Capitolo 14

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Devo lasciarla andare io, per primo. Perché credo che lei potrebbe stringere in eterno. E, sebbene l'idea possa sembrare allettante, non credo che rimanere tre giorni così sia il modo migliore di spenderli.

«Come hai fatto?» le chiedo.
«A fare cosa?»
«Ad arrivarmi alla spalle così, di soppiatto e senza che me ne accorgessi.»
«Ti ho visto dal treno. Mi sono mescolata alla folla e... ho fatto il giro lungo, dietro le colonne.»
«Mi hai fatto prendere un colpo, sai? Credevo che...»

Ride maliziosa.
«L'intento era proprio quello. Ma hai reagito bene, hai guadagnato punti.»

Raccoglie un grosso borsone ai suoi piedi e sono tentato di portarlo al posto suo, ma ho come l'impressione che non gradirebbe il gesto. Ha l'aria di una donna indipendente, di quelle che traviserebbero una gentilezza disinteressata con un'offesa personale.

«Allora...»
Fa una pausa per caricare il bagaglio sulla spalla sinistra. Un gesto naturale, da sportiva. Poi riprende.
«Dove mi porti?»
«Dipende...» ammicco, provocandole curiosità.
Mi faccio seguire fino al parcheggio antistante la stazione, dove ci attende la mia umile e sgargiante carrozza: una Punto che manco quand'era nuova brillava così. L'ho tirata più al lucido del solito, per l'occasione.

«Hai fame?»
«Mmh, un po'.»
«Gusti particolari?»
«No. Sorprendimi.»
«Facciamo che ti sorprendo stasera. E per adesso arrangiamo qualcosa ontheroad. Che dici?»
Le apro lo sportello. Esagero l'inchino, rendendo il gesto più ridicolo che galante, per il motivo di cui prima.
Risponde d'irriverente riverenza, appena accennata con un gesto del capo e mezzo sorriso.
«E sia.»

*

Lasciamo auto e bagaglio dopo qualche chilometro, sulla via del lungomare.
Un trancio di focaccia pugliese e una birra, a testa, per far passare la paura. Fa molto camionisti ed è bello così, senza inutili fronzoli e banali formalità.

L'estate appartiene già ai ricordi, perciò è piacevole crogiolarsi con il sole di un futuro tramonto sul viso.
L'ho notato, lei mi guarda spesso. Il posto le piace ma io sembro incuriosirla di più.
Ogni tanto tira fuori un blocchetto ad anelli, piccolo che sta in un palmo. E ci scrive forsennatamente, come volesse concentrare tutto un mare in una goccia. Imbraccio uno scudo ogni volta che lo fa contro la lama della curiosità, ma vinco facile: i misteri mi affascinano più delle scoperte. Sono strano e un po' lo è anche lei, forse è per questo motivo che avverto una profonda affinità tra noi. Io non chiedo e lei non risponde ma è bello uguale, come lo facessimo.

Lei però è più curiosa e si lascia vincere. Lo vede il segno sulla mia mano sinistra, poggiata alla ringhiera che guarda i due marinai di ferro. Ci mette una punta di malizia, nella domanda, e un'overdose di provocazione.
«L'hai tolta per l'occasione?»

Distolgo lo sguardo, gettandolo tra le increspature spumose di Mar Grande.
«No, non la porto più da qualche giorno. È stata una liberazione, ormai non era altro che l'ultimo anello rimasto di una catena rotta.»
«Capisco.»
Ribalto, solo per questa volta.
«E tu? La fede non ce l'hai, ma c'è qualcuno nella tua vita?»
«Sei geloso?» ride.
«Forse...»
L'ingannatrice. La prestigiatrice. Riesce a distogliermi dalla domanda, schivandola con una ilare e dentata piroetta. Ride di più e io non resisto.

«Allora, parliamo di cose serie. Bello quello, cos'è?»
Indica l'altra sponda del canale navigabile, a un centinaio di metri in linea d'aria.
«Il Castello Aragonese. Oggi è chiuso, ti ci porto domani, se vuoi.»
Annuisce.
«C'è molta storia, in questa città...»
«Sì, tanta. Ma solo per chi riesce a vederla. Come per la bellezza, d'altronde.»

Scosta una ciocca dal viso, messa fuori posto dal vento, e la porta dietro l'orecchio. Un piccolo acchiappasogni, puntato sul lobo destro, fa capolino sotto i suoi capelli.
Lo indico.
«Ne cattura molti?»
Lo sfiora con una mano, come si fosse ricordata solo in quel momento d'indossarlo.
«Sì, ma solo i più belli.»
«E come sono i tuoi sogni più belli?»

Strizza l'occhio, mentre un non te lo dico si colora tra le sue labbra.

Inizia a camminare sulla via del lungomare, allontanandosi dal Corso. La raggiungo in tre passi, mani nelle tasche e testa persa tra i pensieri.

È strano stare qui con lei. Fisicamente, intendo. Sentire l'intonazione delle sue parole, finora soltanto immaginata. Così come per l'espressioni del suo viso. Non è un mistero svelato, lei resta un arcano tutt'altro che risolto, è solo e semplicemente... diverso. E bello.

Passo dopo passo, ci avviciniano a una imponente struttura di mattoni rossi che attira nuovamente la sua curiosità.
«Uh, bellissimo questo! Cos'è?»
«È il Palazzo del Governo. L'ultimo anelito di architettura artistica della città.»
«Dimmi di più.»
«Beh, non sono un grande esperto in materia. Posso dirti che risale all'epoca fascista, costruito durante gli anni d'oro. È alto circa sei piani ed è un labirinto di stanze enormi. Oggi è sede della questura e del prefetto. Non so altro, mi spiace...» mi gratto la testa, imbarazzato dalla mia ignoranza.

Lei però sembra meno delusa del previsto.
«Conosco miei concittadini che della nostra città non sanno proprio nulla, quindi non sentirti così. Rispetto a loro, sei s'un altro livello.»

Strizza l'occhio e un po' mi sento rincuorato. Rimane il fatto che, se mi fossi preparato meglio, avrei potuto fare una migliore figura.
«Si può visitare?»
«Sì, ma bisogna prenotare. La prossima volta che verrai mi organizzerò meglio, promesso.»

Mi lancia ancora quel suo sguardo malizioso, spingendo l'acceleratore della provocazione sulle profondità dei suoi occhi.
«E chi ti dice che ci tornerò?»
Sto al gioco, per vedere e gustarmi la sua reazione. Questa volta dal vivo.
«Non ho alcun dubbio che lo farai.»
«E cosa ti da tutta questa sicurezza?»
«So mancare. Ho anche io i miei trucchi...»

Il suo sguardo aumenta d'intensità e profondità. Mi sfida, con la tremenda potenza della dolcezza. S'avvicina e la distanza s'accorcia, sento il calore del suo respiro a un soffio da me. La tentazione di azzerarla, quella distanza, è spaventosa e resistere mi costa ogni grammo di volontà presente all'interno del mio corpo. E anche quella che non c'è e che mi tocca inventare.

Non ho alcuna esperienza in questo genere di cose. Laura è stata la prima e l'unica donna nella mia vita, questa scena mi coglie totalmente impreparato. Non so se questo è il momento giusto, se sia proprio giusta l'esistenza di questo momento. Se lo vuole pure lei, se aspetta che sia io a fare la prima mossa oppure se sto semplicemente fraintendendo tutto.

Dice qualcosa, sempre quel suo tono caldo e suadente. A metà tra il sibilo di un serpente e le fusa di un gatto.
«Sì, ne sono sicura...»

Poi ride e se ne va. Correndo. Si volta, solo per richiamarmi con un gesto della mano. E la raggiungo ma non so come.

Perché sì, le gambe si muovono ma il cuore l'ho lasciato per terra.
Sciolto. Come un gelato al sole.

Take On Me [Completa - In Perpetua Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora