I - La ragazza di luce

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- Cornelia? – mi sentii chiamare, e improvvisamente mi riscossi dallo stato di torpore nel quale ero sprofondata.

Mi inginocchiai sui cuscini del divano crema e oltre la spalliera scorsi due sagome familiari sedute al tavolino dinnanzi all'ampia porta-finestra che dava sul giardino, dalla quale traspariva la luce bianca di un bel mattino estivo.

- Presente! – esclamai brandendo un libro nella mano sinistra.

Ulysses si voltò, e constatò divertito:

- È raro non sentirti parlare per più di due minuti, - e lì Kenneth, di fronte a lui, scoppiò a ridere – ma se stavi leggendo, beh, non è una novità che tu sia assente per ore e non ci degni di un solo sguardo. –

Giocavano a scacchi di tanto in tanto, soprattutto dopo che io li avevo trascinati tra i prati e i boschi attorno alla tenuta alla ricerca di avventure di ogni genere; quello era uno di quei giorni.

Scavalcai la spalliera del divano, mi diressi verso di loro e con aria di finta offesa mi accostai al tavolo.

- Cosa c'è, ti senti trascurato, Ulysses dalle molte astuzie? – chiesi ironica alludendo all'epiteto omerico.

- Oh, mi sento morire ogni volta che mi ignora, Sua Eccellenza! – rispose lui inginocchiandosi plateale, e allora Kenneth corse a prendere uno stuzzicadenti dalla cucina, per poi porgerglielo con fare affranto.

- Tutte le volte che Lei, fanciulla di luce, mi uccide col suo silenzio, sono tentato di uccidermi io stesso con questa lama! – esclamò brandendo il bastoncino in maniera tragica, e io non potei fare a meno di ridere.

Era da tutta la vita che noi tre ci conoscevamo. Erano i soli amici che avessi, e i soli che desiderassi avere.

Mio padre era l'impresario milionario Charles Harrington e io, sua unica figlia, erede di tutte le ricchezze e la società di famiglia; non me n'ero mai preoccupata troppo, ma presto le cose sarebbero cambiate.

Ad ogni modo era un qualcosa che non potevo ignorare e che per quanto tentassi di esulare dalla mia vita, la incideva inevitabilmente da quand'ero nata: a partire dal fatto che non avevo mai lasciato la mia casa, uno sfarzoso palazzo in qualche luogo sperduto della California.

Ero istruita da un insegnante privato e vivevo sola con un padre che vedevo raramente e un'infinità di domestici ai quali ero legata da un rapporto di stima e affetto, dal momento che per anni erano stati la mia sola famiglia; mia madre era venuta a mancare quand'ero molto piccola e quindi suppongo che avrei condotto un'esistenza piuttosto solitaria se non fosse stato per i due ragazzi che si stavano rotolando a terra ridendo davanti ai miei occhi.

Ulysses Jenkins era il figlio del proprietario di un'importante compagnia che da sempre aveva ottimi rapporti con quella degli Harrington e Kenneth Hallaway il ricco rampollo di una famiglia di antiche origini nobili dalle quali discendeva anche mia madre, anche se io e lui non eravamo uniti di rapporti di sangue.

I nostri tre padri si conoscevano da un'eternità ed oltre ad essere legati da relazioni economiche ricche di interessi per tutte e tre le parti, avevano anche un profondo legame di valore affettivo.

E forse fu questo, unitamente al fatto che eravamo terribilmente simili, che ci fece diventare migliori amici sin dalla tenera età: da piccoli trascorrevamo molto tempo insieme; negli ultimi anni, invece, un po' meno, perché loro dovevano essere educati per prendere in mano le società di famiglia, essendo i primogeniti maschi.

Venivano a passare da me le vacanze estive, ed era il periodo dell'anno che preferivo, perché era sempre ricco di scorribande e divertimenti.

Eravamo giovani e spensierati, e non ci rendevamo conto del peso che gravava sulle nostre spalle: quello di tre multinazionali dal potere smisurato, che regolavano le sorti economiche e talvolta politiche della società mondiale.

A me piaceva studiare, imparare, e mi piacevano anche gli affari e le strategie commerciali; perdipiù ero molto intelligente, a dire del mio maestro: ma ero una ragazza, e quindi non venivo nemmeno presa in considerazione per la futura direzione della compagnia di papà, a differenza di Ulysses e Kenneth.

Era una cosa che mi faceva rabbia e spesso mi rendeva invidiosa, ma ancora non avevo idea di quello che sarebbe accaduto.

Quell'estate compivo diciassette anni, e la mia vita sarebbe cambiata profondamente, a partire da quel giorno: quel lontano mattino del 17 luglio 1967, avrei avuto la consapevolezza improvvisa e assoluta di quel che stava per accadere.

Proprio in quel momento, bussarono alla porta del Soggiorno d'Avorio, come lo chiamavo io.

-Signorina Harrington, suo padre desidera parlarle – disse la minuta domestica Sarah, appena comparsa sull'uscio, e per un secondo indugiò sulle figure di Kenneth e Ulysses che ancora ridevano stesi sul pavimento – immediatamente -.

I due smisero improvvisamente di ridere e mi squadrarono stupefatti.

Quella era l'estate che avrebbe messo in moto la macchina del mio destino.

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Note dell'autrice: 

Innanzitutto un saluto ai lettori! Questa è la mia prima storia su Wattpad, ed era un'idea che, seppur in forme e stili differenti, mi ronzava in testa da un po' di tempo, e mi sono detta: perché non condividerla, se magari potrebbe piacere a qualcuno? Non mi aspetto che questo romanzo abbia successo, ma sarei contenta se potesse fare la felicità anche solo di una persona, e la prima, senz'altro, sono io, perché è ormai da tempo che sognavo di scrivere qualcosa su questa piattaforma. 

Ho volutamente scelto di non creare una sezione cast per non influenzare la fantasia soggettiva dei lettori; inoltre non riuscivo a trovare dei volti (per la protagonista femminile, perlopiù) che fossero conformi all'idea che mi sono fatta dei personaggi.

Detto ciò, mi scuso per questo primo capitolo breve - serviva soprattutto per inquadrare il contesto - e una nota così lunga, che ho fatto per evitare una prefazione. 

Spero di ritrovarvi al prossimo capitolo, buon Capodanno! 

I fili delle nostre viteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora