Capitolo 7

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«Se non ti sbrighi a insegnargli a camminar dritto, sarà spacciato!»

"Ancora quella voce" pensai infastidito. Per quanto tempo mi avrebbe tormentato?

«Oh, piccolo granchio, vedrai che lui sarà un ottimo maestro...»

Sconfitto dalla mia presunta, quanto crescente pazzia, aprii gli occhi avvilito e fui preso alla sprovvista da un'inattesa incredulità. C'era qualcuno, chino sulla sabbia, a pochi metri da me!

«Oh sì, piccolo granchio, lui ti renderà imprevedibile...» diceva, rivolto al crostaceo.

Guardai attentamente: era un bambino!

Accorciai così le distanze per capire chi fosse. Lieto di non essere solo su quell'isola maledetta gli poggiai delicatamente una mano sulla spalla e gli chiesi: «Chi sei tu?»

Ma quando egli si voltò, ogni mia ipotesi cadde all'istante. Quel bambino aveva capelli color cremisi ed occhi turchesi! La pelle vellutata e rosea cambiava tonalità solo sulle gote, più rosse. Sfoggiava con orgoglio e di sghimbescio un cappello da capitano di marina di almeno due o tre taglie superiori alla sua. Annodato al collo portava un foulard di seta pregiata con ricamati sopra dei disegni nautici. Una camicetta azzurra e pantaloni beige profilavano a tratti quel suo corpicino minuto, mentre ai piedi calzava dei sandali in cuoio lustrati a dovere. Non aveva di certo l'aspetto di un reduce da naufragio! Sembrava piuttosto un cadetto che aveva smarrito bussola e sestante!

«Chi sei?» gli domandai ancora.

«Guarda» mi disse, puntando la mano verso l'alto ed ignorando la mia domanda.

Seguendo così la direzione indicata, notai che lo stormo di gabbiani malconci svolazzava ancora in circolo, adocchiando il piccolo granchio che adesso se ne stava al sicuro tra le delicate mani del bambino.

«Devi insegnargli a camminar dritto» ripeté, porgendomi il crostaceo con riguardo, quasi come se fosse un tesoro d'inestimabile valore.

«È l'ultimo granchio rimasto su quest'isola, devi prendertene cura e insegnarli a camminar dritto!»

«Camminar dritto?! Ma i granchi non camminano dritto!»

Il bambino sorrise: «Per questo, su quest'isola, è rimasto solo lui! Perché i gabbiani prevedono i suoi movimenti. Insegnali ad essere imprevedibile e saprà ingannarli! Le cose imprevedibili, spesso, sono quelle che ti salvano.»

«Sei qui da molto?»

Il bambino sorrise nuovamente alla mia domanda: «Oh, no, più o meno da quando sei arrivato tu.»

Lieto di aver ricevuto risposta per la prima volta, ne approfittai per porre una seconda domanda: «E come ci sei finito su quest'isola?»

Poggiò delicatamente il granchio a terra, ed estrasse dalla tasca dei pantaloni un rametto d'ulivo: «Usa questo» mi disse convinto, porgendomelo.

In fondo era un bambino, pensai, ed i bambini non amano le domande! Decisi così di stare al suo gioco: «Cosa me ne dovrei fare di questo bastoncino?»

«Ti sarà utile per insegnare al granchio a camminar dritto!» rispose cocciuto.

Lo guardai attentamente, egli mi sorrise e con garbo si voltò incamminandosi.

«E adesso dove pensi di andare?»

«Oh, i miei uliveti hanno bisogno di acqua ogni tanto, o moriranno!»

La sua asserzione fu come un fulmine a ciel sereno: «Acqua? Uliveti? Santi numi, ma di che cosa stai parlando?»

Era ormai troppo lontano affinché potesse rispondermi, decisi così di seguirlo. Camminai aumentando il passo di volta in volta, eppure la distanza tra me e quell'arcana figura pareva non volersi accorciare. Vinto dalla paranoia che m'induceva a credere d'esser schernito da un ingiurioso miraggio iniziai a correre con foga, ma alla mia vista il bambino si faceva sempre più piccolo e sfocato. Procedeva camminando dolcemente, quasi non avesse peso. I sandali che portava ai piedi carezzavano la sabbia al suo passaggio, senza premerla. Che razza di scherzo era mai quello? Arrancai ancora per qualche metro ma la stanchezza mi costrinse a fermarmi per riprendere fiato. Nel momento in cui mi apprestai a recuperare il tallonamento del mio obiettivo fu per me fonte di terribile imbarazzo scoprire che era riuscito a farmela sotto il naso! Svanito nel nulla! Mi guardai attorno con accortezza senza trovare alcuna traccia che potesse ricondurmi a lui. Nonostante fossi consapevole che l'isola fosse circoscritta in una macchia angusta di terra incolta barricata dall'oceano, e che pertanto fosse impossibile trovare un sito ragionevole ove potersi nascondere, egli pareva essersi volatilizzato. Dovetti sforzarmi d'ignorare quel fenomeno a dir poco bizzarro non tanto per mia decisione, quanto per mancanza d'alternative! Le mie precarie condizioni fisiche erano il primo dei problemi cui dover far fronte, era necessario reagire. Mi recai sulla riva e mi sciacquai il volto con l'acqua del mare: quanto tempo mi restava da vivere?

Cercai invano di allontanare lo sconforto, ma era come una calamita che ad ogni mio pensiero acquisiva attrazione. Non avevo nemmeno la possibilità di costruire una zattera e tentare il tutto per tutto, in quanto su quell'isola non c'era l'ombra d'una qualsivoglia tipologia di vegetazione. Nemmeno uno sputo d'arbusti, niente di niente! Sola sabbia... e senza legno, singola risorsa su cui si può fare affidamento in situazioni simili, ero decisamente spacciato. Fin da quando ero rinvenuto sulla spiaggia, a seguito del grave incidente, sapevo di aver perso la cognizione del tempo, potevo solo approssimare che giorno fosse.

Il sole stava calando all'orizzonte, placido e indisturbato nella costante quiete che, in quel posto, regnava sovrana. Il colore della sabbia aveva assunto sfumature arancioni, simili a quelle di un deserto africano. Il cielo sgombro e silente, che a tratti rivelava il suo cuor di stelle, pareva essersi inghiottito il famigerato stormo di gabbiani famelici. Inutile chiedermi dove si fossero annidati; le domande, in quel luogo, capii ben presto che non erano opportune. Il piccolo granchio se ne stava lì, accucciato docilmente a pochi passi da me, con le chele reclinate in una posa singolare.

"Che bizzarra creatura!" pensai.

«Hai paura di quei gabbiani, eh?» lo provocai, accarezzandogli il dorso della corazza.

Gli sarebbe bastato procedere per una decina di metri, non di più, e si sarebbe potuto portare in salvo, protetto da un mondo marino sconfinato e inaccessibile a qualsiasi volatile. Non me ne intendevo di fauna acquatica, non sapevo che tipo di granchio fosse. Forse non era un granchio di quelli che se ne stanno tutta la vita sul fondale dell'oceano. Magari si trattava di un granchio da spiaggia! Risi ripetutamente di quel pensiero: «Un granchio da spiaggia... sì, come no!»

«E va bene» dissi in un secondo momento «in fondo non ho da che annoiarmi, che vuoi che mi costi insegnarti a camminar dritto?»

Il piccolo crostaceo diede l'impressione di aver sentito, destandosi dalla sua apparente inerzia. Mosse le chele, come se le stesse sgranchendo, dopodiché rimase in attesa di un mio segnale, quasi volesse farmi capire che lui era pronto. Afferrai così il ramo d'ulivo che mi aveva donato il bambino, e mi avvicinai ulteriormente alla riva del mare, dove la sabbia era più umida e malleabile. Il granchio mi seguì sollecito, muovendosi lateralmente sulle sue zampette robuste e sgargianti. Senza perderlo d'occhio, tracciai un solco nella sabbia che andava a formare una linea retta, assicurandomi che la larghezza del passaggio fosse di dimensioni sufficienti affinché il crostaceo potesse muoversi senza impacci, dopodiché gli dissi: «Questo sarà il tuo campo d'addestramento!»

Timidamente il granchio si approssimò al tracciato, scrutandolo con altrettanta insicurezza.

Con pazienza, lo afferrai dalla corazza e lo posai nel solco: «Adesso non ti rimane che camminar dritto.»

Ma la piccola creatura non si mosse di un millimetro; pizzicò con la chela una manciata di granelli di sabbia, come in cenno di stizza, quasi volesse dirmi: "Più facile a dirsi che a farsi!"

Non potei dargli torto! Così escogitai un metodo per ovviare il problema: con la punta del ramo premevo leggermente sulla parte posteriore della corazza, esortandolo a procedere. Stando attento a dosare la forza, a poco a poco spinsi il granchio fino al termine del tracciato. Ripetei la procedura svariate volte, e la piccola creatura pareva volerci mettere del suo, cercando di cavarsela da sé.

Mi chiedevo come avrei mai potuto giustificare una situazione simile se qualcuno, in quel momento, mi avesse visto fare quel che stavo facendo, ma sapendo che non c'era il rischio di correre quel pericolo, continuai di buon grado. E fu così che, al calar delle ultime luci del sole, il piccolo granchio imparò finalmente a camminar dritto. Lo scrutai a lungo mentre si accingeva a incedere verso il mare, quando si soffermò un momento: non mi aspettavo di certo una stretta di mano, ma quella sua breve sosta fu per me segno di riconoscenza. Sparì tra le onde sicuro di sé: nessun timore, forte di una dote che lo avrebbe reso di certo imprevedibile al cospetto dei suoi predatori, un dono che, adesso capivo, lo avrebbe salvato.

Mr UnderwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora