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Capitolo 10
Chiara

La musica dentro il Banacher è talmente alta che non riesco a capire cos'è che prova a dirmi il tizio dinanzi a me, un ragazzo sulla ventina che mi scruta la scollatura in modo fin troppo evidente.

Scuoto la testa, facendo svolazzare la frangetta che stasera ho deciso di lasciare libera sulla fronte. «Non ti capisco!» urlo per sovrastare il rumore che mi circonda.

Il tipo si china sul bancone fino a ritrovarsi faccia a faccia con me. «Mi stavo chiedendo cosa fai quando finisci qui.» spiega con un accento toscano, passandosi una mano sul mento. Si lecca il labbro inferiore, scivolando nuovamente con gli occhi sui miei seni. Probabilmente pensa di essere seducente, ma il suo gesto mi fa solo alzare gli occhi al cielo.

«Vado a dormire. Se mi lasci il numero, ti mando un messaggio quando arrivo a casa, così puoi fare sogni tranquilli.» replico tranquillamente.

Ormai ci ho fatto l'abitudine ai vari pessimi tentativi di rimorchio da parte di alcuni clienti più coraggiosi e non ci resto più male nel mostrarmi un tantino arrogante con loro.

Lui fa una smorfia e si ritira all'indietro, scuotendo la testa bionda. «È il due di picche più carino che abbia mai ricevuto in vita mia.» esclama con un tono di voce che mi fa capire che sperava comunque in un'altra risposta da parte mia.

«Sono feli...»

«Ti sta importunando?» la voce di Mattia, il terzo buttafuori, non mi permette di continuare la frase.

Grazie al cielo, Rudy, il dj d'origini francesi, ha abbassato un po' la musica, così possiamo comunicare senza urlare.

Sposto lo sguardo dal biondino e lo porto su Mattia. I suoi occhi glaciali splendono anche nell'ambiente semibuio che ci circonda. «No, tranquillo.» gli mostro un sorriso.

Lui alza il pollice all'insù, poi mi volta le spalle enormi e torna alla sua postazione, vicino alla porta d'emergenza.

Ma quanto cavolo è alto?

Minchia, troppu bonu è!

Nonostante siano già volate due settimane e mezza da quando lavoriamo insieme, non mi sono ancora abituata alle sue dimensioni da mammut.

«Allora, dato che non puoi fare altro per me, fammi uno scontrino per cinque cocktails.»

Inarco un sopracciglio in direzione del biondino, ma decido di ignorare la sua pessima caduta di stile. «Perfetto!» dico, limitandomi a fare ciò che mi ha chiesto, poi lo guardo spostarsi verso Macayla che è impegnata a lanciare nell'aria delle bottiglie.

Quando l'ho vista all'opera per la prima volta sono rimasta affascinata dalla sua bravura: quello che fa è un vero e proprio show per gli occhi, ma ricordo che i primi giorni pregavo affinché non mi arrivasse qualcosa in testa. Ora mi sono abituata e non ci faccio più caso.

Continuo a stampare scontrini su scontrini per un'altra ora prima che chieda a Anna, una delle sei cameriere, di darmi un attimo il cambio. Oltre la vescica che sta per scoppiarmi devo assolutamente fumare una sigaretta.

Mattia mi accompagna con lo sguardo fino a quando non entro nella toilette.

Da quando lavoro qua ho imparato che la sicurezza, l'ordine e la disciplina fanno di questo posto il luogo perfetto dove le persone possono divertirsi senza aver paura che le possano accadere qualcosa a causa di una rissa.

Ahmed, Luca e Mattia sono sempre pronti ad intervenire nel caso di bisogno.

Entro nel cubicolo, faccio ciò che devo fare, poi mi lavo le mani ed esco sul retro del locale. Quest'area non è ancora aperta al pubblico perché i lavori non sono a norma al cento per cento, ma per metà giugno dovrebbe essere a posto e la zona verrà affittata per le feste private.

IL MIO CAPO È UN IDIOTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora