• Cap 12 - MEETINGS IN THE RAIN •

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Athena's Pov

È notte fonda. Il silenzio invade ogni centimetro del paese, portando via con sé anche i fastidiosi rumori sovrapposti dei clacson, desiderosi di uscire dall'ingorgo stradale, e delle strombazzate di motociclisti ebbri a causa dell'alcool.

Non di rado mi capita di non riuscire a prendere sonno o, meglio ancora, di voler mettere piede fuori casa anche solo un attimo per respirare un'aria differente da quella delle solite quattro mura casalinghe.

Sgranchire le gambe mi aiuta a estraniarmi per un po' dalla realtà. E non posso non pensare, in queste occasioni, a cosa sarebbe potuto accadere se non fossi mai venuta qui a Londra. Probabilmente sarei ancora nella mia amata Italia, a passeggiare per le strade illuminate dalle lanterne dei bar, dei caffè, dei panifici e dai lampioni della vicina piazza. Con un cielo così tenebroso come quello che mi sovrasta in una simile realtà alternativa magari starei seduta sul letto di casa mia, a cenare con una pizza e una lattina di coca cola, mentre di sottofondo metterei della musica o una serie tv su netflix. O forse starei portando a passeggio Laila, una splendida cagnolina dal pelo bianco e soffice.

Vorrei tanto poter staccare l'interruttore che regola l'attività cerebrale. Vorrei non pensare. Vorrei non pensare a lui.
Pensavo di aver fatto pace con le mie emozioni più recondite, ma non posso negare a me stessa che di frequente tra i fotogrammi dei miei pensieri si insinua il volto di Jason. Quei capelli ricci... Quei lineamenti marcati... Quegli addominali scolpiti...

"Atena! Sei impazzita? Ma cosa vai a pensare?" emerge, dirompente, una voce dentro la mia testa.

"Lo so, lo so, e lo sai anche tu Athena. Non dovresti fare simili pensieri..." tiene le mani nelle tasche della felpa, stringendo all'interno forte i pugni, quasi fino a far sbiancare le nocche.

"Ok, cercherò di non pensarci più" e queste furono le ultime parole famose.

Arrivata a Trafalgar Square, mi siedo sul bordo della fontana costruita in memoria dell'ammiraglio Beatty. Chiudo gli occhi, tenendo le mani intrecciate tra loro tra le cosce.

"Che sensazione meravigliosa sentire l'acqua della fontana che scorre impetuosa..." commento a voce bassa, cercando di far ordine tra i miei pensieri.

"È come se piovesse..." sfrego le dita di una mano tra loro come se stesse veramente piovendo e stessi assaporando il profumo della pioggia.

Sebbene non io voglia perdere il contatto con il rifugio mentale, idillico, verdeggiante, con uccellini canterini che la mia mente ha costruito magicamente, apro gli occhi con la medesima espressione sognante ed estraniata. Faccio lentamente il giro della fontana, a volte appoggiando appena i polpastrelli sull'acqua.

Desidero solo sfiorarla, accarezzarla per creare un fantomatico legame naturale con essa. O magari, in realtà, forse la invidio soltanto; è il più grande ossimoro dell'architettura: l'irruenza dei flutti piangenti si mescola, alla base, alla calma piatta dell'acqua a riposo.

"E poi vorrei danzare, danzare e girare e girare in mezzo al nulla... Non pensare a niente di niente, se non a me stessa..."

"Nulla che, in effetti, non si possa provare a fare, suppongo, no?" esordisce d'improvviso una voce alle mie spalle.

Di scatto mi giro verso l'origine di quella voce e scopro uno sconosciuto. Incrocio le braccia all'altezza del petto, quasi con fare protettivo, perché non è mai bello incontrare sconosciuti a una certa ora della notte, per quanto sembrino avere volti angelici.

"Sì, penso." scuoto la testa "Ma esattamente da dove spunti?" domando in maniera pungente.

In effetti sono un po' irritata dal fatto che qualcuno si sia intrufolato così nelle mie riflessioni personali.

TOUCH ME AS YOU CAN DODove le storie prendono vita. Scoprilo ora