Capitolo 10

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Le giornate a Firenze erano letteralmente volate tra passeggiate in centro, musei, merende ipercaloriche, vecchi amici e famiglia.

Le mie ferie si erano concluse e mi trovavo sulla soglia di casa pronta per salutare la mia famiglia che probabilmente per qualche mese non avrei rivisto. Sarei rientrata a lavoro il giorno successivo, ma avevo deciso di tornare a Torino il giorno stesso per un motivo più che valido.

«Chiamami appena arrivi a Torino Ok? Sei sicura di non volerti fermare ancora stasera e ripartire con calma domani mattina?» Mia madre come al solito ne stava facendo una tragedia.

«No mamma tranquilla vado oggi così mi sistemo con calma per domani, non mi piace far tutto di corsa.» 

Se la mia pessima bugia aveva tranquillizzato mia madre che si era limitata ad annuire e sorridere, mio padre e mio fratello non se l'erano sicuramente bevuta e mi stavano guardando da dietro la porta come se avessi detto chissà quale stronzata.

Li guardai malissimo invitandoli a stare zitti.

«Beh rompipalle in ogni caso noi ci vediamo tra una settimana, papà mi ha regalato i biglietti per juve -cagliari, veniamo all'allianz.» Annunciò subito mio fratello con un sorrisetto emozionato.

Sorriso che si spense non appena mio padre si voltò con la chiara intenzione di strozzarlo.

«Mi sembrava di parlare italiano quando ti ho detto che doveva essere una sorpresa e non dovevi dire niente a tua sorella.» Lo fulminò subito.

«Piantatela voi due, Emily se ne sta andando salutatela almeno come si deve.»  Li riprese subito mia madre avvicinandosi a me per sistemarmi la sciarpa  «Ti voglio bene tesoro, buon viaggio.» Disse a bassa voce abbracciandomi.

Contrariamente a quanto immaginavo anche i due uomini di casa sembravano seriamente dispiaciuti per la mia partenza.

Matteo mi passò le valigie con un sorriso timido che non si addiceva assolutamente ai modi estroversi e stronzi che usava di solito con me poi fu la volta di mio padre che mi prese in disparte, non amava salutarmi con tutti i convenevoli che usava mia madre, era un tipo più sbrigativo proprio come me.

«Mi racconterai chi è prima o poi?» mi chiese a bassa voce, poi senza aspettare la risposta mi baciò la guancia e si staccò velocemente.



Arrivai a Caselle nel primo pomeriggio, sentendomi felice e stranamente fortunata per aver potuto prendere l'auto di mio padre evitando il viaggio in treno. Lo avevo convinto a lasciarmela fino al loro arrivo a Torino,  promettendogli che l'avrei trattata come un gioiellino.

Parcheggiai l'auto senza troppa difficoltà e mi incamminai a passo spedito verso  la sala d'attesa dell'aeroporto. 

Mi sentivo buffa per essermi vestita con tuta e cappellino, un'abbigliamento totalmente insolito per una giornalista ma necessario per passare inosservata.

Erano decine i miei colleghi delle testate sportive appostati strategicamente in giro per riprendere l'arrivo di Paulo  e di altri giocatori juventini, che sarebbero atterrati quel giorno,dopo i ritiri con le rispettive nazionali e mi sentivo nervosa all'idea che avrebbero potuto vederci insieme.

Lo aspettai per circa mezz'ora e poi lo vidi.

Era circondato da talmente tante persone che pensai che probabilmente non mi avrebbe mai notata e si concesse pazientemente per qualche breve intervista senza perdere mai il sorriso, nonostante fosse visibilmente distrutto dal fuso orario.

Un gruppo rumoroso di persone più e meno giovani lo circondò con il chiaro intento di farsi fotografare o autografare magliette e lui non si tirò indietro scambiando qualche parola con tutti.

Abbassai gli occhiali da sole che indossavo per godermi meglio quella scena di affetto autentico tra lui e i suoi tifosi, il sorriso e lo sguardo che avevo soltanto immaginato per giorni interi non erano minimamente paragonabili a quelli che incontrai in quel momento.

I suoi occhi verdi e luminosi si incatenarono automaticamente ai miei lasciandoci per pochi attimi in un nostro universo parallelo ben distante dalla realtà rumorosa che ci circondava.

L'incantesimo fu spezzato poco dopo da una bimba che prese a tirarlo per la camicia bianca reclamando un po di attenzione, lui lasciò il mio sguardo per poter finire il lavoro e poi finalmente si avvicinò.

Tirai fuori un piccolo blocchetto che portavo sempre con me per via del lavoro e glielo porsi scoppiando a ridere «Potrei avere anche io un'autografo?» Chiesi a bassa voce.  

 «Certo, come ti chiami?» Rispose di getto reggendomi il gioco.

Le nostre mani si sfiorarono bisognose di quel breve contatto e la sensazione che provai mi fece immediatamente alzare lo sguardo verso di lui «Io sono Emily.» 

Non  lo avessi mai fatto.

Scarabocchiò velocemente qualcosa a cui non prestai particolare attenzione e poi si avvicinò al mio orecchio «Vai avanti tu e aspettami fuori, io arrivo tra poco.»

Uscii velocemente, ancora confusa da tutte quelle sensazioni, per riprendere  l'auto e mi accostai all'uscita secondaria dell'aeroporto, come mi era stato indicato da una persona dell'entourage di Paulo. 

Dopo pochi minuti come mi aveva promesso arrivò abbastanza trafelato e si fiondò in macchina.

«Finalmente» Sospirò buttandosi sul sedile, la voce che tanto mi era mancata leggermente velata da quel filo di stanchezza.

Non resistetti e il mio corpo come governato da qualche istinto totalmente primitivo e sconosciuto si sporse automaticamente verso il suo. Gli accarezzai una guancia e poi mi spinsi più vicina alle sue labbra sottili per lasciargli un casto bacio a stampo. 

«Ciao.» Risposi ricordandomi che non lo avevo neppure ancora salutato poi mi staccai da lui per riprendere la guida.

«Non ci provare proprio signorina.» Le sue mani mi trattennero delicatamente facendomi voltare di nuovo verso di lui ed il suo sorriso fu l'ultima cosa che memorizzai prima di chiudere gli occhi totalmente sopraffatta dalle sensazioni.

Le sue labbra si riappropriarono immediatamente della mia bocca come se da troppo tempo non desiderassero altro e la sua lingua si fuse immediatamente e prepotentemente con la mia.

Se il bacio di prima era casto questo era tutto.

Era la materializzazione di un bisogno che per troppi giorni era stato soltanto astratto.

Era un gioco pericoloso di mani che si sfioravano, bocche che si ritrovavano e respiri che che si scontravano.



Ragazzi non so per voi ma per me questo capitolo è una bombaaa!!

Fatemi sapere se vi è piaciuto non siate timidi e commentate, se vi va seguitemi su instagram come: _iriii96_

Vi voglio bene e vi mando un bacio grande!

Alla prossima!!











Come bianco e nero - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora