Capitolo 12

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Il grande bosco ci accolse così d'alberi dalle folte chiome e tappeti di foglie autunnali. Proprio come mi aveva descritto il bambino, mi accorsi ben presto di come non ci fosse alcuna distinzione in quel luogo. Per quanto sembrasse assurdo, ogni albero era uguale all'altro, così come ogni foglia, nuvola o ramo erano identici gli uni agli altri. Su ognuna di queste piante, gufi pittori dal medesimo aspetto dipingevano i loro quadri a ritmi sostenuti. Ad ogni tela completata, svolazzavano in fretta e furia in una stessa direzione per poi tornare sconsolati, gettare a terra la propria opera, e ridipingerne un'altra.

Il sottobosco era dunque cosparso di questi quadri bistrattati, e guardandone meglio il contenuto notammo che i disegni raffiguravano proprio il bosco circostante. Di conseguenza anche i disegni erano tutti uguali! Mi sentivo confuso, come se mi trovassi in un labirinto. In fondo, quando non ci sono differenze, com'è possibile orientarsi?

Fu il bambino a prendere iniziativa, decidendo di parlare con uno di questi pittori tanto indaffarati.

«Signor gufo, come mai dipingete tutti lo stesso quadro?»

«Figliolo, ti sei guardato attorno? Cos'altro potremmo dipingere se non ciò che ci circonda?»

«Beh, potreste dipingere un bel ritratto per esempio!»

«Ritratto? Di che cosa stai parlando ragazzino? Qui abbiamo solo noccioli, foglie di noccioli, rami di noccioli, tronchi di noccioli, radici di noccioli e...»

Il bambino pensò bene di interrompere quel gufo tanto scorbutico: «E dimmi, Signore, dove vi recate ogni qual volta che terminate un quadro?»

«Dal grande critico d'arte, mi sembra ovvio! E da chi se no?»

«Dunque, sa dirci gentilmente dove dimora?» interloquii.

Il gufo puntò il suo pennello verso il cielo con fare sbrigativo: «Vi basti seguire i miei fratelli in attesa del suo giudizio, e troverete la strada che conduce al Grande Albero Maestro.»

Guardando nella direzione indicata, lo stupore prese il sopravvento. Stormi di gufi si libravano in cielo riversandosi come fiumi scuri in un unico affluente. Tra gli artigli ghermivano i propri dipinti, stando molto attenti a non danneggiarli. Seguendo quindi quel flusso di volatili, c'incamminammo di gran passo. Ad ogni metro percorso grandinavano quadri dal cielo, che andavano poi a frantumarsi per terra con gran frastuono. Riuscimmo tuttavia ad uscirne indenni, raggiungendo l'unico albero in tutto il bosco che pareva differenziarsi dagli altri: Il Grande Albero Maestro.

Un'enorme quercia adornata d'oro torreggiava imponente perforando le nuvole e lambendo le stelle. Gufo Malconcio se ne stava proprio lassù. Tormentato dalla tosse e dalla pigrizia, giudicava i quadri dei pittori come un giudice giudica uomini già condannati. Il cinismo era il suo unico metro di misura.

«Bocciato! Colori spenti, bocciato! Privo di alcun significato, bocciato! Tratti orrendi, bocciato!» borbottava, dall'alto del suo albero.

Io ed il bambino c'inerpicammo con fatica sul grande tronco, prima di raggiungerlo e affrontarlo faccia a faccia, ma egli fu lesto e preventivo nel disdegnarci: «Dipingete un quadro che sia degno della mia attenzione, e che sia unico nel suo genere, ed io vi consegnerò ciò per cui siete venuti a farmi visita.»

Persi le staffe: «Sei solo un ladro malfattore!»

«E tu sei forse un artista?»

Quella domanda mi colse tanto impreparato da ammutolirmi all'istante.

Gufo Malconcio ne approfittò per mettermi alle strette: «Perché sul Grande Albero Maestro solo gli artisti hanno diritto a sostare. Così, se non siete pittori, se la vostra unica facoltà è quella di non aver alcuna facoltà, siete pregati di unirvi alle fila dei poveri illusi che vivono nel sottobosco.»

Il bambino mi pizzicò la mano, chiedendomi attenzione, così mi chinai su di lui. La sua voce sottile e delicata mi bisbigliò qualcosa all'orecchio: «Ci serve un quadro per vincere.»

L'udito sopraffino di Gufo Malconcio parve aver captato quel messaggio. Si limitò a fornirci, in malo modo, una tela usurata e dei vecchi pennelli: «Provateci pure, sarà mio compito mostrarvi come la vostra arte non sia differente da quella delle migliaia di pittori che popolano questo bosco!»

Proprio come sull'isola, il bambino sistemò di buon grado la tela su di un piedistallo e preparò i colori. Nonostante la sua immancabile determinazione, questa volta intuii che non sarebbe riuscito a farcela da solo, in quell'impresa. Poco dopo, il suo pensiero accarezzò la mia mente.

"Se tu scrivi, io dipingo. È l'unica strada che può portarci a qualcosa di diverso, lo sai."

Mentirei se vi dicessi che fu semplice per me costruire quel percorso, tuttavia mi misi d'impegno. Con la fronte imperlata di sudore iniziai a battere i tasti della macchina da scrivere con vigore. Ad ogni parola d'inchiostro stampata sul foglio ne seguiva una pennellata di giallo, marrone e verde sulla tela. Capii in quell'istante che non ci sarebbe stata un'altra possibilità di successo. Tutto dipendeva da quell'attento assemblaggio di parole e disegni.

"Che l'intensità dei colori si fonda con la forza dell'inchiostro. Che siano, uniti, il fiore in un prato d'ortiche, la perla in un deserto di sabbia. Che siano un cerchio in un mondo di angoli, che siano il fulmine che rompe un cielo di quotidianità!"

Gufo Malconcio indietreggiò con sgomento. Gli occhi scettici lasciarono spazio a profonda ammirazione. Sulla tela, dipinto di colori ad olio e inchiostro nero, un bosco rigoglioso si mostrava di fiori e arbusti, meli e castagni, fiumi e ruscelli, gufi e civette, insetti e pietre, foglie ed erba, muschi e fango, resina e funghi.

«Non ho mai visto niente di simile in vita mia» biascicò, stropicciandosi gli occhi.

«Questo quadro è superlativo!»

Fu un colpo di tosse, tuttavia, a farlo tornare in sé: «Ovviamente però, non può essere vero. È finzione! E voi siete di certo dei malfattori, degli astuti quanto infausti falsari.»

Indietreggiò spaventato al cospetto di quella realtà alternativa che lo prostrava senza indugio, mordendolo con ogni tratto e colore.

«Statemi lontano! Voi non siete degni, non siete artisti, questo è indubbio.»

Di risposta, tolsi il quadro dal piedistallo e lo appesi sul tronco del Grande Albero Maestro. Per Gufo Malconcio fu da considerarsi più che un sacrilegio. Arretrò ancora di qualche passo, come se quel dipinto scottasse a tal punto da non potergli più star vicino: «Osate deturpare questo posto! Scellerati che non siete altro, pretenziosi pittori di dubbie moralità, brucerete nell'inferno degli incapaci e stolti malandrini!»

La tosse lo soffocò ancora una volta prima che potesse riaprir becco: «La comunità di gufi pittori che popola queste terre sarà d'accordo con me, e voi due sarete esiliati per sempre da questo bosco!»

Il bambino indicò un punto alle sue spalle, catturandone l'attenzione. L'intera popolazione di gufi pittori del bosco posava sui rami del Grande Albero Maestro, assistendo alla scena come un pubblico occasionale accomodato su grandi spalti. Ammaliati dal quadro appeso al tronco, lo osservarono a lungo colmi di speranza. «Guarda» mi disse il bambino raggiante «la mia perla risiede in loro...»

"Occhi arancio sfolgorarono a lungo come soli nella quiete della selva, fin quando il quadro divenne il bosco e il vecchio bosco tanto noioso fu imprigionato nel quadro. E di quegli sguardi abbaglianti di nuove forme e creatività, Gufo Malconcio ne fu accecato in eterno."

Mr UnderwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora