Capitolo 08

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Lo specchio mi somiglia sempre meno. Una mano sarebbe troppa per contare le ore di sonno che porto sotto gli occhi.
Fortunatamente oggi non lavoro. Questo riposo capita proprio al momento giusto.
Mi rado, non lo facevo da giorni. Infilo robe corte e comode, fa ancora troppo caldo per il jeans. Pantalone di cotone tipo tuta, grigio, a tre quarti sul polpaccio. Maglietta elastica, nera. Aderente che mi risalta le spalle, unico pregio della mia scadente corporeità. Assieme a un discreto lato B.
Cerco le scarpe nell'armadio a muro vicino la porta d'ingresso. Nascosto dall'anta, sbircio a destra verso la cucina.

Laura mostra il suo profilo, mentre lava i piatti. Fischietta qualcosa, una canzone che non conosco. Malinconica.
Devo andarmene subito. Mi contagerebbe e non ho voglia di stare ancora più giù di così.

Scarpe. Lacci già pronti, devo solo infilarle. Detesto fare i nodi alle stringhe per questo le sfilo e reinfilo senza slacciarle.
Chiavi. Portafogli.
Non mi resta che salutare Laura. Un rituale da cui non sono ancora riuscito a divorziare. Ogni scusa era buona per strapparle un bacio sulle labbra. E lei me ne dispensava sempre, anche alla millesima richiesta. Si lamentava, ma non diceva mai di no.
Ma le sue labbra non mi appartengono più, ormai. Perciò punto direttamente altrove, per non farmi del male. Perché è uno strazio cercare labbra e trovare al loro posto fronte o guancia.

«Beh, io esco un po'...»
Mi guarda solo un secondo, per annuire e tornare ai suoi pensieri. Al suo "na na na" che non so cosa sia. Ai suoi importantissimi e insidacabili piatti. Neanche mi chiede dove stia andando, figuriamoci di venire con me.

Ma perché continuiamo a trascinarci così? Siamo incatenati ma viaggiamo in direzioni opposte. Tirare ci fa soltanto del male. Eppure né lei né io siamo capaci di spezzare questo legame, questa catena inesistente fatta di anelli e apparenza, di obblighi morali e silenzi, di promesse che hanno lo stesso peso specifico del niente elevato al quadrato.

Mi dirigo alla porta. La apro ma poi la chiudo. No, in realtà l'ho sbattuta. E anche piuttosto forte.
Mi fissa, lo vedo con la coda dell'occhio. Mi volto verso di lei, fronteggiando quel suo sguardo a metà. Che vuole dire "ti sei bevuto il cervello?".

L'affronto, sperando in una resa dei conti.
«Ieri sono rientrato a mezzanotte...» e il mio tono lascia intendere più di ciò che ho detto. In realtà non è vero, ma lei si addormenta spesso prima del mio rientro quindi, sebbene sia una balla, è una balla plausibile.
L'iniziale sorpresa viene spazzata via dalla sua solita indifferenza.
«Buon per te. Spero ne sia valsa la pena...»
Riesce ad avvelenarmi con poche parole. È un dono maledetto.

«Purtroppo no...»
«Mi dispiace per te.» dice, strofinandosi le mani s'un canovaccio. «Riprova, magari sarai più fortunato.»
«Ma se non t'interesso più, mi dici che cazzo ci stai a fare ancora qui?» le urlo.

I suoi occhi diventano severi. Almeno sono riuscito a scrostare via quella dannata indifferenza. Non risponde però, con il canovaccio prende ad asciugare pentole e posate.
Basta, non riesco a sopportare oltre. Non si riesce più nemmeno a fare una litigata soddisfacente. Apro la porta ma lei mi blocca con un «Sai...».
Mi fermo, ma non la guardo. Stringo la maniglia fino a stritolarla. Ci scarico sopra tutta la frustrazione che m'attanaglia la vita. Non fosse d'ottone pieno l'avrei spaccata sicuramente.
«Mi faccio ogni giorno la stessa domanda.»

Esco. Sbattendo ancora una volta la porta.

*

Via Liguria è popolata. Di gente, di auto, di odori e rumori. È viva. Scorre veloce e io l'osservo mentre lava le vetrine di una gioielleria, gioca con un cane nella piazzetta, sforna pane e focacce. Gente che va, che viene, che corre in ritardo o passeggia spensierata.
La guardo da fuori. Io non faccio parte di questo ordinario miracolo.
Una coppietta attira la mia attenzione. Ragazzini. Che si tengono per mano. Lui le dice qualcosa all'orecchio, lei si volta imbarazzata e paonazza. La lascia sul marciapiede, correndo verso di me. Verso il negozio accanto a me. Un fioraio. Lo seguo con lo sguardo.
Parla ma non riesco a capire cosa stia dicendo. Credo abbia chiesto il prezzo di una rosa, le ha indicate. Si guarda nelle tasche, conta ripetutamente qualche spicciolo e poi s'affligge. Evidentemente non ha abbastanza soldi per pagarla.
Prova a uscire ma lo fermo sull'uscio. Gli faccio un cenno e lo riporto dentro. Mi segue perplesso, disorientato. Dico al fioraio di dargli ciò che ha chiesto.
Il ragazzino esita, mi dice che non può accettare ma non lo ascolto e pago al posto suo.
Gli parlo.
«Quei soldi non avevano valore. Almeno fino a questo momento.»
Gli sorrido e vado via. Spero che giochi bene le sue carte. O per lo meno meglio di come io abbia giocato le mie.

Proseguo distratto. Mani che tengo ferme nelle tasche, che urlano e vorrebbero spaccare il mondo. Non sono ancora riuscito a sbollentare del tutto la rabbia, sebbene la vista di quei due ragazzini mi abbia sollevato un po'.
Cerco un pensiero che mi distragga. Qualcosa per cui valga la pena di pensare. Mi torna in mente lei, ciò che mi ha detto ieri.

Diari. Rivista. Edicola.

D'improvviso so cosa devo cercare.
Più avanti c'è Pietro e la sua cara vecchia "Non solo giornali". Gli sto simpatico perché sono l'unico a comprargli i fumetti che solitamente se ne stanno esiliati in un angolo, a prendere polvere. Poveretto, non sa minimamente di quali tesori abbia depredato il suo caveau. Regina dei gioielli è una prima stampa de "L'alba dei morti viventi", in ottime condizioni. La teneva lì dal lontano '86, adesso sta appeso in un quadro nel mio studio. Pagato a prezzo di copertina, un affare clamoroso.
Mi saluta non appena varco la porta.

«Ciao, Pietro» ricambio.
«Ancora fumetti, Edo?» mi fa, con quella sua voce piccola e stridula dietro due baffetti da SS.
«No, oggi no. Oggi ho una richiesta particolare per te...»

Mi ascolta incuriosito.

«Riviste di viaggi» gli dico.
«Mmh, certo. Di qua» fa strada, sul lato destro del negozio. Lo seguo.
«Ne cerchi una in particolare?»
«No.»
«Capisco. Stai organizzando un viaggio?»
«Qualcosa del genere...»

Ne prende una a caso. Me la mostra, come stesse cercando di vendermela a tutti i costi. Non sa che quella rivista è già mia.

«È l'unica che hai?» chiedo.

Mi squadra perplesso. Ha frainteso. Confuso domanda con delusione.

«Comunque no, ne ho altre. Vuoi vederle?»
«Sì, grazie.»

In tutto sono cinque, compresa la prima che mi ha mostrato. Sono settimanali, non costano troppo. La spesa è fattibile.

«Allora, quale vuoi?»

Gli sorrido, raggruppandole.
«Le prendo tutte!»

Take On Me [Completa - In Perpetua Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora