Allison PoV
Mi alzo dal letto e mi incammino velocemente verso lo studio di Watts. Prima di entrare, busso tre volte. Sento la voce dello scienziato aldilà della porta che acconsente la mia entrata, così abbasso la maniglia e entro nello studio.
Watts è seduto sulla sua sedia di pelle, chino su un mucchio di fogli e un computer. Ad occupare la maggior parte della superficie del tavolo è presente una specie di mappa enorme di una specie di palazzo. Mi avvicino alla mappa e la studio in silenzio, cercando di capire se riesco a collegarla a qualcuno degli scarsi ricordi che ho della città, ma non riesco. Watts alza il capo dal suo computer e mi guarda:-Quella è la mappa della Avengers Tower-
Distolgo lo sguardo dall'enorme carta e lo sposto su Watts, guardandolo come se avesse appena parlato un'altra lingua:-La _cosa?_ - Perché la torre di mio padre dovrebbe chiamarsi "Torre dei Vendicatori"?
Lui gira il computer portatile di centottanta gradi, in modo che io possa vederne lo schermo. L'immagine mostra un'enorme palazzo, composto da materiale bianco e vetrate azzurro mare. Dalla parte alta del fianco destro della torre, sporge una piattaforma, il cui scopo è probabilmente accogliere e rilasciare elicotteri. Sulla parte frontale del palazzo, sulla stessa linea della piattaforma per elicotteri, è presente una specie di simbolo. Una A azzurra, circondata da un cerchio in metallo bianco illuminato. La A di "Avengers", immagino.
Alzo lo sguardo e incontro quello di Watts:-Che cosa sono gli Avengers? E perché sono cosí importanti per mio padre?-
Lo scienziato mi liquida con un gesto della mano e abbassa lo schermo del computer, chiudendolo:-Non è importante, figliola-
Prima che io possa ribattere, Watts chiede:-Vuoi entrare in quella torre o no?-
Annuisco, senza trovare delle parole.
-Perfetto- dice allora lui -Quindi non ti serve sapere degli Avengers-
Sono confusa, ma questa non è una novità, perciò torno a guardare la mappa della Avengers Tower:-Allora, come faccio ad entrare senza che i tirapiedi di mio padre mi scoprino?-
Watts indica la piattaforma per gli elicotteri disegnata sulla mappa:-Dovrai passare da qui-
-Ma non abbiamo un elicottero e a quanto ne so non so volare- rispondo io.
-Beh, in realtà...-
- Posso _volare?!_ - chiedo sbarrando gli occhi.
Watts aggrotta le sopracciglia:- _Che?_ No, no,no. I miei sieri non fanno miracoli, Allison!- si sposta verso la porta e la apre, fermandosi:-Peró abbiamo un elicottero- un sorriso gli si forma in volto -E anche alcune armi-
---
-Hai indossato l'auricolare?- mi chiede Watts dal sedile del pilota.
-Sí- rispondo, allacciandomi la cintura di sicurezza -Me l'hai chiesto almeno tre volte-
Un silenzio cade sull'elicottero, poi Watts parla-Devo essere sicuro che tuo padre non ti corrompa-
Mi giro verso di lui, ma tutto quello che vedo è il suo sedile e il paesaggio che muta attraverso il vetro. La luce solare mi fa male agli occhi, dopo nove anni passati all'interno di un sotterraneo, ma nonostante questo tengo gli occhi fissi sull'enorme finestra. Sto per addormentarmi, quando la voce di Watts annuncia che siamo vicini alla nostra meta. Mi alzo dal mio sedile slacciando la cintura e mi dirigo ai posti di pilotaggio, mettendo una mano su ognuno dei due sedili per tenermi in equilibrio. Finalmente la Avengers Tower si fa vedere, e io estraggo la benda nera dalla tasca posteriore dei pantaloni. Me la avvolgo davanti alla bocca e al naso e la fermo con un nodo dietro alla testa, mantenendola abbastanza larga in modo che io possa respirare. Mi alzo il cappuccio sopra alla testa e mi avvicino alla porta di lancio dell'elicottero. Watts ferma il veicolo davanti alla piattaforma di lancio della torre e si gira a guardarmi:-Buon fortuna, Allison. Ricorda _tutto_ quello che ti ho detto-
Non mi aspettavo un saluto provvisto di lacrime e abbracci, certo...ma mi sento leggermente sorpresa quando vedo che Watts gira subito il capo verso i comandi e senza esitare apre subito lo sportello di lancio:-Veloce, salta. Altrimenti ci scopriranno- dice soltanto.
Senza sprecare un attimo di più, salto.
Atterro in piedi sulla piattaforma, per poi eseguire un rotolamento frontale per ristabilire l'equilibrio. Mi giro un istante verso l'elicottero, che si sta già allontanando velocemente dalla torre.
-Sono atterrata- comunico a Watts premendo un tasto sul mio auricolare. In risposta, ricevo un "procedi" da parte dello scienziato.
Mi addentro nell'edificio con una leggera corsetta, mantenendomi accostata alla parete sinistra, seguendo i consigli che Watts mi aveva dato la mattina. Arrivo ad una sporgenza interna della parete, così mi nascondo dietro ad essa, prendendo in mano la pistola e caricandola. Faccio capolino con la testa da dietro la sporgenza e osservo il corridoio che mi ritrovo davanti. Su ognuna delle due pareti, si trovano numerose porte scorrevoli, ognuna alla stessa distanza di circa cinque metri l'una dall'altra.
Sto per uscire allo scoperto e cercare lo studio di mio padre, quando vedo una delle porte della parete di destra aprirsi automaticamente, senza fare nemmeno un rumore. D'istinto mi nascondo di nuovo dietro alla sporgenza, poi torno a guardare. Una donna sta attraversando il corridoio: è alta, magra e i capelli biondi legati in una coda alta. É vestita come se lavorasse in un uffico. Una gonna piuttosto attillata turchese fino alle ginocchia e una giacca dello stesso colore sopra ad una camicia bianca. Tiene in una mano una cartelletta trasparente azzurra con dei fogli stampati al suo interno. Attraverso la plastica azzurra riesco a scorgere una sola parola, scritta in grande e in grassetto. Di nuovo quella parola...Avengers. La donna cammina fino ad una delle porte della parete di sinistra e bussa un paio di volte.
Pochi attimi di silenzio, poi una risposta arriva da dietro la porta. È una voce maschile:-Thor, ti ho già detto che tutte le bottiglie di birra sono finite. Sto lavorando.-
La donna aggrotta le sopracciglia in confusione, poi avvicina il viso alla porta:-Mi spiace deluderti, Tony, ma non sono un dio del tuono alcolizzato-
_Tony_ . Quindi era quella la voce di mio padre.
Stringo la mascella per respingere l'istinto di sfondare quella maledetta porta e andare da mio padre a fare quattro chiacchere.
-Oh, Pepper, perdonami- esclama mio padre, prima che la donna entri nella stanza. Attendo che la donna esca.
Quando finalmente la vedo allontanarsi nel corridoio, mi avvicino alla porta, tenendo la mano stretta attorno al calcio della pistola. Traggo un respiro profondo e mi fermo davanti alla porta, bussando una volta, i pugni così stretti che mi fanno quasi male.
La voce carica di sarcasmo di mio padre giunge a me come un pugno nello stomaco:-Oh, che fatica essere popolare...avanti un altro!-
La porta si apre davanti ai miei occhi. Pronto ad accogliermi uno studio super tecnologico, dotato di librerie illuminate con luci a led azzurre brillante e mobili di vetro immacolato. Una scrivania di vetro e metallo bianco è posta davanti ad un'enorme vetrata che da sulla città. Dietro al tavolo è seduto _lui_ . È esattamente come Watts me lo aveva presentato sul suo schermo: un tipico uomo miliardario americano. Mi ero immaginata di entrare nel suo ufficio e sbattere i pugni sul suo tavolo, urlandogli insulti in faccia...ma arrivata lì, di fronte all'uomo che aveva abbandonato me e mia madre, rimango pietrificata. Lui continua a mantenere gli occhi sul suo computer portatile dell'ultimo modello, fino a quando passano venti secondi senza che io dica qualcosa. Alza lo sguardo e incontra il mio. I suoi occhi mi mettono soggezione, mi fanno sentire _debole_ . Che cosa diamine mi sta succedendo? Devo fargliera pagare per quello che mi ha fatto.
Apre la bocca per dire qualcosa, ma io lo precedo, avanzando di un passo verso la sua scrivania:-17 luglio 2009- il mio tono é debole, titubante.
Lui chiude la bocca, confuso.
-Peach Avenue- continuo, a denti stretti.
Tony Stark continua a guardarmi negli occhi, forse cercando di capire se fossi impazzita.
Faccio un respiro tremante e chiudo un istante gli occhi, poi continuo a parlare:-Frattura a sei costole, rottura di anca e femore sinistro.- mentre descrivo i danni che mia madre subí durante l'incidente, il mio tono si fa più sicuro e mi avvicino sempre di piú a mio padre. Arrivo così vicino alla scrivania da poter toccarne la superficie con le braccia:-Decesso decretato dopo sei ore di coma in ospedale-
Il suo sguardo è ancora fisso nel mio, ma la sua espressione sta mutando, anche se non capisco in cosa.
