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CAPITOLO 4

Per mia fortuna, o sfortuna, la porta dell'enorme casa che ho davanti è leggermente aperta perciò non mi tocca suonare di nuovo come una disperata.

Mi faccio mentalmente il segno della croce prima di decidere di entrare. Non so cosa aspettarmi una volta all'interno, ma dalle spiegazioni molto dettagliate e non richieste che Steven mi ha fornito prima, deduco che dovrò vedere cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare.

Tuttavia, spero davvero che stesse scherzando.
Non sono pronta a ritrovarmi davanti ad una scena simile a quella che mi ha descritto.

Mi concedo una grossa boccata d'aria prima di appoggiare la mano sulla maniglia e aprire del tutto la porta, ma sobbalzo vistosamente nel momento in cui davanti a me si materializza una ragazza dai lunghissimi capelli rossi, alta più o meno quanto me, con un viso che non mi è del tutto sconosciuto. La cosa sconcertante è che non ha nulla addosso e i suoi seni giganteschi per poco non mi colpiscono la faccia.

Ma non si usa più vestirsi prima di andare ad aprire le porte?

Il sorriso che aveva stampato sul volto si spegne nello stesso momento in cui si rende conto che non sono la persona che stava aspettando.

«Tu non sei Jessica!» biascica, sbattendo velocemente le ciglia chilometriche.

«No, sono Cicciolina, Jessica mi ha chiesto di sostituirla.» commento a tono.

Il modo in cui mi guarda con quegli occhi contornati da troppo trucco sbavato non mi piace per niente, ma se pensa che mi farò intimorire da due tette siliconate si sbaglia di grosso.

Sono venuta qui con una missione da compiere e non me ne andrò fin a quando non riuscirò ad ottenere ciò che voglio.

«Aspetta un po'...» continua, arricciando le labbra in una smorfia pensierosa mentre inizia a picchiettarsi il mento con un'unghia finta dipinta di viola. «Ma tu sei la tizia imbranata del ristorante, quella che...»

«Quella lo dici alle tue amiche, bedda, non a me, grazie!» le mostro un sorriso più falso di una banconota di trenta euro, dopodiché, anche se dovrei girare i tacchi e andarmene via vista la situazione, la sorpasso e m'incammino, come se fossi a casa mia, lungo un corridoio dalle pareti grigio perla su di cui ci sono appesi dei quadri che sembrano costare più del mio monolocale e la casa di mamma messi insieme.

Non l'avessi mai fatto!

Quello che mi si presenta davanti, una volta arrivata in quello che sembrerebbe essere il soggiorno, mi fa spalancare di colpo gli occhi per lo stupore. Mi porto rapida la mano in cui tengo quel maledetto scontrino davanti alla bocca e cerco in tutti i modi di tener salda la mascella per non farla rotolare sul tappetto a scacchi bianco e nero che ho sotto ai piedi.

Nell'ampia stanza luminosa, con una parete fatta interamente di vetro da cui si può ammirare un bellissimo giardino ben curato, ci sono tre divani in pelle bianca, posizionati in modo strategico a forma di U. Su quello centrale vedo seduto Steven, con una sigaretta infilata tra le labbra, la testa e le braccia appoggiate sullo schienale del divano e lo sguardo rivolto all'insù, verso il soffitto a volta.

È completamente nudo, così come la mora che sta inginocchiata dinanzi a lui. La testa riccioluta e scura di quest'ultima fa su e giù tra le sue gambe.

Oh. Mio. Dio.

Sto per vomitare! Lo sento l'acido gastrico che vuol fuoriuscire, ma per fortuna riesco a trattenermi e a non rimettere il caffè che ho bevuto un'ora fa nell'enorme vaso egizio che si trova a poca distanza da me.

IL MIO CAPO È UN IDIOTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora