10. Il nemico del mio nemico è mio amico

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Miami

In poche parole la risposta che avevo per Cassidy era un "sì". Sapevo benissimo come ci si sentiva appena trasformato in una creatura della notte.

«Io ho avuto qualcuno che mi ha aiutato ad abituarmi a questa nuova vita,come lo hai avuto tu, vero?!» continuò ad aggredirmi la neo-vampira avvicinandosi ancora a me con aria sfrontata e arrogante e usando un tono ironico e cinico allo stesso tempo.

«Sai bene cosa si prova la prima volta che ci si nutre di sangue umano!» concluse infine, ringhiando e puntandomi contro il suo indice smaltato di rosso.

Per dare una risposta alla vampira, dovevo nuovamente riportare i miei pensieri indietro di oltre un secolo.

Firenze, Italia

Dicembre1876- Marzo 1877

«Ho tanta sete», dissi a Federica mentre ci rivestivamo.

«Vieni, andiamo a bere», mi rispose lei maliziosamente, infilandosi la camicetta e successivamente gli altri indumenti mentre si passava la lingua sulle labbra.

Feci lo stesso anch'io, iniziando dall'intimo e dai pantaloni.

«Pensa te come sprecavo il mio tempo a fare queste dannate cose chiusa in casa», esclamò acida la giovane lanciandomi la camicia che anni prima aveva fatto per me.

Non replicai e mi limitai a vestirmi. Federica era cambiata e volevo capire quanto.

Uscimmo di casa e mi portò a passo svelto vicino a un vicolo che distava qualche isolato.

Nel breve tragitto la ragazza ridacchiò guardandomi con aria divertita e mi indicò la strada con un cenno del capo.

«Quanti ricordi eh...» mormorò mordendosi un labbro, mentre sapevamo entrambi cosa si facesse in quelle viuzze, lontane da occhi indiscreti.

Come mai voleva andare lì con me?

Per condividere memorie comuni forse?

Sentii dei gemiti in lontananza e guardai rallegrato Federica.

«Io urlo così?» mi chiese sogghignando e alzando un sopracciglio.

Continuammo a camminare in direzione di quei versi prolungati.

Era strano, sembravano fisicamente lontani, eppure io li sentivo chiaramente, a dirla tutta, udivo troppe cose e avevo un gran mal di testa. Lentamente mi appoggiai al muro barcollando.

«All'inizio è normale, tranquillo, ci farai l'abitudine», mi calmò Federica senza fermarsi e proseguendo.

In genere i vicoli di quella zona erano malfamati e, infatti, i guai non tardarono ad arrivare.

Qualche metro più in là un uomo con un coltello in mano fece capolino con aria intimidatoria. Era vestito in modo trasandato e aveva un'aria poco raccomandabile. Riuscii a scorgere sul suo viso una lunga barba nera e dei capelli unti e sporchi.

«Datemi tutto quello che avete o vi faccio fuori!» ci intimò il malfattore ridacchiando, mentre si passava l'arma da una mano all'altra.

Mi misi davanti a Federica combattendo con il mal di testa dovuto a tutti i suoni che la affollavano.

«Fuori dai piedi!» ordinai all'uomo tenendomi il capo che veniva attraversato da una forte fitta.

Per un attimo persi quasi conoscenza, ma mi ripresi subito e fronteggiai minaccioso il delinquente che come risposta mi trafisse col coltello senza pensarci due volte.

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