-Si chiamava Evelyn White- concludo con gli occhi che mi bruciano.
Non capisco se sono io che sto per scoppiare a piangere, ma noto che i suoi occhi diventano più lucidi quando pronuncio il nome di mia madre.
Deglutisce a fatica e si alza dalla sua sedia girevole:-Come conosci quella donna? E come sai del suo incidente?-
Non riesco a fare a meno di scoppiare in una risata piuttosto isterica:-So dell'incidente di quella povera donna perché in quella maledetta macchina c'ero anch'io-
Questo lo zittisce, mentre fa passare lo sguardo su di me, con gli occhi spalancati ora chiaramente carichi di lacrime.
Sento il mio auricolare vibrare nel mio orecchio, seguito dalla voce di Watts: "Che stai facendo, Allison? Vendicaci! Fagliela pagare!". La pistola è nella mia tasca posteriore, ma l'idea di usarla ora mi è lontana. Voglio farlo soffrire come lui ha fatto soffrire me e mia madre, e per quel tipo di dolore non serve la violenza fisica. Afferro la pistola, facendo sobbalzare in sorpresa il miliardario, poi la faccio cadere a terra e la spingo con un calcio, facendola scivolare davanti ai suoi piedi.
-Perché non hai ancora chiamato la sicurezza?- chiedo in tono freddo. Lui guarda scioccato la pistola ai suoi piedi, incapace di muoversi, poi riposa lo sguardo su di me:- Perché hai detto di essere vittima dell'incidente che ha ucciso Evelyn. Chi...chi sei?-
Non dico niente, ma rispondo comunque alla sua domanda. Mi porto le mani alla testa e levo il cappuccio, rivelando la mia coda di cavallo. Senza interrompere il contatto visivo, tolgo lentamente anche la benda dal viso, facendola cadere sul mio collo. Un velo di lacrime ricopre completamente la superficie dei suoi occhi, mentre apre e chiude la bocca incampace di dire nulla. Il mio tono diventa duro, amaro:-Piacere di conoscerla, signore. Io sono Allison Stark-
-Allison Stark- ripete mio padre, la voce piegata in una strana intonazione -Nata il 18 giugno 2003, da Evelyn White ed Anthony Stark.-
Il mio stomaco si contrae in un insieme di rabbia e tristezza. Conosce perfino la mia data di nascita a memoria, a distanza di quindici anni, ma mi ha comunque abbandonata.
Si sposta da dietro la scrivania e mi fronteggia, rimanendo a pochi centimetri di distanza da me. Studia il mio viso e continua a parlare:-Mia figlia aveva soltanto sei anni quando é stata dichiarata dispersa dopo un incidente a bordo di una Audi rossa, insieme a mia moglie. Decine di uomini l'hanno cercata in ogni dove, ma dopo tre anni tutti hanno perso la speranza.- La sua voce si incrina -Allison Stark venne considerata morta.-
Il respiro mi muore in gola, incapace di continuare il suo normale corso:-Che cosa?- chiedo in un sussurro,
Mio padre mi mette una mano sulla spalla, e io mi irrigidisco completamente a quel contatto. Sento Watts sbraitare parole nel mio orecchio, ordinandomi di restare concentrata sulla missione e di non farmi corrompere dalle parole di mio padre. Ma non riesco a fare nulla. Le sue labbra tremano terribilmente mentre parla:-Che cosa ti è successo?-
Non riesco a rispondere, non riesco a fare nulla. Non sento più la voce di Watts nel mio auricolare e penso abbia interrotto il collegamento. Ma non mi importa. È vero quello che ha appena detto mio padre? Mio padre mi ha davvero _cercata_ dopo l'incidente?
No, non può essere. Watts ha detto che mi ha abbandonata. Watts ha detto che Tony Stark è un uomo crudele e manipolatore. E io credo a Watts.
Tolgo la mano di mio padre dalla di anca e femore sinistro.- mentre descrivo i danni che mia madre subí durante l'incidente, il mio tono si fa più sicuro e mi avvicino sempre di piú a mio padre. Arrivo così vicino alla scrivania da poter toccarne la superficie con le braccia:-Decesso decretato dopo sei ore di coma in ospedale-
Il suo sguardo è ancora fisso nel mio, ma la sua espressione sta mutando, anche se non capisco in cosa.
-Si chiamava Evelyn White- concludo con gli occhi che mi bruciano.
Non capisco se sono io che sto per scoppiare a piangere, ma noto che i suoi occhi diventano più lucidi quando pronuncio il nome di mia madre.
Deglutisce a fatica e si alza dalla sua sedia girevole:-Come conosci quella donna? E come sai del suo incidente?-
Non riesco a fare a meno di scoppiare in una risata piuttosto isterica:-So dell'incidente di quella povera donna perché in quella maledetta macchina c'ero anch'io-
Questo lo zittisce, mentre fa passare lo sguardo su di me, con gli occhi spalancati ora chiaramente carichi di lacrime.
Sento il mio auricolare vibrare nel mio orecchio, seguito dalla voce di Watts: "Che stai facendo, Allison? Vendicaci! Fagliela pagare!". La pistola è nella mia tasca posteriore, ma l'idea di usarla ora mi è lontana. Voglio farlo soffrire come lui ha fatto soffrire me e mia madre, e per quel tipo di dolore non serve la violenza fisica.
-Perché non hai ancora chiamato la sicurezza?- chiedo in tono freddo.
-Perché hai detto di essere vittima dell'incidente che ha ucciso Evelyn. Chi...chi sei?-
Non dico niente, ma rispondo comunque alla sua domanda. Mi porto le mani alla testa e levo il cappuccio, rivelando la mia coda di cavallo. Senza interrompere il contatto visivo, tolgo lentamente anche la benda dal viso, facendola cadere sul mio collo. Un velo di lacrime ricopre completamente la superficie dei suoi occhi, mentre apre e chiude la bocca incampace di dire nulla. Il mio tono diventa duro, amaro:-Piacere di conoscerla, signore. Io sono Allison Stark-
-Allison Stark- ripete mio padre, la voce piegata in una strana intonazione -Nata il 18 giugno 2003, da Evelyn White ed Anthony Stark.-
Il mio stomaco si contrae in un insieme di rabbia e tristezza. Conosce perfino la mia data di nascita a memoria, a distanza di quindici anni, ma mi ha comunque abbandonata.
Si sposta da dietro la scrivania e mi fronteggia, rimanendo a pochi centimetri di distanza da me. Studia il mio viso e continua a parlare:-Mia figlia aveva soltanto sei anni quando é stata dichiarata dispersa dopo un incidente a bordo di una Audi rossa, insieme a mia moglie. Decine di uomini l'hanno cercata in ogni dove, ma dopo tre anni tutti hanno perso la speranza.- La sua voce si incrina -Allison Stark venne considerata morta.-
Il respiro mi muore in gola, incapace di continuare il suo normale corso:-Che cosa?- chiedo in un sussurro,
Mio padre mi mette una mano sulla spalla, e io mi irrigidisco completamente a quel contatto. Sento Watts sbraitare parole nel mio orecchio, ordinandomi di restare concentrata sulla missione e di non farmi corrompere dalle parole di mio padre. Ma non riesco a fare nulla. Le sue labbra tremano terribilmente mentre parla:-Che cosa ti è successo?-
Non riesco a rispondere, non riesco a fare nulla. Non sento più la voce di Watts nel mio auricolare e penso abbia interrotto il collegamento. Ma non mi importa. È vero quello che ha appena detto mio padre? Mio padre mi ha davvero _cercata_ dopo l'incidente?
No, non può essere. Watts ha detto che mi ha abbandonata. Watts ha detto che Tony Stark è un uomo crudele e manipolatore. E io credo a Watts.
Tolgo la mano di mio padre dalla mia spalla e lo guardo dritto negli occhi:-Tu ci hai abbandonate. Hai abbandonato mia madre e me quando sono nata- il mio tono si alza, fino a quando arrivo ad urlargli in faccia -Tu non mi hai mai voluto!-
Lui scuote la testa, in preda alla confusione:-No, no, no. Che stai dicendo, Allison. Non vi ho _mai_ abbandonate!-
Le parole di Watts sono l'unica cosa a cui riesco a credere. Non devo credergli, non devo farmi corrompere. Perciò mi abbasso velocemente, afferro la pistola fra le mani e la punto sulla fronte di Tony Stark. Non sento la voce di Watts nell'auricolare,ma è come se fosse nella mia testa "Premi il grilletto, Allison. È quello che vuoi, lo sai".
STAI LEGGENDO
~THE DAUGHTER~
FanfictionDal capitolo 1, buona lettura --- Il mio nome è Allison. Ho quindici anni, o almeno credo. Non ricordo niente della mia vita, a parte quella degli ultimi dodici mesi, otto giorni e sedici ore. Il mio aspetto? Ah, non sapete quanto vorrei avere le in...