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Capitolo 7

«Che cazzo ci fai qui?» è la prima cosa che mi viene chiesta non appena metto il piede dentro il Banacher, un locale illuminato da tante luci multicolori a neon.

Le mura dipinte di rosso, i divani in pelle nera, i tavolini di vetro, i diversi cubi argentati posizionati in modo strategico sulle tre piste da ballo e l'omone di colore che mi ha fatta entrare mi danno l'idea di trovarmi all'interno di un nightclub.

Sbatto velocemente le palpebre e maledico mentalmente Salvo per avermi costretta a mettere questi trampoli. Se non li avessi indossati, ora avrei potuto allungare il passo e correre in fretta verso Luca, che sta in piedi, a pochi metri di distanza da me, con un fianco appoggiato contro il bancone dell'enorme bar, senza permettere a colui che mi sta simpatico quanto un raggio di sole negli occhi di raggiungermi.

Steven afferra fin troppo in fretta il mio polso e mi fa roteare verso di sé con una velocità fulminea, strappandomi un gridolino sciocco.

Ma è peggio del prezzemolo quest'uomo! Perché accidenti me lo ritrovo davanti, ovunque vada?

«Ma sei scemo?» lo rimprovero, prima che i nostri occhi potessero incontrarsi. «Per poco non mi facevi cadere!» aggiungo, dopo essermi aggrappata con forza ai suoi bicipiti.
Che sembrano enormi.
Troppo enormi.
Ehm... Wow.

Quando i nostri sguardi si scontrano, il mondo sembra davvero fermarsi per qualche secondo. Nessuno dei due apre più bocca. Le nostre labbra sembrano sigillate mentre i nostri occhi si scrutano attentamente, come se fosse la prima volta che si vedono.

«Comunque, ciao anche a te, eh!» proseguo, ridacchiando stupidamente, spezzando così l'incantesimo che si era creato attorno a noi, e gli conficco con forza le dita nelle braccia visto che sto ancora tentando di trovare un giusto equilibrio.

«Lascia stare i finti convenevoli! Ti ho chiesto cosa ci fai qui!» replica Steven, prendendomi per le spalle.

Ora i suoi occhi, che fino ad un istante fa sembravano curiosi, si sono ridotti in due sottilissime fessure. Mi sta fulminando con lo sguardo e questa volta non capisco il perché dato che non gli ho causato alcun danno.

Po mumentu!

*Per ora!

Sbuffo e decido di riservargli lo stesso trattamento sgarbato. Con uno come lui non si può proprio parlare educatamente. Sembra perennemente mestruato ed è a dir poco snervante aver a che fare con sua maestà, il re degli imbecilli.

«Ma che t'importa cosa faccio qui? Sono a casa tua, per caso? Non ho visto scritto da nessuna parte Proprietà privata dello Stitico. Questo è un posto pubblico e posso venirci ogni volta che mi pare!» sbraito, staccandomi da lui.

«Steven, lasciala in pace!» interviene Luca, fermandosi al mio fianco, e per fortuna riesco ad attaccarmi al mio vicino come una cozza allo scoglio prima di finire spiccicata sulla moquette scura che riveste l'intero pavimento e fare qualche figura di M.

Nonostante l'espressione dura dello stronzo, posso notare perfettamente i suoi occhi scivolare in modo evidente sulle mie gambe lasciate scoperte fino a metà coscia dalla gonna nera che indosso. Ma il suo interessamento dura meno di un secondo dato che torna a fulminarmi con quelle saette argentate che lancia nella mia direzione.

IL MIO CAPO È UN IDIOTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora