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Non era questione di essere felice o infelice.
Io non volevo più essere me.
(Sarah Dessen)

Capitolo 9
Steven

Quando ho conosciuto Cindy Crawford era una studentessa magrissima che si nascondeva dentro a dei maglioni enormi. Una ragazza altissima, con un paio d'occhiali da vista troppo grandi per il suo viso piccolo e ovale.

Ricordo perfettamente qual'è il particolare che mi ha colpito in lei: il fatto che non sorridesse mai. Camminava sempre con un'espressione seria dipinta sulla faccia e dei libri stretti al petto, come se fossero una barriera che la proteggeva da tutto ciò che la circondava.

L'ho incontrata all'Imperial College London. Quando lei è arrivata all'istituto, eravamo entrambi al terzo anno. Rammento che dopo un paio di mesi da quando avevo messo gli occhi su di lei, nonostante i miei insistenti tentavi di avvicinarla a me e al mio gruppo d'amici, Cindy a malapena mi parlava, inventandosi sempre delle banali scuse pur di non stare in mia compagnia.

Però ero un tipo che non si arrendeva facilmente; in più, quel suo modo di essere timida e a tratti goffa mi piaceva in un modo inspiegabile per poter gettare la spugna.

Nel campus, alcuni erano arrivati addirittura a pensare che fosse lesbica dato che nessuno l'aveva mai vista in compagnia di un ragazzo, ma io non avevo mai dato retta a quelle stupide dicerie.

Quando il docente di scienze ha deciso di metterci in coppia per lavorare insieme ad un progetto, ho ringraziato il cielo per avermi dato l'opportunità che stavo aspettando.

Nel diciotto marzo di nove anni fa ho tirato fuori le mie migliori armi da conquistatore. Me la cavavo bene con le ragazze: anche se non avevo mai avuto una relazione seria, sapevo come comportarmi per far impazzire e divertire le donne. Ma con lei sono dovuto andare oltre perché non era quel tipo di ragazza che si faceva abbindolare da un bel faccino e un fisico che in molti mi invidiavano.

Le sono stato dietro parecchio prima che mi desse il consenso di portarla fuori, ad un vero e proprio appuntamento.

Il nostro primo bacio ce lo siamo scambiati prima delle vacanze estive. Un semplice sfioramento di labbra che aveva dato inizio alla nostra nuova vita insieme.

Il fatto che fossimo entrambi senza genitori mi ha aiutato in un certo modo, se così possiamo dire, a conquistare la sua fiducia.

Nella stessa sera del nostro primo appuntamento ci siamo raccontati tante cose; io mi sono aperto con lei come non l'avevo mai fatto con nessuno nella mia vita.

Lei mi ha confessato che arrivava da Liverpool e che aveva preferito cambiare aria perché quella città non aveva più nulla da darle da troppo tempo e che continuare a stare lì le avrebbe fatto solo del male. Mi aveva raccontato di come sua madre fosse venuta a mancare a causa di un tumore, seguita poco tempo dopo dal padre che, non reggendo il peso della morte della moglie, ha messo fine alla sua vita, suicidandosi nella cantina della loro casa.

Io invece le avevo detto una cosa che in pochi sapevano: che ero proprio io il figlio di Maicol Baker, uno dei migliori avvocati del paese. Lo stesso che aveva perso la vita insieme a mia madre, Annarita Scalia, una donna siciliana che aveva lasciato la sua terra per poter studiare all'estero e aver in seguito un futuro migliore, e a mio fratello minore Ashton, che all'epoca aveva solo sette anni, in un incidente aereo. I miei amavano troppo viaggiare e quella volta avevano scelto come metta il Messico.
Non sono mai più ritornati.

Le avevo raccontato anche di quanto fossi legato agli altri miei fratelli: Josh, Macayla e Abby.

Le avevo detto tutto sul primo incontro dei miei genitori. Si erano conosciuti sempre all'università. La mamma era andata a sbattere contro papà, inzuppandolo di caffè dalla testa ai piedi. Ebbe così inizio la loro storia d'amore che sarebbe durata ancora per molti anni se qualcuno lassù non avesse deciso diversamente per la loro sorte.

IL MIO CAPO È UN IDIOTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora