Chapter 17.

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Jimin era mancato per due mesi esatti alle sue sedute. Non se la sentiva di presentarsi davanti al suo psicologo. Non con quelle cicatrici addosso. Si sentiva come se lo avesse in qualche modo tradito. Come se avesse tradito la fiducia riposta su di lui.

Tempo fa, uno dei suoi precedenti psicologi gli disse una frase che gli rimase impressa a lungo in mente, senza mai abbandonarlo.
Forse, la vita non è per tutti.
Quante parole? Sette parole. Solo sette furono. Ma furono abbastanza per por in dubbio la sua esistenza.

Davvero meritava di vivere? Cosa aveva Park Jimin di così speciale per continuar a respirare? Cosa poteva donare al mondo?

Niente di niente.
Era questa la risposta.

Tirò leggermente sù la manica della felpa extralarge, con cui aveva sperato di nascondere i chili persi in quei mesi, dando un'occhiata a quelle cicatrici un'ultima volta prima di doverlo affrontare.

Erano ancora fresche.
Prove concrete di ciò che aveva passato quegli ultimi mesi.

Passò il dito su una più in rilievo, accarezzandola come se la stesse consolando per il dolore subito.

Si abbassò subito la manica, assicurandosi che la felpa coprisse tutto per poi alzarsi il cappuccio coprendo anche il capo. Sapeva che era infantile, ma sperava che quel pezzo di tessuto potesse seppellire i suoi errori o perlomeno nasconderli agli occhi di Yoongi.

Abbassò la maniglia ed entrò.
«Salve sono torn-» Non riuscì a completare il discorso sentendosi avvolgere all'improvviso dalle braccia di qualcuno.

«Ti avevo detto di non farlo. Di non sparire, cazzo.» Disse Yoongi stringendolo così forte a sè come se avesse paura che da un momento all'altro quel corpo potesse sparire per quanto debole fosse.

Jimin d'altra parte rimase in silenzio, incapace di ricambiare quell'abbraccio.

Era lì.
Immobile con le braccia stese lungo i fianchi. Era passato così tanto dall'ultima volta che aveva percepito quel calore familiare.
Non era disposto a lasciarlo andare, ma non riusciva nemmeno ad assicurarsi che non gli potesse sfuggire.

«Parla, cazzo.» Yoongi si staccò dall'abbraccio scuotendolo forte. «Dimmi qualcosa!» Gridò l'altro preso dalla preoccupazione verso il più piccolo.

«Ha sentito la mia mancanza?» Domandò il minore dopo quella che parve un'eternità per il suo psicologo.

«Stupido di un moccioso. No che non l'ho sentita. Finalmente, si respirava dell'aria pulita senza di te fra le scatole.» Mentí l'altro che in realtà non aveva fatto altro che disprezzare ogni secondo passato in assenza di quel pel di carota.

«Ma se fino a poco fa mi stava abbracciando!» Sbottò Jimin offeso mentre gesticolava. «Mi aveva stretto forte!» Gonfiò le guance goffamente.

Yoongi si trovò colto alla sprovvista, tanto da arretrar inconsapevolmente.

Come faceva Park Jimin a risultare seducente e carino allo stesso tempo?

Se lo era sempre chiesto.
L'avrebbe fatto impazzire.
Questo era sicuro.

Si morse il labbro inferiore tentando di pensare ad una scusa.
«Senti un po', moccioso. Stai solo tentando di sfuggire alla mia domanda. Dove eri finito?»

Jimin ghignò. Gli era mancato prendersi gioco di Min Yoongi.

«Diciamo che ero impegnato con uno psicologo più, oserei dire più interessante. Peccato che sia dovuto partire.» Sostenne fingendo con aria sognante di pensare a quella creatura immaginaria.

Yoongi arricciò il naso sbuffando.

«Potevi seguirlo, no?» Sbottò tornando alla sua scrivania.

Jimin scoppiò a ridere. Si era dimenticato di quella sensazione.

«Non crede anche lei che in questa stanza qualcosa stia andando a fumo?» Assunse un'aria pensierosa. «Tirando ad indovinare, direi lei.» Ghignò divertito dalla scenata di gelosia del maggiore.

ķ ŏ ʍ ȯ ŗ ė ɞ İ ☼ yoonmin.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora