La sete di sangue

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Dopo essermi risvegliato mi sentii benissimo come se nulla fosse successo andai in bagno per risciacquarmi il viso e lavarmi i denti, ruppi lo spazzoliamo con i miei denti pungenti, poi, mi accorsi che lo specchio non mi rifletteva affatto quindi mi feci una domanda, ero morto?

Chiamai mia mamma lei rispose quindi ero ancora nel regno dei vivi, le chiesi il perché non mi riflettessi nello specchio e lei con un'aria triste e sconsolata disse <tesoro tu dentro sei morto non c'è più un Jack nel mondo c'è solo un corpo, di nome Jack, ormai sei entrato nella oscurità più tenebrosa, e per sopravvivere dovrai uccidere tante persone> e poi andandosene aggiunse, sotto voce <anche a lui, mio figlio>, e pensando che io non avevo sentito se ne andò piangendo.

Quel giorno, dopo aver scoperto che le mie speranze per diventare una brava persona erano state bruciate, diventò il giorno più brutto di tutta la mia vita. Poi con la mano toccai i miei denti affilati, lì mi resi conto di non essere più una persona ma un mostro.

Purtroppo la sete di sangue arrivò anche nella mia bocca cercai un modo per soffocarla ma era tutto inutile.

C'era brutto tempo quindi presi l'ombrello nero con il manico d'oro di mia madre e andai per le strade del mio quartiere in c'era di una vittima, vidi una ragazza magra, molto carina con i capelli ricci color rame, gli occhi verde smeraldo la carnagione molto chiara le lentiggini arancioni che le ricoprivano il naso aquilino, non veleno farle del male, però la mia fame era implacabile.

Dopo averla morsa e succhiato tutto il sangue che c'era, era morta, vidi un piccolo cristallo luminoso sopra il freddo cadavere lo presi in mano e lo misi nella mia buia tasca.

Per liberarmi della ragazza legai i suoi piedi a un mattone con una corda resistente, poi con la barca in legno comprata al mare da mio padre la portai a largo nelle acque più profonde del lago dove buttai il corpo senza vita della ragazza.

Dopo aver messo a posta la barca di mio papà, tornai a casa, andai nella falegnameria estrassi dalla mia tasca quel piccolo cristallo luminoso e lo feci vedere a mio padre, disse che non sapeva di che cosa si trattasse e di farlo vedere a William, il bastardo che mi aveva morso, non ci parlavaamo dal giorno dell'accaduto.

Il giorno dopo andai di nuovo nella sua stanza per il cristallo, però questa volta con un cucchiaio di legno, che sostituiva il paletto, da infilzare nel suo cuore, per sicurezza.

Gli chiesi che cosa fosse quell'oggetto luminoso e lui rispose che erano le anime delle vittime uccise da vampiri per ricordare la loro vita terrena.

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