Capitolo 4

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«No mamma, non mi sono messa in testa nessuna dieta strana, semplicemente mi andava di mangiare soltanto un panino oggi, non preoccuparti. » Sospirai per l'ennesima volta nel giro di dieci minuti, chiedendomi come avessi potuto concepire di videochiamare a casa nell'unico momento di pace e tranquillità della giornata.

Era ormai una tradizione quella di sentire la mia famiglia durante la pausa pranzo, ma quel giorno Nora Martini ce la stava mettendo davvero tutta per farsi riattaccare il telefono in faccia.

«Non mi fido Emily, ti trovo davvero dimagrita sai? Dovresti tornare a casa, così potrei farti le lasagne che ti piacciono tanto.  Sai cos'ho sentito al telegiornale? Un gruppo di studiosi americani sostiene che lavorare troppo faccia male sopratutto alle giovani donne! Dovresti svagarti di più, esci ogni tanto?» Mia madre mi esaminava attraverso lo schermo con apprensione, come se da un momento all'altro dovessero spuntarmi quattro teste.

Oddio, eccoli gli studiosi americani, come potevano mancare, per mia madre erano una specie di guru universale. Questi soggetti  a me ancora sconosciuti, secondo lei erano in grado di rispondere a qualsiasi problema attanagliasse la specie umana,  li infilava davvero dappertutto e la cosa era quasi comica. 

Si mamma esco non preoccuparti, ora per esempio ci sto uscendo di testa mi limitai a pensare.

«Stronzate Nora, nessuno di quei sapientoni americani mi aveva avvisato che non avrei dovuto sposarti e quindi ora mi tocca sopportarti.» Non dovetti aspettare molto per vedere il sorriso bonario di mio padre sullo schermo che armeggiava maledicendo il giorno in cui erano stati inventati i telefoni.

«Ciao papà!» Salutai con entusiasmo.

«Amore di papà devi tornare presto a casa sai? Io ti vedo male attraverso questo coso e non ti posso abbracciare.» Mi rivolse un enorme sorriso che ricambiai trattenendo le lacrime. Mi mancavano così tanto anche loro.

Nonostante vivessi a Torino da ormai sette anni tra l'università e il lavoro, Firenze mi mancava come l'aria, ci andavo appena potevo ma non bastava mai.

«Anche voi mancate tanto, però tu la mamma e Matteo ve la cavate alla grande senza di me e poi se avete qualche problema sicuramente qualche studioso americano troverà la soluzione.» Sentenziai trattenendo una risata. Quando mio padre scoppiò a ridere non riuscii più a trattenermi e per poco non mi strozzai con il panino.

Continuammo a parlare del più e del meno. Gli raccontai dei miei primi giorni di lavoro e di come stava andando la convivenza con Lorena, evitando volutamente di raccontare la parte relativa a Paulo Dybala. Se avessero saputo che lo avevo conosciuto probabilmente mio padre e mio fratello si sarebbero trasferiti in pianta stabile a Torino, obbligandomi a farglielo conoscere,ed era meglio evitare, infine li salutai con la promessa di chiamarli più spesso.

Rimasta sola con me stessa mi ritrovai a pensare con una punta di malinconia che non vedevo ne sentivo Paulo da cinque giorni.

Il giorno seguente all'intervista dopo un conflitto mentale durato ore mi ero decisa a seguirlo su Instagram confondendomi tra i profili di 20 milioni di persone, sentendomi poi infinitamente patetica per quel tentativo di attirare la sua attenzione tipico da ragazzina con gli ormoni impazziti, perciò mi ero imposta di non pensarci più fine della storia. 



La giornata proseguì senza intoppi, mi rimanevano da correggere alcune bozze di un'articolo riguardante l'inaugurazione del Teatro Regio di Torino, il grande evento della settimana. Sponsorizzato ampiamente soprattutto dalla famiglia Agnelli, che aveva presenziato personalmente e ne aveva  finanziato la ristrutturazione.

«Emily, io vado chiudi tu qui?» Non mi ero accorta che praticamente tutti i miei colleghi se n'erano già andati, eccetto Anna che mi guardava comprensiva in attesa di risposta.

«Certo tranquilla, buona serata a domani.» La salutai frettolosamente per poi immergermi nuovamente nelle mille scartoffie sulla scrivania.

Volevo sbrigarmi, anche io avevo un'impegno. Un'intera stagione di Grey's Anatomy non si sarebbe finita di guardare da sola.

Mandai un messaggio veloce a Lorena che sarebbe dovuta passare a prendermi per informarla che stavo scendendo.

-Emy mi dispiace farò tardi in ufficio stasera, ma non preoccuparti qualcuno si è offerto di venirti a prendere, scendi. Buona Serata

Visualizzai il messaggio seguito da due Emoticons raffiguranti un treno e un'ambulanza e non ci capii niente. Le Imprecai contro mentalmente diverse volte mentre uscivo il più velocemente possibile dall'edificio, cercando di mantenere l'equilibrio ormai precario sui tacchi. Mi sentivo esausta.



Fu allora che lo vidi e le emozioni che da ormai troppo tempo mi rifiutavo di provare mi travolsero come un fiume in piena.

Paulo era appoggiato alla jeep e smanettava con il cellulare guardandosi intorno di tanto in tanto. Impossibile che stesse aspettando me, comunque decisi di avvicinarmi sfoggiando probabilmente il miglior sorrido idiota che lui avesse mai visto.

Cercai con scarsi risultati di non fargli notare che tutta la felicità che provavo era dovuta al fatto che lui fosse lì e ingenuamente pensai che mi sarebbe piaciuto trovarlo tutti i giorni ad aspettarmi, che fosse fuori da lavoro o in qualsiasi altro posto.

«Ciao.» Esordii avvicinandomi con lo stesso entusiasmo di una bambina il giorno di natale.

Indossava la divisa della squadra. Probabilmente aveva appena finito l'allenamento, i capelli erano ancora leggermente bagnati forse perché si era cambiato frettolosamente e profumava di buono, di fresco, di pulito.

Sospirai con un pizzico di invidia notando quanto lui fosse perfetto anche dopo ore passate ad allenarsi mentre a me bastava stare seduta in ufficio per ridurmi al sex appeal di Jessica Fletcher.

«Ciao nena, sono venuto a prenderti.» Mi annunciò semplicemente, diretto e subito dritto al punto.

Forse avrei dovuto avvisarlo che se continuava a sorridermi in quel modo probabilmente il mio povero cuore non avrebbe retto molto a lungo.

«Ah davvero? Ti mancavo forse?» Indagai con un finto sorrisetto ingenuo scrutandolo con un sopracciglio sollevato.

Rise, evidentemente sorpreso e forse leggermente imbarazzato dalla sfrontatezza della mia battuta. «Forse, ma non montarti troppo la testa, oggi il mister ci ha distrutti in allenamento poi sono venuto qui ad aspettare te che non uscivi più e ora mi è venuta fame quindi ti porto a mangiare da qualche parte, andiamo?» 

«Va bene, sono più che d'accordo, andiamo.» Affermai convinta e finalmente felice senza farmelo ripetere due volte. 




















Come bianco e nero - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora