Allison PoV
Il velo di foschia bianca sfuma pian piano dalla mia vista, finché non riesco a vedere bene quello che mi ritrovo davanti.
Sono seduta nel retro di un auto, credo, nel posto a destra, vicino al finestrino. Fuori dal vetro sottile vedo un paesaggio verde sfumare ogni tanto in qualche muro giallo di alcune case o pareti grige di fabbriche e tendoni.
Riesco a percepire un suono dolce entrarmi nelle orecchie e facendomi girare la testa, per guardare il posto di guida.
Una donna con i capelli neri drittissimi, raccolti in una perfetta coda di cavallo alta, sta guardando la strada mentre canticchia una canzone, tenendo il tempo con il picchiettio delle sue dita sul volante.
Gira il viso verso di me e una sensazione mi pervade ogni singolo angolo della mia mente.
Dei piccoli ciuffetti corvini escono dalla sua coda stretta e le ricadono sulla fronte, priva di rughe di vecchiaia o qualsiasi imperfezione. Le sopracciglia nere accompagnano due occhi marroni color cioccolato grandi e luminosi. Il naso è leggermente all'insú e sorregge verso la punta un paio di occhiali di plastica verde acceso, in constrasto con i capelli e le sopracciglia scurissime. Le labbra sottili e sorridenti si chiudono e si schiudono mentre la donna intona le note della canzone che sta canticchiando.
Da quando ne ho memoria non ho mai avuto una certezza, ma di questo sono totalmente sicura: ho già visto quella donna.
Appena incrocia il mio sguardo il suo sorriso diventa ancora più grande e smette di cantare, togliendomi come da uno stato di ipnotizzazione.
-Ben tornata nel mondo dei mortali, tesoro!- la sua risata è la cosa più dolce e candida che io abbia mai sentito:-Fra poco siamo arrivate-
Non so perché, ma sento delle lacrime formarsi nei miei occhi e cominciare a scendere sulle mie guance. La donna non se ne accorge, perciò capisco che quello che sto vedendo è soltanto un episodio passato e le mie reazioni attuali non cambiano lo svolgimento del flashback...ma perché lo sto rivedendo? E perché la donna mi sembra così familiare?
Come mi ha chiamata? "Tesoro". Possibile che sia...no, non può essere lei.
Prima che possa pensare a qualsiasi altra cosa, una voce da bambina, stranamente simile alla mia, giunge alle mie orecchie e capisco che sto guardando la scena attraverso gli occhi di una bambina di circa sei anni:-Okay, mamma!-
_Mamma_ .
Quella donna è la mia _mamma_ .
Il respiro comincia a faticare a uscire dalla mia bocca, i miei occhi e le guance sono ora completamente bagnati dalle lacrime che non riesco a trattenere.
Ho una madre, ma dove è adesso? Perché non è qui _veramente_ con me?
La risposta arriva a me come un pugno nello stomaco.
Mia madre mi sorride un'ultima volta e torna a guardare la strada davanti a sé. Pochi, ma per me lunghissimi, secondi dopo sento mia madre urlare il mio nome, poco prima che un frastuono di metallo e vetro mi riempia le orecchie e io non senta, ne veda più nulla.
Sento le lacrime sgorgare ogni secondo piú velocemenre dai miei occhi, mentre la visione cambia drasticamente.
Sto camminando in mezzo ad una strada sterrata, stando come in equilibrio sulla linea bianca divisoria. Barcollo, con una gamba che non risponde ai miei comandi e le tempie che mi pulsano, come se il mio cervello minacciasse di scappare da tutto il dolore che stava provando. Guardo verso il basso: indosso delle scarpette da ginnastica rosa, con decori argentati sulle stringhe. I miei piedi riescono a stento a stare al passo con il mio cammino e le ginocchia minacciano di cedere.
Torno a guardare in avanti, continuando a ripetere una sola parola, tante volte, senza mai stancarmi "mamma".
La mia mano sinistra è stretta da quella di qualcun altro, guardo in alto e il mio cuore perde un battito: Watts. Lui si gira a guardarmi e mi sorride, come se non fosse accaduto niente. Ed io ricordo: _io e mamma andavamo sempre in auto nel nostro "posto speciale", un parco a poche ore di distanza dalla nostra casa a New York. Quel posto non era particolarmente grande o famoso, era soltanto una distesa di prato verde acceso, che mi ricordavano gli occhiali preferiti di mamma. Da qualche parte sbucavano dei castagni dal terreno curato e delle stradine di ghiaia grigiolina passavano attraverso i ciuffi d'erba, disegnando una rete di sentierini che io ormai conoscevo a memoria. Non c'era mai tanta gente, cosa che mi faceva amare perfino di più il piccolo parchetto. Ogni volta che ci andavamo, io e mamma prendevamo un gelato al bar lì vicino e ci sedevamo su una panchina, parlando del piú e del meno. Tutte le volte io mi macchiavo la punta del naso con il gelato alla fragola e mamma rideva, facendomi mettere un falso broncio, prima di estrarre un fazzoletto dalla sua borsa e pulirmi il piccolo nasino.
Quella volta stavamo andando allo stesso posto, per il mio sesto compleanno, mi ero addormentata nel tragitto, come succedeva ogni volta. Quando mi sono svegliata, è accaduto l'incidente. Pochi secondi dopo l'impatto ho ripreso i sensi e davanti a me ho visto la macchina accartocciata come una lattina nel davanti.
Ho slacciato la cintura di sicurezza e con il fiato corto mi sono alzata dal seggiolino. Ho scavalcato l'ammasso di vetri e pezzi di metallo che bloccavano il mio passaggio e mi sono inginocchiata in parte al sedile di mia madre, rivolta verso il suo viso. L'airbag sul volante si era attivato troppo tardi, immagino, perciò sul viso di mia madre c'era un taglio profondo che partiva dal sopracciglio destro e terminava vicino al mento. Gli occhi erano chiusi e quello destro era di una strana sfunatore violacea. Il labbro inferiore era rotto e gonfio. Il naso sanguinava e gli occhiali che tanto amavo erano distrutti, con una lente mancante e una completamente crepata. Mi sedetti sulle sua gambe e cominciai a piangere, mettendo le mie piccole mani sul suo viso. Non rispondeva alla mia voce, non apriva quelle maledettissime palpebre. Scoppiai in un urlo disperato, uno che non ci si aspetterebbe mai da una bambina di soli sei anni. Le circondai il collo con le mie braccia e piansi sulla sua guancia sfregiata, ripetendo l'unica parola che riuscivo a ricordare al momento: "mamma".
Sentii le sirene di ambulanze cominciare a farsi più forti alle mie orecchie e rumori di ruote che si avvicinavano a noi. Strinsi il viso di mia mamma ancora più forte sulla mia guancia. Non volevo lasciarla.
Ad un tratto, però, sentii delle braccia circondarmi la vita e sollevarmi dal corpo immobile della mia mamma. Mi dimenai con tutte le mie forze, urlando disperatamente e battendo i miei piccoli e deboli pugni su quelle braccia._
La visione continua, con il sorriso gelido di Watts che mi guarda dall'alto. Quello psicopatico mi ha strappato via dal corpo senza anima di mia madre, quando avevo solo sei anni. Forse ero troppo piccola per capire quello che aveva fatto, o forse ero troppo scossa e immersa nel dolore della perdita di tutta la famiglia che avevo ancora con me...sta di fatto che la mia piccola mano continuò a stringere quella dell'uomo, anche quando mi trascinò in quel sotterraneo, che diventò la mia casa negli ultimi 9 anni.
La visione finisce e io mi risveglio, sullo stesso lettino in cui mi sono addormentata. Sento il mio viso completamente fradicio, gli occhi che mi bruciano e i pugni che minacciano di scappare da quelle trappole di metallo che mi impediscono di colpire qualsiasi cosa voglia, compreso l'uomo che mi ha rapita.
Il lettino si solleva di nuovo, facendomi stare seduta.
Watts si avvicina a me e si siede su uno sgabello:-Ti ricordi qualcosa, ora?- chiede in tono gentile.
Ho voglia di urlargli contro, di insultarlo in tutti i modi possibili, ma tutto quello che riesco a dire è:-Sí, ora ricordo qualcosa-.
Lui annuisce, come se avessi soltanto appena confermato uno dei suoi tanti esperimenti. Questo mi rende ancora piú furiosa. Stringo i pugni e tendo i muscoli delle braccia:-Sí- ripeto, stupendomi della fermezza della mia voce:- Ora ricordo molte cose. Ricordo che _tu_ hai strappato via una bambina di soli _sei anni_ dal corpo della propria madre che era appena morta davanti ai suoi occhi- un singhiozzo esce dalla mia bocca, ma io continuo ad urlare:-I soccorsi stavano arrivando! Sarei potuta andare via con lei! Avrei potuto vederla senza quelle ferite un ultima volta! Ma tu mi hai portata via da lei, e l'ultima immagine che ho della mia unica famiglia è un viso distrutto da un incidente!-
Il silenzio cala nel sotterraneo, ma io non ho ancora finito:-Sei soltanto un pazzo, uno spregevole e crudele _mostro_ !-
Watts abbassa lo sguardo per un momento, ma poi torna a guardarmi:-Tu non lo sai, Allison. Ma io ti ho salvata.-
Ricomincio a piangere, ma non per la tristezza, per rabbia:-Salvata? Salvata da che cosa?!-
Lo scienziato si rimette gli occhiali sottili sul naso, e questi subito scivolano verso la punta:-Quando le ambulanze e il resto dei soccorsi sarebbero arrivati, ti avrebbero portato in ospedale, certo. Ma dopo? Dopo ti avrebbe portato...- fa una pausa, come per darmi il tempo di preparami a quello che stava per dire:-Ti avrebbero portato da tuo padre-.
Sono probabilmente la persona più confusa su questo pianeta.
-M..mio padre?- chiedo con voce fievole -Chi è mio padre? E perché sarebbe stato un problema se mi avessero portato da lui?-
Non avevo mai conosciuto mio padre, o almeno...non ricordo di averlo mai fatto. L'unico ricordo legato alla mia infanzia è mia madre, di una figura paterna neanche una traccia.
Watts solleva una specie di telecomando e schiaccia un tasto rosso. Un monitor appoggiato ad un tavolo si accende davanti a noi. Ci metto qualche secondo a mettere a fuoco quello che appare sul display, ma quando lo faccio, vedo un uomo adulto, con i capelli neri, corti e dritti. Un pizzetto e dei baffi curati. Gli occhi marroni e un sopracciglio nero alzato. Indossa uno smocking nero e una cravatta nera.
Deglutisco:-É lui? É mio padre?-
Watts si gira di nuovo verso di me e annuisce.
-Ma perché...perché non sono potuta andare da lui? Perché non l'ho mai conosciuto?- chiedo con un filo di voce.
Per la prima volta,Watts mi rivolge uno sguardo compassionevole:-Allison, tuo padre ti ha abbandonata appena sei nata, non voleva avere una figlia.-
Un senso di vuoto mi pervade tutto il corpo. Lo stomaco mi si attorciglia, il cuore batte velocemente:-Che...come...non è possibile.-
-Lo so, figliola...lo so- dice Watts mettendo una mano sulla mia spalla -Quell'uomo ha rovinato anche la _mia_ vita. Circa dieci anni fa, ero uno scienziato quasi famoso, nella mia cittá. Stavo per avere la vita che avevo sempre desiderato, facendo il lavoro che amavo, ma poi é arrivato lui- indica con un cenno del capo il monitor -E mi ha portato via lo studio, la fama, mi ha portato via _tutto_. Soltanto perché l'edificio in cui lavoravo doveva essere demolito per costruire un'altra delle sue industrie-.
Parla con una tale rabbia e sinceritá che la rabbia che provo per lui si affievolisce.
-Ma poi sei arrivata tu- riprende, sorridendo:-Un dono del cielo, che tuo padre, l'uomo che ha rovinato la mia carriera, ha rifiutato. Ho capito che mettendo insieme le nostre forze avremmo potuto vendicarci, fargliela pagare.-
Mi passa una mano sulla testa:-Che ne dici? Ci stai?-
Sto per rifiutare, quando improvvisamente una stranissima sensazione mi pervade il corpo. Rabbia. Non verso Watts. Ma verso quel mostro di mio padre. Che ha abbandonato me e mia madre. Sí, volevo fargliela pagare.
-Come si chiama?- chiedo continuando a guardare il monitor.
Watts sorride, leggendo la sete di vendetta nella mai voce:-Tony Stark-
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~THE DAUGHTER~
FanfictionDal capitolo 1, buona lettura --- Il mio nome è Allison. Ho quindici anni, o almeno credo. Non ricordo niente della mia vita, a parte quella degli ultimi dodici mesi, otto giorni e sedici ore. Il mio aspetto? Ah, non sapete quanto vorrei avere le in...