When I got out I knew
That nobody I knew would be believing me
I look back now and know
That nobody could ever take the memoryMichael fu svegliato da un raggio di sole che filtrava dalle finestre e da un corpo che si muoveva leggermente contro al suo.
Luke faceva fatica a dormire, ormai lo aveva capito, ma in quel momento si stava muovendo un po' troppo per i suoi gusti. Si passò una mano sul viso e controllò l'orario. Erano le 6:30 del mattino. Aveva un paio d'ore prima di doversi recare all'aeroporto, dove avrebbe preso un volo diretto per l'Italia, dove si sarebbe tenuto il suo prossimo concerto.
La tristezza lo travolse, lasciandolo quasi senza fiato. Non appena il biondo si fosse svegliato avrebbe dovuto distruggere quella bolla di sicurezza che si erano creati. Certo, aveva fantasticato a lungo su quanto sarebbe stato bello chiedergli di venire con lui, di non lasciarlo mai, ma sapeva perfettamente che non avrebbe potuto farlo.
Per la prima volta desiderava dolcezza, ma non era in grado di permettersela. Voleva lentezza e tranquillità, ma non poteva possederle. O meglio, non poteva strapparle a quel ragazzo che ora dormiva accanto a lui. Perché amarlo avrebbe significato questo: privarlo di tutto ciò potendogli dare solo frenesia. Non poteva promettergli una vita tranquilla, la calma che era necessaria perchè la loro relazione maturasse su un terreno sano. Non poteva permettersi di rovinare un ragazzo tanto puro. Avrebbe voluto versare un mare di lacrime e magari annegarci anche, ma non poteva permetterselo. Non in quella stanza, non ora che il biondo stava aprendo gli occhi. Si sentì morire. Non voleva farlo. Non voleva distruggersi. Ma avrebbe dovuto. È per Luke. Luke. Luke. Luke.
Gli sorrise tremolante. Stava per scoppiare a piangere ma si trattenne. Il ragazzo se ne accorse.
"Ehi, che c'è?"
Gli stava accarezzando dolcemente una guancia. Michael chiuse gli occhi e una sola lacrima gli rigò il viso.
Quando li riaprì, era tutto già finito per lui. Il suo cuore aveva smesso di battere. Si era spezzato.
"Devi andartene."
Il biondo lo guardò stranito.
"Cosa?""Ho detto che devi andartene."
Era tutto più difficile del previsto. Sentiva un enorme peso sul petto e sapeva che non sarebbe sparito. Ne quando Luke lo avesse lasciato solo, ne mai. Ormai aveva capito di amarlo, ma non avrebbe mai potuto averlo. Fece un altro respiro profondo.
"Fra poche ore io me ne andrò e ti lascerò qui, Luke. È tutto finito. È stato bello, ma ora è il momento di smetterla. Vattene e non rendere tutto più difficile. Torna a casa e dimenticati di me."
Il ragazzo lo guardò, le lacrime cominciavano a lambirgli gli occhi arrossandoli.
"Ma io- io pensavo che-"
Non riuscì nemmeno a finire la frase."Vattene! Sei stato solo la mia scappatella inglese! Perché non riesci a capirlo?!"
E in quel momento tutto fu silenzioso. Si sentì solo un piccolo fruscio quando Luke spostò appena le coperte dal suo corpo ancora nudo.
Il biondo si riscosse in fretta dal suo stato di trance e cominciò a vestirsi furiosamente. Pochi minuti dopo era sulla soglia della stanza.
"Sei uno stronzo Michael Clifford. Pensavo che saresti stato l'incontro migliore della mi vita. Non hai idea di quanto mi sbagliassi."
E con questo uscì. Quando la porta fu sbattuta, le guance di entrambi erano rigate da innumerevoli lacrime.
Michael urlò. Urlò in preda alla rabbia e alla disperazione per minuti interi. Pianse forte, poi silenziosamente e dopo ancora con altrettanto dolore. Non sapeva che il biondo, incapace di mettere un punto a quella storia, era seduto a terra con la schiena poggiata alla parete dell'anticamera che divideva la stanza vera e propria dal corridoio dell'albergo.
Questo il tinto non lo sapeva nemmeno quando urlò i suoi sentimenti alle quattro mura che erano state il loro rifugio per tre giorni fantastici.
"Ti amo Luke, cazzo sei la cosa più bella e pura che io abbia mai visto. Perché non capisci che non posso permettermi di rovinarti? Mi annullerei centinaia di volte se questo significasse conservare la tua luce!"
Il rosso pensava che quelle parole fossero solo sue, urlate al vento. Ma Luke lo aveva sentito, eccome se lo aveva fatto.
Dopo quello ci fu solo silenzio. Lacrime silenziose. Dolore muto. Cuori che si spezzano all'unisono, ma sempre senza fare rumore.***
Michael non ne aveva voluto sapere di uscire da quella stanza per ben 3 ore. Il suo manager aveva tentato in ogni modo di convincerlo con le scuse più svariate, dal rischio di perdere l'aereo al licenziamento, ma era stato tutto inutile. Dopo un paio d'ore aveva lasciato perdere, aveva disdetto i biglietti e ne aveva prenotati altri per il volo successivo, che per loro fortuna sarebbe partito solo un'ora dopo. Quando il tinto trovò la forza per mettere piede fuori dalla camera, tutti l'avevano considerato un miracolo divino. Tuttavia, la preoccupazione aleggiava nell'aria.
Michael aveva un aspetto orribile. Gli occhi erano rossi e gonfi per il lungo pianto, i capelli sparati in tutte le direzioni, la voce quasi assente. Aveva urlato tanto a lungo da farsi male alla gola e, dopo un controllo veloce da parte di un'infermiera della sua equipe, era probabile che non avrebbe potuto sostenere il concerto che lo aspettava la sera successiva. Il manager era tremendamente arrabbiato, ma il tinto non lo aveva nemmeno ascoltato mentre gli faceva la predica e gli chiedeva insistentemente cosa lo aveva portato a quella situazione.
Non voleva più cantare, non se l'unica persona che desiderava lo ascoltasse non l'avrebbe fatto. Non voleva più sorridere, non se gli unici occhi che voleva non l'avrebbero guardato. Non voleva più vivere, non se l'unico ragazzo che lo aveva fatto innamorare non sarebbe stato accanto a lui.
Tuttavia non poteva dare la colpa a Luke. Era stato lui a prendere quella decisione. Aveva deciso di mettere il bene del ragazzo davanti al proprio. Non era così che funzionava in amore? Tuttavia faceva male.
Era distrutto e sapeva che non si sarebbe mai potuto aggiustare. Anche Luke stava male, ma per lui sarebbe presto sarebbe passato tutto. Si sarebbe dimenticato di Michael e avrebbe ripreso la sua vita. Il tinto invece non ne sarebbe mai stato in grado. Ormai si era annullato, aveva smesso di brillare, ed una stella che muore, seppur sia uno spettacolo bellissimo, etereo, era qualcosa di irreparabile. Non sarebbe mai tornato a vivere. Non senza di lui.
E così si rassegnò. Semplicemente, smise di sperarci. Smise di pensare a come sarebbero potute andare le cose se lui fosse stata una persona diversa, se lui fosse stato puro come il biondo, se lui fosse stato coraggioso almeno un centesimo di quanto lo era il ragazzo di cui si era innamorato.
Si era alzato, aveva raccolto le sue cose e si era passato una mano tra i capelli. Gli occhi di Luke. Basta. Luke. Basta. Luke.
"Basta!"Era uscito e, con una ristata amara, aveva pensato che nessuno di coloro che conosceva gli avrebbe mai creduto se gli avesse raccontato ciò che provava. Michael Clifford non provava sentimenti. Era a malapena in grado di sopportare un paio di persone. Figurarsi se avesse potuto addirittura innamorarsi. La risposta sarebbe stata facile per chiunque. No. Si.
Era salito in macchina e aveva poggiato la testa al finestrino. La leggera pioggia londinese scorreva sul vetro, peggiorando ulteriormente il suo umore. Si guardava indietro e sapeva che nessuno avrebbe mai potuto sopportare il ricordo di quel sentimento. Doveva dimenticarsene. Ma non poteva.
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English love affair|| muke
FanfictionUn incontro casuale in un bar. Mani che si sfiorano, corpi che si uniscono. Una notte annebbiata dall'alcool e dal desiderio. Poi, silenzio. Per mesi, nemmeno una parola. Un secondo incontro, questa volta non dettato dal destino. Occhi che si incont...