Capitolo 6: L'arte del nottare

9 2 0
                                    

Era notte molto tarda, quasi mattina. Potete solo immaginare il mio stato d'animo in quel momento data la situazione. Una cosa era certa: nessuno poteva stare peggio di me. O forse qualcuno si, magari chi sta morendo di sete nel deserto o per disidratazione nel mare, o chi è colpito da una malattia rara e dolorosa e ha due soli giorni di vita. Ok, va bene! Qualcuno stava peggio di me, ma di certo io non stavo bene. Avevo visto il mio amico schiacciato sotto una montagna di massi e la persona che amo piangere lacrime amare. E io lì, non potevo fare nulla, non ero nulla davanti a quanto stesse accadendo. In un momento di lucidità, però, feci una riflessione:

"Aspetta, io non ho visto Hindy morire. L'ho solo immaginato perché era dietro di noi. E se è ancora vivo? Oddio, le speranze sono pochissime, ma dovevo verificare! Mi alzai di scatto e uscii solo in mutande e canottiera dalla tenda. Faceva un freddo assurdo! Non mi spiegai il perché: nei giorni precedenti le giornate erano sempre calde o almeno miti. Quel giorno dovetti vestirmi pesantemente. Era ora di mettersi in marcia! I miei passi scorrevano lenti. E il sospiro della foresta non faceva altro che congelare il sangue nelle mie vene. Ogni passo pareva pian piano un passo verso la morte, verso la bocca della foresta. Non aveva fretta, si vedeva come il suo cacciare fosse abituale. I rami erano lì, pazienti. L'oscurità pazientava che in un momento io mi distraessi, per sorprendermi all'improvviso. Ma la marcia era appena iniziata e non avevo intenzione né di abbassare la guardia, né di fermarmi, tantomeno di tornare indietro. Nonostante questi buoni propositi però, la camminata si rivelò tutt'altro che indolore. Il freddo era tale da stordirmi quando tentavo di correre. Bastava scattare per prendere un colpo di freddo al naso, stordendomi per cinque secondi buoni, offuscandomi pure la vista. Non potei nemmeno capire l'ora dalla luce o dalle ombre: la nebbia e le chiome fitte costituivano una combinazione quasi letale. Il bosco, però, taceva. Nemmeno un sospiro di vento, un lento fiatare. Era tutto così silenzioso, desolante. I miei pensieri mi consolavano almeno: evitavano che gridassi giusto per provare che ci fosse silenzio totale e non fossi diventato sordo. Fu una passeggiata interminabile. D'un tratto mi fermai: sentii un rumore. Era un ramo spezzato. Mi spaventò dato l'eccessivo silenzio che c'era un secondo prima. Poi dei passi nella neve, finchè lei sbucò dal nulla: un'orsa. Camminava fissandomi e a passo sostenuto, finchè non si sedette, senza però distogliere lo sguardo. Impaurito non fui capace di muovermi. Quando fu vicino a me, continuai a mantenere la posizione. Quello che accadde dopo mi sorprese: si mise attorno a me e mi riscaldò. A primo impatto ebbi la sensazione di scappare, ma dopo poco il caldo divenne tale da essere confortante. Il suo pelo era molto morbido. Decisi quindi di accarezzarla. Diede l'impressione di essere molto compiaciuta. Dopo un minuto buono, mi prese dal giubbotto come un cucciolo e mi mise sulle sue spalle. Cavalcare un orso non è cosa da tutti. Potrà non sembrare, ma rimanere in equilibrio sulla schiena di un animale senza sella, è difficile. Infatti io mi sono aggrappato al suo collo abbracciandolo. Non era il gesto più epico che potessi fare, ma almeno il suo pelo era caldo, morbido e non cadevo. Era talmente comodo che mi addormentai. Sognai molte cose, tra cui Mercy. Non in vesti sconce! Era bellissima: era in cima a un trono. Aveva nella sua mano destra un globo luminoso giallo che quando sollevò, sollevò pure me. Mi avvicinai lentamente a lei e mi accorsi che aveva delle bellissime ali. Pareva un angelo. Si avvicinò a me e mi sussurrò in un orecchio:

"I veri amici non muoiono mai".

La mia testa si mosse lenta per avvicinarsi alle sue labbra. Entrambi chiudemmo gli occhi, le sue labbra le sentii come realmente sulle mie. Uniti da un dolce abbraccio, eravamo tutt'uno. Aprii gli occhi e lei mi disse:

"Amore, è ora di svegliarsi".

In effetti un secondo dopo non era lì lei. L'orsa era accanto a me. Quando mi alzai, vidi che eravamo davanti a una grotta. Ci misi un po' a riconoscerla, ma era proprio l' uscita del GV che avevamo trovato l'ultima volta! Ero arrivato! Mi guardai intorno, mentre il mio respiro si faceva denso per il freddo, creando le solite "nuvolette". L'orsa era andata via, ma la ringraziai comunque e mi addentrai per cercare Hindy. Camminai a lungo, molto a lungo. Ci misi parecchio a trovare la strada, ma alla fine giunsi allo stesso laghetto dove trovammo le note di Ness. Cercai in lungo e in largo, ma non trovai null'altro su di lui lì intorno. Mi avviai verso l'uscita crollata, appena davanti all'ammasso di pietre. La prima cosa che provai fu un forte senso di paralisi: non ero capace di distogliere dalla testa l'immagine delle ragazze che piangevano e la sensazione di una forte paura che diveniva realtà. Mi avvicinai lentamente; iniziai a scavare, a scavare e ancora a scavare. Mi fermai solo quando presi in mano una stalattite ben incastrata tra le rocce. Prima di estrarla era pulita, ma sulla punta era scarlatta, sporca di sangue: l'aveva trafitto. Mi iniziarono a tremare le mani: la stalattite mi cadde di mano. Iniziai ad urlare:

Il boscoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora