi, puoi sempre andare in Svizzera, da tua cugina Antonietta. Sarà felice di averti nel suo negozio d'abbigliamento. Quando eri piccola ti piaceva sempre fare la cassiera.»

«In Svizzera ti fanno le multe anche se butti un mozzicone a terra e probabilmente dovrei spaccarmi le ossa solo per poterle pagare.» replico con una smorfia. «E poi, non voglio andare via da Catania. Qui ho te e la mamma.»

E Luca ca nun ti caca mancu di strisciu! s'intromette Peppino nel momento in cui lancio uno sguardo fugace al balcone del mio vicino.

*E Luca che non ti calcola manco di striscio!

«Comunque, quando possiamo vederci? Devo dirti qualcosa di molto importante.» aggiunge papà, e il suo sospiro frustrato per poco non mi spacca un timpano.

«Papà, hai qualche malattia?» esclamo allarmata, sgranando gli occhi fino a sentirli bruciare. «Se è così, faresti meglio a dirmelo. ORA!»

La sua leggera risata mette fine ai miei film mentali tragici. «No. Non ho alcuna malattia. Devo dirti qualcosa che riguarda Agata.» spiega, alludendo alla giovane donna per cui ha lasciato la mamma nemmeno un anno fa.

«Non ne voglio sapere nulla.» tuono, portandomi nuovamente la sigaretta tra le labbra.

Oh, accidenti!

Per poco non soffoco quando vedo Luca uscire sul suo balcone.
A petto nudo.
Con un solo paio di pantaloncini neri a ricoprire il suo corpo statuario che mi ricorda molto un dio greco sceso in terra per far impazzire noi, poveri mortali.

Quando mi saluta con la mano rischio di fare un volo di otto metri oltre la ringhiera verde che circonda il balcone.

Deglutendo con fatica, provo a calmare i miei bollenti spiriti e gli rispondo con quello che spero assomigli ad un sorriso decente, dopodiché sposto lo sguardo sulle mie affascinanti infradito azzurre.

«Dai, tesoro, ti prego. È importante.» ripete papà dall'altro lato della linea.

«Cosa?» chiedo confusa.

«Non fare la finta tonta, Chia'.»

Non faccio la finta tonta, papà! È che mi ritrovo a nemmeno due metri di distanza dall'uomo su di cui faccio sogni sconci ogni sera. Scusa se il mio cervello si rifiuta di collaborare con lui nei paraggi.

«Tesoro, se non fosse davvero importante, non te lo chiederei.» insiste mio padre mentre io fisso il braccio muscoloso di Luca tendersi verso una pianta. Le sue mani iniziano a strappare le foglie secche ed io, in questo momento, non riesco a pensare ad altro, se non a quanto vorrei essere quella dannata pianta.

IL MIO CAPO È UN IDIOTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora