XII - Lo sconosciuto

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Scesi le scale con l'aiuto di Ulysses, che come Kenneth non mi staccò per un istante gli occhi di dosso.

Quando giungemmo al cospetto dell'altro, questi a sua volta mi disse mantenendo con un evidente sforzo il suo tono pacato e controllato:

- Sei davvero bella, Cornelia. –

Mi porse anche lui il braccio, e allora passai da una presa all'altra.

Il Salone grande, che era a qualche corridoio di distanza, era gremito di invitati, lo si sentiva dalle voci e dai mormorii che arrivavano dappertutto nella casa.

Camminavamo tutti e tre in quella direzione, e più di una volta dovettero aiutarmi a sorreggermi viste le mie scarse capacità di camminare sui tacchi, per i quali non avevo mai fatto pratica.

Ero imbarazzata, perché tra di noi c'era un insolito silenzio spezzato solo da qualche frase di circostanza o commento sulla bellezza delle decorazioni, che del tutto si opponeva alle nostre solite conversazioni ironiche e vivaci.

Davanti alla porta del Salone, dove mio padre mi aspettava per presentarmi gli ospiti e zia Darlene era già arrivata da una scala secondaria, mi fermai.

- Andate avanti voi – sentenziai – dite che arrivo tra qualche istante. –

Loro mi guardarono meravigliati, e poi io uscii in giardino.

L'aria si stava facendo veramente troppo pesante per me, e oltre a questo mi facevano tremendamente male i piedi.

Mi tolsi le scarpe adagiando i piedi sull'erba, e senza pensarci davvero corsi al primo albero che vidi, un'alta quercia non troppo lontana dalla porta d'ingresso.

Adagiai le scarpe tra le radici nodosi che fuoriuscivano un po' dal terreno e poi mi arrampicai sull'albero cercando di non rovinare il vestito.

Mi sistemai per bene su un ramo, e poi tentai di smettere di pensare e di godermi qualche secondo di tranquillità prima di entrare nel Salone, dove avrei dovuto fronteggiare un misto di emozioni forti e mai provate prima. Ero agitata, le cose non stavano andando come avrebbero dovuto, ma quando meno me lo sarei aspettato una voce sconosciuta spezzò il silenzio.

- C'è qualcuno sull'albero? – era la voce di un ragazzo, doveva avere più o meno la mia stessa età.

Mi misi in piedi sul ramo, e scattai in stato di allarme.

- Chi va là? – chiesi imperiosa.

Sentii una risata. Era bella e sonora, pensai stupita.

- Perché ridi? – domandai indispettita riflettendo sul fatto che non poteva vedermi coperta dalle foglie, così come io non potevo vedere il suo volto.

Scorsi tra le fronde che stava prendendo le mie scarpe.

- Oh, nulla. Solo che non capita tutti i giorni di vedere una ragazza, in abito da sera suppongo, che abbandona delle scarpe costose ai piedi di un albero per poi salirci sopra proprio mentre un ricevimento importante sta iniziando. –

- Non è mica colpa mia se sono talmente scomode – risposi cercando di mantenere un tono indignato, ma mi lasciai sfuggire una leggera risata.

Anche lo sconosciuto rise.

- Non posso darti torto, non sembrano facili da portare. Sono solo delle scarpe che ti hanno condotta qui, o c'è altro? –

- Che intendi? –

- C'è qualche altra ragione, oltre a delle scarpe scomode, che ti spinge a stare su un albero anziché partecipare ad un rinomato ricevimento? – chiese con una nota di sarcasmo.

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