Capitolo 24

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Ci posarono con estremo riguardo su cuscini di sabbia rovente, in parte dispiaciuti di doverci lasciare in quel luogo tanto spoglio e arido, ma ben consci del destino da compiersi, dopodiché migrarono in stormi sulla lunga traversata che li avrebbe ricondotti a casa per sempre. In effetti, quella fu l'ultima volta che ebbi modo di porre omaggio alla comunità di Gufi Pittori.

Il Grande Deserto ci accolse così d'interminabili letti di dune color arancio, avvolgendoci in spire di calura asfissianti che risalivano a tratti in vortici d'aria torrida distorcendo le immagini visive in veli di carta crespa. Benché sia io che il bambino fossimo visibilmente affranti dalle fatiche e dagli stenti, il nostro pensiero volgeva ancora una volta a Grande Savia. Che ne era stato di lei? Le probabilità che fosse sopravvissuta a quel disastro di proporzioni apocalittiche erano esigue. Che il suo spirito indomito si fosse piegato per sempre sotto l'incudine truculenta di Serpe Nera? I sensi di colpa mi attanagliavano in una morsa stretta: se solo fossi stato più scaltro nel trovare le giuste parole, se solo le mie dita avessero battuto i tasti con più tempismo sarei di certo riuscito a salvare anche lei, ne ero convinto. Spesso dubitare delle proprie capacità può rivelarsi deleterio, se non mortale. E ancora una volta mi sentii alla stregua di quel piccolo chicco di riso che agognava tanto essere una spiga: "Si pensa sempre a ciò che si vorrebbe essere, mai a ciò che si è."

Sospirai avvilito.

«Sarà il nostro motivo in più per lottare» mi esortò il bambino. «Tutto questo deve avere fine, in un modo o nell'altro.»

Si tolse poi il berretto da ammiraglio portandoselo sottobraccio e si accovacciò sulla sabbia tracciando con la punta dell'indice un piccolo cerchio attorno a qualcosa: «Guarda un po' qui!»

Scorsi i tratti di una piccola orma del diametro d'alcuni centimetri: «A chi appartiene?»

Il bambino si erse in piedi entusiasta: «Al Cercatore! E a chi se no?»

Sovrastato dal suo improvviso e rinnovato buonumore fui felice di notare come, il corso degli eventi, non avesse ancora intaccato del tutto la sua indole intuitiva e sagace con cui era avvezzo sciogliere i nodi composti delle reti artefatte del mondo. Più tempo trascorrevo in sua compagnia più mi rendevo conto che per certe cose non c'era bisogno di spiegazioni, bastava abbandonarsi alla semplicità dei gesti e al saper vedere la realtà senza il filtro del dubbio dettato dagli interrogativi. Era necessario saper dosare le parole per dar spazio ai silenzi dell'anima e saperli ascoltare isolandoli dal tramestio del male. Malgrado ciò, non era poi così semplice per me connaturarmi a una tale inclinazione di spirito e ben presto la mia ottusità emerse ancora in una serie di quesiti e perplessità.

«Il cercatore?» domandai in seguito.

«Proprio così» ribadì il bambino che, a passo spedito, iniziò così a seguire quelle orme come un segugio.

Mi affrettai a stargli alle calcagna: non potevo perderlo di vista! Rammentavo ancora con che facilità era in grado di smarrirsi nei Regni Oscuri e rendersi invisibile agli occhi.

Provai quindi a capirne qualcosa in più: «E dimmi, chi sarebbe questo Cercatore?»

Il bambino prese a contare ad alta voce ogni orma che si susseguiva al nostro passaggio: «Uno, due, tre... È il capostipite di una colonia di roditori che dimora in questo deserto da secoli, quand'ancora il sole era nascente. Quattro, cinque...»

Aggrottai le sopracciglia: «Mi stai forse dicendo che stiamo dando la caccia a un miserabile ratto?»

«Dieci, undici... Nah, non è un semplice ratto!» mi rimbrottò.

«Si tratta di un Gerboa del Deserto, ne hai mai visto uno?»

«Intendi un topo delle piramidi?»

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