8. Conseguenze ( Parte II)

317 68 257
                                    

Qualche giorno dopo, Robe io avevamo tutto l'occorrente per il nostro piano. Ci saremmo mossi di giorno, quando i vampiri dei Bloodlines non sarebbero potuti uscire allo scoperto e avremmo bruciato il loro covo con le molotov forniteci da Paul.

Neanche noi saremmo potuti uscire al sole, in teoria, ma in pratica non era così.

Il mio anello con il marchio di famiglia, grazie a una potente magia, mi permetteva di farlo. Anche Rob ne aveva uno simile, un ricordo di Carolina, la ragazza con cui era fidanzato nel 1876 che morì la notte della rivolta in un tragico incidente. Federica non fu l'unica a perdere la vita, anche alla sua cara amica toccò lo stesso destino.

Il dossier di Simon diceva che i Bloodlines agivano da più di cinquant'anni e che operavano in una decina di quartieri, perché si erano espansi nel corso degli anni, guadagnando terreno sui Firewolf. A differenza dei rivali, però, i vampiri erano sempre gli stessi, mentre i lupi cambiavano dopo un po'.

All'inizio la banda era composta da una ventina di membri, ora erano più del doppio, ma nel quartier generale avremmo trovato solamente i più importanti e il loro capo, John, un vampiro che aveva su per giù la metà dei nostri anni.

Qualche ora prima di mettere in atto il piano, ci fermammo al bar di Doyle per carpire qualche altra informazione.

«Ultimamente i Bloodlines hanno limitato le loro attività e qui al locale non si vedono molti di loro in circolazione. Pare che non se la passino benissimo, credo che, se volete fare qualcosa, questo sia il momento giusto. Ah! E occhio ai lupi mannari in giro, non hanno apprezzato quello che avete fatto ai Firewolf», si raccomandò Doyle, appoggiato al bancone, mentre ci osservava con i suoi occhi scuri assumendo un atteggiamento alla 007.

Non sapevo quanti anni avesse, anche se quando aprì il bar ne aveva una ventina, non di più. Era alto, con un fisico possente e le spalle larghe. Era completamente rasato e questo metteva maggiormente in risalto la sua barbetta sempre incolta.

Gli piaceva sembrare un informatore del FBI che conosceva i segreti di Stato, e spesso ci era veramente tornato utile; sicuramente era un tipo in gamba e con il senso degli affari, visto che il locale era aperto dal 1995 ed era ancora vivo considerando il tipo di clienti con cui doveva a avere a che fare.

Lasciammo il bar di Doyle e decidemmo di passare a recuperare il materiale che ci sarebbe servito la mattina dopo.

Era ora di attaccare.

Fummo davanti al rifugio dei Bloodlines all'alba, scendemmo dall'auto e aprimmo il bagagliaio, dove erano contenute le molotov e le armi caricate con i proiettili di legno.

Ne lanciammo un paio e la casa iniziò a bruciare, alcuni vampiri uscirono, ma finirono in fiamme per via della luce del sole.

Caricammo i fucili e ci dirigemmo verso la parte dell'abitazione a cui non avevamo dato fuoco; facemmo irruzione e sparammo a due nostri simili che cercavano di scappare verso il piano interrato.

Nello stabile le fiamme continuavano a divampare, ma in quel sotterraneo, protetto anche dalla luce solare, non sarebbero arrivate. Cosi iniziammo a bussare ripetutamente alla porta, chiedendo fintamente aiuto.

Come previsto, qualcuno ci aprì: davanti a noi apparve un vampiro magro coi capelli lunghi e gli occhi chiari.

Prima che potesse dire qualcosa, feci scivolare il mio dispositivo sotto la manica, trafiggendolo col paletto di legno e scaraventando il suo corpo dentro la sala. Dopodiché entrammo senza ulteriori indugi.

Due vampiri si scagliarono contro di noi, ma lanciammo nella loro direzione le granate progettate da Alex e, in men che non si dica, furono ridotti in cenere.

Rob chiuse la porta alle sue spalle e nella stanza restammo noi due, John e alcune ragazze spaventate in un angolo.

«John, hai cercato di fotterci, e ora noi fregheremo te», intimai ringhiando al vampiro.

Avevo di fronte il classico biker, con il codino, la barba lunga e gli orecchini su entrambi i lobi degli orecchi; era tozzo e basso e vestiva tutto in nero, adornato con delle catene molto pacchiane.

«Asp-aspettate, io non c'entro nulla, era lei che vi voleva morti, non io!» farfugliò John spaventato, mettendo le mani in avanti, «mi ha pagato per farlo, ma non mi ha detto il perché», continuò terrorizzato.

«Lei chi?!»chiese Rob riducendo gli occhi a due fessure.

La porta alle sue spalle si spalancò, volando via e facendolo cadere diversi metri più in là.

«Io» disse una voce femminile dietro di me.

Mi voltai e rimasi stupito.

Non ci potevo credere!

Era...era...Cassidy!

Dopo più di centocinquanta anni di vita, erano davvero poche le cose che potevano sorprendermi, ma questa volta ero davvero allibito da ciò che avevo di fronte.

«Quando uccido qualcuno, gradirei che restasse morto, dolcezza», dichiarai ironico, rivolgendole un sorriso falso.

«Hai fatto un errore di calcolo. Ho accidentalmente ingerito un po' del tuo sangue mordendoti il labbro, il resto di ciò che hai fatto lo sai benissimo...»rispose a tono la ragazza o, meglio dire, la vampira.

Aveva ragione, non mi ero accorto che per sbaglio lei avesse bevuto un po'del mio liquido ematico a quella festa parecchie settimane prima.

Per diventare vampiri, infatti, bisognava morire con in circolo il sangue di uno di noi; entro un paio d'ore ci si risvegliava e il gioco era fatto, a patto che non si abbia a che fare con un mannaro o una strega, in quel caso non avrebbe funzionato.

«Beh, potevi farti viva prima, ci saremmo potuti divertire un altro po'», la provocai sempre con un sorriso beffardo stampato in faccia.

John cercò di approfittare del momento di stupore per tentare la fuga, ma Rob gli sparò due colpi nella schiena, facendolo cadere agonizzante al suolo.

Non lo aveva ucciso, ma almeno lo aveva immobilizzato. Quel fottuto traditore aveva delle risposte da darci.

«Hai ammazzato questa ragazza? Diamine, credevo ti fossi solo nutrito di lei! Dannazione!» imprecò Rob decisamente irritato.

Non risposi, rimasi impassibile alle sue parole e mi limitai a osservare John rantolante sul pavimento.

Togliere la vita era una droga, sapevo che era sbagliato farlo, ma a volte ne sentivo il bisogno impellente scorrermi sotto la pelle fino quasi a bruciarmi da dentro. A volte, il demone prendeva il sopravvento su quello che era stato l'uomo e le conseguenze erano inevitabili.

«E così lui è Rob, carino... Magari quando ti avrò consegnato a chi di dovere potrò divertirmi con lui», esordì Cassidy maliziosamente, facendo un occhiolino al mio amico.

«Spiacente, Psyco Barbie, le bionde non mi attirano, tuttavia mi dispiace molto per quello che ti è successo perché non te lo meritavi», replicò secco Rob. Lei lo ignorò e si avvicinò al centro della stanza, ancheggiando.

Indossava una giacca di pelle nera con sotto una maglia viola aderente, il cui scollo a "v" faceva risaltare le sue forme. Portava un paio di jeans stretti e degli stivali del medesimo colore.

Era sempre la stessa ragazza che avevo ucciso, ma era più sicura di sé, più determinata e anche più cattiva.

«Sai, mi sono risvegliata a riva, tutta inzuppata d'acqua, il sole che era appena sorto mi stava bruciando, così mi sono rifugiata nella casetta usata dai bagnini. Alle sette, uno di loro è entrato e mi ha chiesto se stessi bene. Di risposta gli ho spezzato il collo e ho bevuto fino all'ultima goccia il suo sangue, proprio come tu hai fatto a me.

Sentivo tutto amplificato, avevo una forza che non riuscivo a controllare ed ero spaventata da me stessa, da questa fame inspiegabile che mi terrorizzava. Tutto questo è stato colpa tua! Ma tu sai bene come ci si sente, vero?!»mi aggredì incazzata Cassidy.

Aveva ragione, io lo sapevo perfettamente, ma era un ricordo vecchio di oltre un secolo e mezzo.

Ricordi ImmortaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora