8. Conseguenze ( Parte I )

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Miami

Stavo rincasando dopo la preparazione del nostro piano per vendicarci dei Bloodlines, quando uno strillo acuto mi scosse in modo profondo facendomi fare un tuffo in un passato poco piacevole.

Le urla erano simili a quelle che avevo sentito quella fatidica notte del 1876.

Cercai di percepire in maniera più dettagliata da dove provenisse quella richiesta di aiuto. Iniziai a muovermi velocemente e raggiunsi una stradina secondaria da cui si diramavano più vicoli.

Mi precipitai in quello dove udivo strani rumori. Una ragazza era addossata a una parete di mattoni mentre davanti a lei un cane bello grosso le ringhiava contro. Notai solo allora che la creatura era un lupo, anzi era persino più grosso e aggressivo di un normale esemplare. Istintivamente, alzai lo sguardo verso la luna e notai che era piena.

Ne dedussi fosse un lupo mannaro e che sicuramente l'avrebbe uccisa. Non avrebbe potuto tramutarla perché, a differenza di ciò che dicevano le leggende, i mannari si generavano tramite ereditarietà del gene e avevano la prima trasformazione verso i vent'anni.

L'essere partì all'attacco, ma, mentre era in volo verso la ragazza urlante, mi avventai a gran velocità contro di lui, colpendolo sul muso con un pugno.

Questi cadde mugolando a pochi metri della giovane, che per lo shock svenne all'istante, accasciandosi a terra.

Il lupo mi guardò ringhiando mentre cercava di riprendersi. Lanciai uno sguardo fugace alla donna e la presi rapidamente in braccio, per poi fuggire.

Il mannaro non riuscì a inseguirmi o magari non voleva, forse spaventato dal forte colpo ricevuto. La donna sembrava stare bene, anche se era priva di sensi. Non persi altro tempo e la portai nel mio appartamento.

Una volta a casa la adagiai sul divano, e mi presi qualche attimo per osservarla meglio: non era tanto alta, ma, considerando il suo fisico atletico e slanciato, era probabile che frequentasse qualche palestra e si tenesse in forma.

Lunghi capelli nero pece le coprivano le spalle e rimasi subito incantato dai suoi lineamenti molto fini, delicati e femminili. Il suo viso era adornato da degli zigomi gonfi e un naso piccolo e perfetto.

Indossava un giubbino nero, con sotto una camicetta bianca che scompariva all'interno dei pantaloni aderenti grigi. Ai piedi calzava un paio di stivali marroni.

Si svegliò solo qualche ora dopo.

«Oddio, dove sono? Dov'è quel cane? Chi sei tu?!»mi chiese la donzella, terrorizzata e confusa,appena riprese conoscenza.

«Tranquilla, sono Henry. Ho scacciato quella bestia che t'inseguiva, ti sei sentita male per lo spavento, così ti ho soccorsa. Tu come ti chiami?» la rasserenai con voce calma e pacata, sorridendole cordialmente.

Venni immediatamente catturato dalle sue labbra leggermente carnose che mordeva con fare nervoso, mentre due occhi verdi, chiarissimi e penetranti mi fissavano in silenzio, studiandomi attentamente. Sembrava indecisa sul da farsi, ma alla fine parlò.

«Mi chiamo Sharon. Ricordo solo che stavo rientrando da una festa e poi quel cane randagio è apparso all'improvviso, così ho iniziato a scappare», mi disse molto titubante e spaesata.

Si guardava intorno con circospezione, esaminando l'arredamento così come aveva fatto con me poco prima.

«Fortuna che io fossi di passaggio allora. Quanti anni hai?», le domandai cortesemente.

«Ho ventiquattro anni ,frequento la Miami University, facoltà di storia», rispose lei alzandosi in piedi e scrutando la mia libreria piuttosto interessata.

Quella ragazza era davvero bellissima, era da tanto tempo che una donna non mi affascinava in quel modo.

«Posso offrirti qualcosa da bere?» proposi in tono garbato ed educato.

Quell'eleganza ottocentesca me l'ero quasi dimenticata.

«Sei gentile, ma è meglio che vada. Grazie davvero per aver scacciato quel cane rognoso. Ora posso farcela da sola», rifiutò con un sorriso e si avviò verso l'uscita, mentre io la seguivo a ruota.

Le aprii la porta e la guardai negli occhi: erano come due fari accesi e io mi persi per qualche istante a fissarla.

Mi chinai leggermente verso il suo collo con la scusa di prendere la sua borsa dal mobile dietro di lei. Sharon si scostò lentamente e mi squadrò accigliata, pensando chissà che cosa. Poi sembrò rilassarsi quando le porsi la sua borsetta marrone.

Era parecchio schiva e diffidente, evidentemente non succedeva come nei film, dove basta essere tenebroso ed eroico per ottenere l'attenzione di una bella fanciulla.

Non mi capitava spesso di fare l'eroe, ma se non si veniva neanche ricompensati in maniera adeguata forse era meglio così.

«Questa è tua... Se vuoi controlla, c'è tutto», le dissi sorridendo.

«Sei troppo cortese per essere un ladro», ribatté lei, mostrando i suoi denti bianchissimi e perfetti.

Attesi che varcasse la soglia e restai a guardarla mentre usciva.

«Grazie ancora di tutto, ehm... Erick?! Giusto?» mi salutò infine, cercando di ricordare il mio nome, ma fallendo.

«Henry», replicai un po' infastidito, ma senza darlo troppo a vedere.

Era ormai l'alba e sarebbe stata al sicuro. Tuttavia non capivo perché m'importasse della sua incolumità o perché non l'avessi morsa.

Cercai di non pensarci più e così andai a dormire.

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