Capitolo 14 - " Hope"

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Esco in fretta dall'ospedale e prendo l'autobus per arrivare velocemente a casa. Quando entro trovo mio padre e mia madre sul divano intenti a leggere dei giornali.

«Voglio andare a Sydney» dico posizionandomi in piedi davanti a loro.

«Tesoro ma fino..» non gli lascio finire la frase

«No papà, tutti mi odiano adesso e non posso stare neanche più vicino a Collin perchè mi hanno dato la colpa di tutto, voglio andarmene da qui.» dico con le lacrime agli occhi.

«Come vuoi, sali e prepara tutte le tue cose negli scatoloni e nelle valigie, partiamo domani mattina» dice indicandomi degli scatoloni appoggiati al muro.

Salgo in camera mia ed inizio a ritirare tutte le mie cose, so che questo posto mi mancherà e so anche che dopo quello che sto facendo, se Collin si dovesse risvegliare, non mi avrebbe mai più perdonato, ma non ho comunque la possibilità di vederlo, forse la nostra storia non era destinata a durare.

Sono passate già due ore da quando mi sono chiusa in camera mia e ho già svuotato la mia libreria e le mie mensole. Inizio a riporre i miei vestiti in una valigia, proprio come ho fatto un anno fa, per andare a conoscere quella famiglia che mi avrebbe ospitato e che ora mia ha cambiato la vita, radicalmente.

Finisco di sistemare tutti i vestiti e noto che sono già le 23, mi sdraio sul letto e mi addormento subito, senza mangiare, senza pensare, senza la possibilità di essere felice.

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«Jas, svegliati, l'aereo parte tra due ore» dice mia madre passandomi una mano sulla fronte per spostarmi i capelli. Mi alzo lentamente e mi accorgo che camera mia è stata completamente svuotata di tutti gli scatoloni e le valigie, sulla scrivania, prima piena dei miei ricordi, rimangono solo il telefono, il portatile e la mia macchina fotografica. Mi cambio in fretta e, dopo aver riposto i tre oggetti dalla scrivania ad una borsa nera, mi avvio verso la cucina, dando un'ultima occhiata a quella stanza, che non rivedrò.

«Il volo per Sydney in partenza tra 10 minuti, i passeggeri sono pregati di dirigersi al check-in» la voce dell'altoparlante mi sveglia dal mio stato di coma. E' passata un'ora e mezza da quando sono qui seduta e il fatto di potermi alzare è un sollievo. Mi avvio con i miei genitori verso i controlli e dopo aver fatto suonare ripetutamente la macchina per il centesimo che si era incastrato nella tasca posteriore dei jeans, grazie alla mia solita fortuna, mi siedo al mio posto in un bellissimo aereo. Il posto accanto al mio è libero e spero che non ci si sieda un bambino con i nervi saltati o una ragazza in preda a una crisi adolescenziale o, peggio, un ragazzo in preda ad una crisi ormonale, non avrei resistito a tirare una sberla ad ognuno dei tre. Dall'entrata dell'aereo vedo poi entrare un ragazzo, un ragazzo che non avrei mai voluto vedere. Ha i capelli ricci e noto che ha gli occhi verdi, la sua corporatura è come quella di Collin, è come lui, ma devo dimenticarlo. E' davvero un bel ragazzo e i vestiti che indossa gli stanno molto bene. Si avvicina sempre di più al sedile libero accanto al mio fino a quando non si accomoda, dopo aver ritirato la sua borsa sopra di noi. Adesso cosa faccio? Non so se voglio iniziare a fare conversazione con lui, forse mi avrebbe ricordato troppo Collin e sarei scoppiata a piangere all'interno dell'aereo così che mi avrebbero preso tutti per pazza.

«Ciao, sono Ashton» ok, ha iniziato a parlare prima lui, devo rispondere o penserebbe che sono una maleducata.

«Piacere, Jasmine» dico porgendogli la mano che viene stretta dalla sua, ha le mani più piccole di quelle di Collin, però sono morbide e calde, danno quasi sicurezza. Non che quelle di Collin non ne davano, quelle mani erano la mia ancora, il mio tutto. Una lacrima mi riga il viso, seguita da un'altra e un'altra ancora. Sto piangendo, non ci credo.

«Ehi, è tutto ok?» mi chiede Ashton

«No..» dico nascondendo la faccia tra le mani.

«Vuoi raccontarmi cosa è successo? Sai è più facile parlare della propria storia con degli sconosciuti» mi dice passandomi un fazzoletto.

«Grazie» dico afferrandolo per poi asciugarmi gli occhi e le guance. «Sai, il mio non è un semplice viaggio, è più una fuga, una fuga per fare essere felice il ragazzo che amo» dico iniziando a pensare su come raccontare la mia storia.

«In che senso?» mi chiede alzando un sopracciglio, che espressione buffa.

«Credo che ti racconterò la storia dall'inizio, se no è difficile capire. La scorsa estate, i miei partirono per un viaggio di lavoro, per me era normale visto che questi viaggi erano ormai un'abitudine, solo che quella volta c'era una differenza: invece di stare dai miei zii, sarei dovuta stare da un'amica di mamma. Sai all'inizio ero un po' contraria, insomma, passare tre mesi in una casa che non conosco con persone che non conosco, lo trovavo assurdo. Però, quella famiglia mi ha cambiato la vita. Il primo giorno in cui arrivai mi sono trovata davanti a Nadine e Kim, mamma e figlia, erano davvero delle persone adorabili, ma poi conobbi lui, era buio sulle scale e mi abbracciò pensando fossi sua sorella. Quella sera gli diedi ripetizioni di matematica e poi iniziò tutto. Prima migliori amici e poi fidanzati, mi ha aiutato davvero tantissimo a dimenticare il mio passato che non era uno dei migliori, la mia migliore amica era morta. Dopo quei tre mesi meravigliosi tornai a casa, da li iniziò la tortura. I miei mi impedirono di vedere Collin, ma noi lo facevamo lo stesso, ci incontravamo in biblioteca, dove facevo finta di studiare. Mi aveva promesso che un giorno mi avrebbe portata lontano, mi avrebbe salvata dalla mia vita opprimente, ma arrivò quel giorno, quel maledetto giorno, darei tutto l'oro del mondo per essere stata al suo posto. Il mio ex ragazzo lo investì, forse per gelosia, per rabbia o solo per caso. Entrò in coma e passai due mesi con lui, La famiglia venne però a scoprire il colpevole e non mi permisero di vederlo più, mi addossarono tutte le colpe dell'incidente, così decisi di andarmene, per lasciare che Lui potesse stare con la sua famiglia senza litigare con me. Afferrai al volo l'opportunità di mio padre, ci siamo trasferiti a Sidney per il suo lavoro. E ora sono qui, quasi pronta a ricominciare dall'inizio» dico asciugandomi le lacrime scese durante il racconto.

«Vieni qui» Ashton mi abbraccia, mi sento sicura, mi sento protetta, è tutto ciò di cui ho bisogno ora.

That guy with green hair//Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora