EPILOGO

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English love affair

Erano passati mesi ormai, Michael lo sapeva. Aveva finito il suo primo tour mondiale da poco e tutto era andato per il meglio. Tuttavia, anche i fan si erano resi conto che qualcosa non andasse. Il luccichio che normalmente animava gli occhi del cantante era sparito, e questo non era passato inosservato. Tutti si chiedevano quale fosse la causa del suo repentino cambiamento.

Dopo i concerti londinesi aveva smesso di sorridere veramente. Si costringeva ad apparire felice sul palco per non deludere il pubblico, ma nessuno se l'era bevuta già dal primo spettacolo. Molti si erano chiesti che fine avesse fatto il ragazzo biondo che era stato visto con lui sul palco in Inghilterra, ma non ebbero mai risposta.

In Italia, Michael aveva deciso anche di tingersi nuovamente i capelli. Nero era il colore che gli serviva. Il rosso non aveva più alcun senso. Il suo cuore non bruciava più, era solo una brace spenta. La luce non lo illuminava, si trovava solo nel buio. Quel fiorellino tra il cemento era stato strappato, estirpato come un'erbaccia di poco conto.

Alla fine del tour era distrutto. Non riusciva più a dormire, l'insonnia lo costringeva alla veglia e, le poche volte che riusciva a chiudere gli occhi, gli incubi lo agitavano per tutta la notte. Aveva perso tanto peso, forse troppo. Si rifiutava di mangiare qualsiasi cosa gli fosse messa nel piatto e cedeva solo quando si rendeva conto che era necessario per vivere. Anche se avrebbe preferito morire. Ingeriva solo lo stretto necessario. Le guance erano ormai scavate, le costole sporgevano evidenti, le cosce quasi non si toccavano da quanto erano magre.

Aveva ripreso a farsi del male. Da mesi indossava solo magliette a maniche lunghe, anche quando l'estate era arrivata, solo per coprire le fasciature che gli proteggevano gli avambracci. I suoi polsi erano costellati da nuove cicatrici che spiccavano ancora fresche accanto a quelle ormai sottili e biancastre che risalivano a tanto tempo prima. Si vergognava di quello che faceva, ma non conosceva altro modo per porre un freno alla sua mente.

Quando le sue braccia erano ricoperte di sangue non aveva il tempo di pensare a niente se non a ciò che stava succedendo. Doveva impedirsi di morire per ferite che si era inflitto da solo, ma avrebbe fatto qualunque cosa per togliersi quel peso dal petto anche solo per qualche istante. Tuttavia sapeva che, prima o poi, nemmeno questo sarebbe bastato e, intrappolato dalla gabbia dei suoi pensieri, si sarebbe scordato di salvarsi. E sarebbe morto. Dio, fai che accada presto.

Avrebbe tanto voluto stare bene, ma non ci riusciva. Aveva bisogno di qualcuno che lo salvasse, che gli insegnasse di nuovo a vivere, ma ormai l'unica persona che avrebbe potuto farlo era lontana. Aveva scelto l'autodistruzione pur di preservare la purezza di Luke e ne era felice. Però avrebbe voluto porre fine alla sua esistenza.

L'unica cosa che glielo impediva erano i suoi fan. Non avrebbe mai potuto fare loro una cosa del genere. Sapeva cosa voleva dire stare male e non poteva permettersi di lasciare coloro che lo avevano sempre sostenuto. Lui doveva esserci almeno per loro. Doveva essere la loro spalla su cui piangere, il loro rifugio dal mondo. Non poteva sopravvivere per se stesso, ma poteva riuscirci per loro.

In ogni caso, quando era tornato a Sidney Ashton lo aveva sgridato per ore. Si era accorto dello stato pietoso in cui si trovava e lo aveva rimproverato talmente a lungo e talmente tante volte da consumarsi la voce.

Poi, aveva chiesto spiegazioni. Non era stato facile aprirsi con qualcuno. Michael era abituato a tenersi tutto dentro, a nascondere il suo dolore, ma sapeva che l'amico non l'avrebbe giudicato per nulla al mondo. Era solo preoccupato per lui infondo. Mentre gli raccontava di Luke, una lacrima rigò il suo viso, subito seguita da mille altre.

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